Gas e crisi energetica: l’incognita invernale
Una delle domande più inflazionate dell’ultimo periodo è “ma avremo il gas per questo inverno?”. La risposta non è un “SI’” o un “NO” semplice e sicuro, ma piuttosto un...
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Una delle domande più inflazionate dell’ultimo periodo è “ma avremo il gas per questo inverno?”. La risposta non è un “SI’” o un “NO” semplice e sicuro, ma piuttosto un...
Leggi di più >Una delle domande più inflazionate dell’ultimo periodo è “ma avremo il gas per questo inverno?”. La risposta non è un “SI’” o un “NO” semplice e sicuro, ma piuttosto un “teoricamente sì, ma…”.
Infatti, affinché il gas sia sufficiente per superare l’inverno senza problemi, una serie di fattori che riguardano sia la domanda che l’offerta si dovranno incastrare nel modo corretto, consentendo alla domanda di esser coperta dai diversi elementi del supply sia a livello totale del periodo, sia sulle punte di consumo.
Partendo dalle diverse componenti dell’offerta, un elemento decisamente positivo è il livello di riempimento raggiunto dagli stoccaggi europei. Nonostante il limite minimo imposto dall’UE (da raggiungere il 1° novembre 2022) fosse l’80%, il livello medio europeo a metà ottobre ha già superato il 92%, con l’Italia addirittura oltre il 94%. La quantità di gas immagazzinata per l’inverno dunque è vicina al massimo tecnico (la capacità massima degli stoccaggi) e questo dovrebbe coprire una quota non trascurabile dell’offerta europea per l’inverno (nel nostro scenario base almeno 62,7 bcm, terminando la stagione di erogazione con circa il 30% di gas negli stoccaggi).
Un ulteriore elemento dell’offerta di gas naturale è costituito dai flussi di gas via tubo, che nel nostro scenario base dovrebbero coprire circa 73,1 bcm. Sebbene il gas russo ormai sia solo una minima parte del gas importato in Europa, una definitiva e totale chiusura del rubinetto di Gazprom è ancora una possibilità. Nel nostro scenario base ipotizziamo un inverno in cui i flussi di gas russo siano a zero, mentre sulle altre direttrici di importazione (Norvegia, Sud Africa, Azerbaijan) i flussi siano abbondanti e costanti come sono stati fino ad oggi.
Altro elemento dell’offerta, sempre più pivotale per l’Europa, è l’import di gas naturale liquefatto via nave (LNG). Grazie all’alto livello dei prezzi che ha caratterizzato il mercato gas continentale nel corso dell’estate, l’Europa è riuscita ad attirare volumi record di LNG, elemento che ha contribuito alla disponibilità del gas da iniettare in stoccaggio. Guardando all’inverno, al momento i prezzi europei rimangono attrattivi rispetto ad altri mercati globali, in particolar modo rispetto al mercato asiatico, e questo dovrebbe consentire di mantenere l’import di LNG abbondante per tutti i mesi invernali (stimiamo che fino a marzo possano arrivare almeno 75,8 bcm via nave, utilizzando a pieno la capacità di rigassificazione europea).
Infine, la produzione di gas europea , che nel nostro scenario base copre circa 39,3 bcm, dovrebbe mantenere invariato il pattern di tendenziale riduzione della produzione nel sito olandese di Groningen.
Per quanto riguarda la domanda europea, nello scenario esposto si ipotizza che la domanda gas invernale sia ridotta almeno del 15% secondo quanto definito dalla Commissione Europea, con una domanda risultante di circa 246,8 bcm totali (la domanda di riferimento è la media degli ultimi 4 anni). Questa ipotesi di domanda fa riferimento a un inverno climaticamente nella norma, senza temperature rigide prolungate.
Con gli elementi fin qui descritti, il bilancio fisico del gas naturale mostra un netto positivo, ovvero il gas disponibile dovrebbe essere più che sufficiente a coprire la domanda.
Innanzitutto, un elemento che può compromettere la capacità del sistema gas europeo di superare l’inverno sono le temperature dei prossimi mesi. Qualora l’inverno fosse particolarmente rigido, la domanda di gas per uso civile sarebbe sicuramente superiore rispetto a quanto ipotizzato nello scenario base, azzerando il già scarso livello di flessibilità del sistema.
E’ poi indispensabile che le riduzioni della domanda previste siano effettivamente attuate; una riduzione di domanda inferiore alle attese richiederebbe l’utilizzo di risorse extra la cui disponibilità non è garantita.
Inoltre, va sottolineato che nello scenario base, in relazione all’import di gas naturale sia via pipeline che via nave, i flussi sono ipotizzati pressoché al massimo. In particolare, rispetto all’LNG, questo significa che per tutto l’inverno il mercato europeo dovrà risultare attrattivo e che la domanda asiatica non entrerà in competizione con quella europea. Questo dipenderà però dalle temperature che si verificheranno nel corso dell’inverno: qualora in area Giappone/Corea del Sud si verificasse una stagione particolarmente rigida, la domanda sostenuta di LNG potrebbe supportare i prezzi asiatici, innescando una competizione con l’Europa per le navi spot disponibili e potenzialmente drenando risorse dal mercato europeo.
Insomma, sebbene ci siano le premesse per essere cautamente ottimisti, sono molte le variabili che dovranno bilanciarsi nel corso dei prossimi mesi e che determineranno l’andamento dell’inverno appena iniziato. Inoltre, va sottolineato come l’esito dell’inverno sarà determinante non solo per i prezzi (e gli eventuali shortage di gas) nei prossimi mesi, ma anche per il corso dell’intero 2023. Il livello di flessibilità residua a fine stagione, infatti, determinerà il quadro dei fondamentali nel corso dell’estate, periodo in cui dovranno essere ripristinati gli stoccaggi per l’inverno successivo.
L’origine dell’aumento dei prezzi energetici in Europa viene attribuito all’interruzione dei flussi di gas provenienti dalla Russia a causa della situazione geopolitica in...
Leggi di più >L’origine dell’aumento dei prezzi energetici in Europa viene attribuito all’interruzione dei flussi di gas provenienti dalla Russia a causa della situazione geopolitica in Ucraina. Questo è vero, ma solo in parte.
Se è certo che la situazione del sistema gas europeo si è aggravata a causa del deterioramento dei rapporti con la Russia a causa della guerra, è vero anche che a livello di sistema elettrico abbiamo attraversato quest’anno una vera e propria tempesta perfetta.
La progressiva diminuzione dei flussi di gas russo e la corsa ad accaparrarsi forme di approvvigionamento alternative sono state il leitmotiv di un’estate caratterizzata da una produzione idroelettrica così scarsa da segnare un record storico e da una produzione nucleare in Francia altrettanto storicamente mai così bassa.
Se la prima condizione può essere ottimisticamente vista come una contingenza climatica che (si spera) non si ripeterà, quantomeno non allo stesso livello di gravità, la seconda invece è sintomo di un problema strutturale ormai conclamato e dalle caratteristiche più definitive che temporanee.
L’Europa centrale ha fatto per anni affidamento sull’output del parco di generazione nucleare francese, talmente abbondante e poco costoso da aver costituito nel tempo una quota stabile dell’energia utilizzata nei paesi limitrofi, Italia inclusa.
Il fatto che buona parte delle centrali d’oltralpe siano state costruite oltre 35 anni fa rende sempre meno affidabile l’output nucleare e, di conseguenza, sempre meno stabile l’equilibrio elettrico del centro Europa.
Se negli scorsi 10 anni la produzione nucleare francese si è attestata mediamente intorno ai 400 TWh, per quest’anno la stima è di poco meno di 300 TWh, quasi 100 TWh in meno rispetto alla media dello scorso decennio.
Ha molto pesato anche il fatto che la diminuzione della disponibilità dell’output per quest’anno non fosse totalmente preventivata a inizio anno da EDF ma sia stata rettificata nei mesi scorsi, quando il tema del gas russo era ormai fonte di diffusa preoccupazione, contribuendo a sostenere i prezzi.
Certo, questo tema non è nuovo o inaspettato, ma la concomitanza fra la situazione di crisi sul gas e la mancanza di affidabilità delle centrali francesi ha chiaramente creato le basi per un aumento importante non solo dei prezzi ma anche della volatilità dei mercati.
Ora che è iniziato ufficialmente il Q4 gli occhi sono puntati sulle rampe di riaccensione delle varie centrali che sono state soggette a manutenzioni (per lo più programmate) nel corso dell’estate (da grafico è evidente come l’entrata a piena potenza del parco nucleare francese sia previsto fra novembre e dicembre).
Proprio i timori che il rientro delle diverse centrali possa subire ritardi o che ci siano altri outage non programmati a ridurre la disponibilità del nucleare in inverno continua a sostenere i prezzi forward francesi su dicembre22 e sul Q1-23, ovvero i mesi in cui, con la morsa del freddo, la domanda di gas è superiore.
Riuscire a ottenere l’output previsto da EDF consentirebbe alla Francia, e di conseguenza ai paesi limitrofi, di limitare l’utilizzo del gas naturale per la produzione termoelettrica; in caso di ulteriori problemi e dunque di mancata produzione nucleare, il ricorso al gas naturale sarebbe ovviamente l’alternativa di più rapida implementazione.
Per l’inverno entrante, dunque, è necessario considerare che l’impatto di eventuali problemi delle centrali francesi potrebbe essere causa di rialzi nervosi e improvvisi, sia sui prezzi forward che sui prezzi spot, soprattutto se in concomitanza con un set di fondamentali bullish.
La condizione di obsolescenza del parco nucleare francese, d’altra parte, è ormai strutturale, tant’è che anche le previsioni per il 2023 sono state riviste al ribasso da EDF.
Se, dunque, c’è da sperare che la crisi del gas europea possa avere una soluzione nel medio termine, la situazione del nucleare francese sembra destinata a subire sempre più gli effetti del tempo che passa; a meno di investimenti consistenti per costruire nuove centrali, infatti, le problematiche legate alla sicurezza degli impianti continueranno ad impattare il livello di affidabilità dell’output, rendendo maggiormente volatili i prezzi elettrici del centro Europa.
Siamo appena entrati nel nuovo anno termico, nonché nell’inverno gas ‘22/’23, e molte sono le incognite per quanto riguarda la situazione energetica europea. La escalation...
Leggi di più >Siamo appena entrati nel nuovo anno termico, nonché nell’inverno gas ‘22/’23, e molte sono le incognite per quanto riguarda la situazione energetica europea.
La escalation geopolitica e gli importanti aumenti dei prezzi di gas ed energia elettrica hanno generato quella che a tutti gli effetti può esser definita una emergenza energetica generale e dalle molte conseguenze.
La prima conseguenza, molto discussa anche su giornali e tv, riguarda la possibile scarsità di gas per l’inverno entrante che dipenderà da come i diversi elementi fondamentali della domanda e dell’offerta si combineranno nel corso dei prossimi mesi.
Al di là della disponibilità di materia prima, però, le conseguenze più evidenti finora sono dovute all’impatto dei costi energetici sulle famiglie e sulle imprese. La spesa per gas ed energia elettrica è diventata per molti insostenibile e questo rischia non solo di impoverire i consumatori domestici ma anche e soprattutto di distruggere il tessuto industriale europeo, provocando potenzialmente una crisi economica generalizzata.
Non solo i consumatori sono in sofferenza, ma anche gli operatori del mercato, ed in particolar modo i fornitori, si trovano in una situazione di difficoltà senza precedenti. L’impatto dei prezzi alle stelle ha reso la gestione dell’attività di vendita estremamente onerosa dal punto di vista finanziario e incredibilmente rischiosa dal punto di vista del credito.
L’aumento della morosità in tutti i segmenti di consumatori, insieme all’incremento degli importi delle bollette, sta comportando per i fornitori la necessità di ridurre le dimensioni dei propri portafogli e arginare i rischi ad esso connessi.
Per questo motivo, molti clienti, in particolar modo quelli con fabbisogni elevati di gas o energia elettrica, a maggior ragione se con bassa affidabilità creditizia, sono oggi nella situazione di non riuscire a trovare facilmente un fornitore disposto ad approvvigionarli. L’ovvia conseguenza sarà una uscita massiccia di consumatori dal mercato libero e l’incremento dei volumi serviti in ultima istanza o salvaguardia.
Questa situazione perigliosa ha ovviamente richiesto numerosi interventi da parte dell’Unione Europea, che da mesi sta intervenendo attraverso l’erogazione di fondi per gli Stati Membri a supporto delle famiglie più in difficoltà e delle imprese (soprattutto energivore/gasivore).
Nel corso dell’estate gli sforzi della Commissione Europea si sono concentrati sulla messa in sicurezza del sistema gas europeo per l’inverno, da un lato, e sul reperimento dei fondi necessari per incrementare il supporto economico ai consumatori dall’altro.
Fra tutti, alcuni interventi come l’obbligo di raggiungere un livello minimo riempimento degli stoccaggi entro il primo di novembre di ogni anno, avranno un impatto anche nel medio/lungo termine.
Infatti il livello, che per quest’anno è fissato al 80%, per gli anni prossimi sarà innalzato al 90%, imponendo dunque una regola duratura per l’utilizzo degli stoccaggi. Altri avranno una applicazione limitata nel tempo, come la riduzione della domanda di gas (-15%) per l’inverno prossimo venturo o la riduzione della domanda elettrica su alcune ore selezionate (-5%).
Entrambe queste misure hanno l’obiettivo di ridurre il gas consumato nel corso dell’inverno appena iniziato imponendo, la prima, l’adozione da parte dei diversi Stati Membri di misure di carattere volontario come il servizio di interrompibilità o aste per la riduzione dei consumi, la seconda, istituendo l’obbligo di identificare alcune ore (che coprano almeno il 10% di ogni mese) in cui i prezzi potrebbero essere più elevati e in cui diminuire i consumi elettrici. Inoltre è stato fissato anche un ulteriore target (-10%) da raggiungere sulla domanda elettrica complessiva attraverso interventi a carattere volontario.
Altre misure temporanee importanti sono state approvate a settembre per reperire i fondi necessari a finanziare gli interventi a supporto delle famiglie e delle imprese.
Fra queste, si è deciso di imporre un tetto al prezzo di vendita dei produttori inframarginali, ovvero coloro che producono energia elettrica utilizzando tecnologie meno costose rispetto al gas naturale, come rinnovabili, nucleare e lignite.
E’ stato identificato un prezzo massimo (180 €/MWh) per ogni singolo megawattora prodotto da questi impianti e il meccanismo prevede il prelievo, da parte degli Stati Membri, dell’extraprofitto generato dalla vendita dell’energia (il differenziale, per ogni ora e per ogni megawattora prodotto, fra 180 e il prezzo di vendita, se superiore), tenendo in considerazione anche eventuali vendite a controparti o coperture finanziarie.
Poiché il prelievo avverrà al di fuori del mercato (ex-post), questa misura non intaccherà l’attuale meccanismo di formazione del prezzo spot e dunque potrebbe essere di relativamente rapida applicazione. Per tenere in considerazione le peculiarità dei diversi Paesi, viene lasciata discrezionalità agli Stati Membri di innalzare il valore del tetto o adottare misure per limiti di profitto ulteriori o differenziare fra le diverse tecnologie.
Inoltre, poiché altri soggetti al di fuori del mercato elettrico potrebbero aver beneficiato dell’incremento dei prezzi del gas naturale, sono stati identificati dei settori ai quali richiedere un contributo di solidarietà straordinario e temporaneo.
In particolare, tutte le società attive nel settore dei combustibili fossili (petrolio, gas naturale, carbone e raffinazione), qualora quest’anno realizzassero dei profitti superiori (almeno del 20%) rispetto alla media degli anni precedenti (a partire dal 2018), dovranno versare un contributo agli Stati Membri, che lo utilizzeranno principalmente per erogare i fondi necessari ad abbassare le bollette dei consumatori.
Altri temi sull’agenda della Commissione Europea riguardano l’introduzione di misure temporanee per la riduzione dei prezzi del gas per uso termoelettrico, come l’introduzione di un indice di prezzo europeo per il gas naturale che rifletta meglio la realtà attuale (alternativo rispetto il benchmark TTF) o eventualmente un cap al prezzo del gas, tema sul quale molto Paesi si sono detti d’accordo ma attualmente respinto dalla Germania.
Probabilmente si dovrà trovare un’intesa sulle misure per limitare la volatilità dei mercati energetici (come sospensioni dei mercati in casi di volatilità eccezionale), per supportare gli operatori del mercato e sul tema della dissociazione (decoupling) del prezzo elettrico da quello del gas naturale. Questo in particolar modo è un elemento di discussione complesso, che dovrebbe modificare i meccanismi attuali di formazione dei prezzi spot e che dunque richiederebbe una vera e propria riforma del mercato elettrico.
Insomma, molto è stato discusso e deciso e molto ancora lo sarà nelle prossime settimane. Quello che è certo è che al momento persiste l’incertezza sull’evoluzione dell’inverno e sulla capacità delle famiglie e soprattutto delle imprese europee di superarlo.
Questa serie di white paper si propone di aiutarvi a comprendere: le basi del mercato dell'energia, i prezzi dell'energia e la gestione dei vostri contratti energetici B2B, per...
Leggi di più >Questa serie di white paper si propone di aiutarvi a comprendere: le basi del mercato dell'energia, i prezzi dell'energia e la gestione dei vostri contratti energetici B2B, per permettervi di ottimizzare i vostri costi energetici.
Il conflitto fra Russia e Ucraina, iniziato ormai più di due mesi fa, sta impattando sensibilmente l’Europa e l’Italia sotto molti punti di vista. Fra gli effetti principali...
Leggi di più >Il conflitto fra Russia e Ucraina, iniziato ormai più di due mesi fa, sta impattando sensibilmente l’Europa e l’Italia sotto molti punti di vista. Fra gli effetti principali legati al conflitto, l’aumento dei prezzi delle commodities energetiche è ormai tema noto; ciò che invece è piuttosto recente è la interruzione dell’import di gas, carbone e petrolio (oltre che di altri beni e materie prime) che si prospetta potenzialmente all’orizzonte. Fra sanzioni e ricatti commerciali, la sicurezza energetica europea è potenzialmente a rischio nel prossimo futuro, soprattutto considerando che dalla Russia viene importato circa il 30/40% del gas utilizzato in Europa, oltre il 25% del petrolio e circa il 45% del carbone.
La crisi in atto ha evidenziato la necessità di diversificazione sia del mix energetico europeo (ancora piuttosto sbilanciato sui combustibili fossili), sia dell’import di gas naturale, carbone e petrolio (è volontà dell’EU di svincolarsi totalmente dalla dipendenza dai combustibili fossili di provenienza russa entro il 2030 ma anche, più in generale, di diversificare la provenienza delle importazioni), insieme ad una rinnovata ricerca della resilienza e dell’indipendenza energetica del continente. Diversi saranno gli ambiti di intervento per raggiungere questi obiettivi, sia di breve che di medio e lungo termine.
Per quanto riguarda il gas naturale, nel breve/medio termine, rinunciare agli approvvigionamenti russi comporta necessariamente un maggiore ricorso all’import di gas via pipeline da Paesi come il Nord Africa, l’Azerbaijan e la Norvegia, per quanto fisicamente possibile considerando che attualmente le infrastrutture sono utilizzate quasi al massimo tecnico (pipeline dalla Norvegia) o al massimo contrattuale (TAP/Nord Africa), e alla risorsa flessibile per eccellenza, ovvero il gas naturale liquefatto (LNG).
Grazie ad un incremento delle rotte commerciali, dei contratti di lungo termine con paesi “amici” come il Qatar o gli USA e delle infrastrutture necessarie (rigassificatori/floating storage), l’Europa riuscirà probabilmente ad emanciparsi dalla dipendenza dal gas russo, al prezzo, però, di diventare un mercato in perenne competizione con l’Asia. La concorrenza con un altro mercato strutturalmente dipendente da LNG modificherà le dinamiche del mercato europeo e aumenterà la volatilità dei prezzi e la correlazione di questi con elementi che impattano la domanda estera, come per esempio le temperature nell’area Cina/Corea/Giappone/India. Inoltre, considerando quanto il gas russo sia generalmente più economico rispetto alle altre possibili fonti di approvvigionamento, primo fra tutti il gas naturale liquefatto, è inevitabile che questo switch degli approvvigionamenti porterà a maggiori costi (soprattutto se i contratti fossero conclusi in questo periodo).
Insieme alla diversificazione degli approvvigionamenti gas, dovranno essere sviluppate infrastrutture e mercati attualmente già nel focus del Green Deal Europeo, come quello del biometano e dell’idrogeno verde, che consentirebbero all’Europa di svincolarsi parzialmente dall’import di commodities energetiche dall’estero, ma queste alternative saranno viabili su larga scala solo nel medio/lungo termine.
Ovviamente uno degli elementi chiave per l’indipendenza energetica dovrà essere la riduzione della domanda di combustibili fossili, che solo in minima parte sono disponibili nel sottosuolo europeo. Per farlo, al di là dei possibili razionamenti di breve termine in caso di emergenza, sarà fondamentale il ricorso all’elettrificazione dei consumi (trasporti, industria, settore civile), insieme a massicce misure di efficientamento energetico ad ampio spettro. Il settore elettrico dovrà subire profondi cambiamenti, a partire dallo sviluppo diffuso delle rinnovabili, affiancate da sistemi di stoccaggio e di demand/response necessari al mantenimento del bilanciamento delle reti e dei picchi di domanda.
Investimenti rilevanti saranno necessari anche per consentire alle infrastrutture di sbottigliare gli attuali colli di bottiglia (sia per le pipeline europee di trasporto del gas naturale che per le reti elettriche) in modo da consentire una maggiore capillarità delle reti e un maggior bilanciamento fra zone contigue.
Sebbene la strada dello sviluppo energetico europeo fosse già stata individuata e sottoscritta nel Green Deal europeo, la situazione contingente ha di fatto accelerato e rafforzato gli sforzi dell’EU per il raggiungimento degli obiettivi di lungo termine. Nell’immediato permangono però dei rischi che potrebbero avere un impatto rilevante nel futuro.
Da un punto di vista delle emissioni, la cui riduzione progressiva è già stata pianificata con l’obiettivo di arrivare alla carbon neutrality al 2050, il recente ritorno al carbone per ovviare alla crisi dei prezzi del gas per uso termoelettrico potrebbe, se prolungato, compromettere il percorso già predisposto di decarbonizzazione del settore energetico. D’altra parte la riaccensione temporanea delle centrali a carbone vuole essere un provvedimento per tamponare la crisi energetica in corso, oltre che una misura di diversificazione ulteriore del mix energetico a supporto della resilienza nel breve/medio termine. L’approvvigionamento del carbone, però, risulta critico in un momento in cui anche per questa materia prima si deve trovare fornitori al di fuori della Russia e considerando il prezzo più che raddoppiato da inizio anno.
Inoltre la messa in esercizio di nuove centrali solari o fotovoltaiche al momento potrebbe incontrare alcuni scogli, se non di tipo burocratico, dal momento che sono stati sveltiti i processi autorizzativi, almeno di tipo economico. Innanzitutto va considerata la difficoltà nel reperimento di alcuni materiali e componenti, la cui catena del valore sta soffrendo di discontinuità a livello globale, ma anche le spese per trasporti e per alcune materie prime sono aumentati, comportando costi decisamente più alti rispetto a un anno fa, proprio in un momento in cui la domanda sta aumentando esponenzialmente.
La gestione attuale dell’emergenza energetica, insomma, presenta delle sfide importanti e difficilmente risolvibili nell’immediato. Ciò che è certo è che l’inasprimento del conflitto ha dato il via ad una accelerazione di cui l’Europa aveva bisogno, ma il cui costo al momento attuale, forse, potrebbe risultare particolarmente salato.
E’ ormai fatto noto che ci sia una vera e propria crisi energetica in atto. I prezzi del gas e dell’elettricità hanno concluso un primo trimestre record, in continuità con i...
Leggi di più >E’ ormai fatto noto che ci sia una vera e propria crisi energetica in atto. I prezzi del gas e dell’elettricità hanno concluso un primo trimestre record, in continuità con i pesanti aumenti avvenuti a fine 2021. Basti pensare che il PUN (Prezzo Unico Nazionale) ha consolidato un Q1-2022 di poco inferiore ai 250 €/MWh, mentre per il gas naturale PSV i primi tre mesi di consegne spot (Day Ahead) si sono attestati poco sotto ai 100 €/MWh.
Gli effetti di questi aumenti si stanno sentendo pesantemente su tutti i fronti e pesano in particolar modo sui consumatori finali, che si trovano a far fronte a costi energetici sempre più insostenibili. Anche se sono entrate in vigore alcune misure per il contenimento dei costi, come l’azzeramento di alcune voci della fattura energetica (gli oneri generali di sistema) o la riduzione dell’IVA su alcune tipologie di fornitura, con il prezzo della materia prima di 3 o 4 o addirittura 5 volte maggiore rispetto a un anno fa, il costo energetico complessivo è comunque lievitato.
Non solo i clienti finali sono in grave difficoltà, ma nella filiera energetica una posizione piuttosto delicata (per usare un eufemismo) oggi tocca ai fornitori. Le aziende attive nel settore della vendita di energia elettrica e gas naturale si trovano ad affrontare delle difficoltà senza precedenti (come abbiamo detto anche nell’articolo Fornitori e clienti: conseguenze dei prezzi di mercato alle stelle). L’aumento dei prezzi e della volatilità sui mercati all’ingrosso ha comportato, ormai da mesi a questa parte, un aumento dei costi legati all’approvvigionamento e alle coperture del rischio del portafoglio, entrambi elementi strettamente legati al prezzo.
Non solo aumento dei costi, a fronte spesso di margini fissati contrattualmente in periodo pre-crisi, ma anche aumento delle necessità finanziarie e di liquidità legate all’attività di compravendita di energia o gas, anch’esse proporzionali rispetto ai prezzi e alla volatilità dei mercati. Per acquistare gas o energia elettrica, infatti, gli operatori devono fornire garanzie finanziarie o liquidità a copertura dei loro acquisti e nella maggior parte dei casi si tratta di incrementi di garanzie da 5 a 10 volte i valori precedenti.
Per non parlare dello squilibrio di cassa, strutturale e naturale per una società di vendita, che paga l’energia o il gas acquistato (e gli oneri di sistema relativi) con 1-2-3 mesi di anticipo rispetto al momento dell’incasso da parte dei clienti. Con l’aumento dei prezzi e il protrarsi di questa alterazione del mercato, il disallineamento fra entrate ed uscite si è fatto a dir poco difficoltoso, per qualcuno addirittura fatale.
Tutto questo ha danneggiato in modo importante la situazione finanziaria ed economica delle società del settore, alcune delle quali hanno dovuto sospendere l’attività di vendita di energia o gas.
Ma il peggio, probabilmente, deve ancora venire, ovvero il momento in cui sui fornitori peserà a pieno anche l’effetto delle rateizzazioni delle bollette concesse ai consumatori domestici o alle imprese, a cui si andrà a sommare l’aumento della morosità dei clienti di fronte agli aumenti degli ultimi mesi. Le società del settore, aziende fino a sei mesi fa per lo più sane e ben gestite, potrebbero trovarsi impossibilitate a sopportare il protrarsi di queste condizioni di mercato a causa di una situazione finanziaria così difficilmente gestibile.
La gravità della situazione non è passata inosservata e molte sono state le richieste di supporto rivolte dalle associazioni di operatori del settore alle autorità competenti, sia in Italia che all’estero. La difficoltà di accesso alla finanza e alla liquidità in un momento grave e particolare come l’attuale è uno dei nodi dei diversi appelli degli ultimi mesi.
Anche da parte della European Federation of Energy Traders, primaria associazione europea di operatori del settore, è stata sottolineata la necessità di un supporto di emergenza di liquidità e finanza che consenta agli operatori di sopravvivere e ai mercati energetici di continuare a funzionare. Già, perché una ulteriore conseguenza dei prezzi così alti è il crollo della liquidità sui mercati, a causa del fatto che sempre meno operatori hanno la finanza necessaria per negoziare i prodotti della curva forward sui mercati organizzati.
La mancanza di un mercato liquido potrebbe impedire agli operatori di effettuare le operazioni di copertura non solo dei proprio portafogli di vendita ai clienti finali, ma anche del gas importato dall’estero o iniettato in stoccaggio, così come dell’energia elettrica prodotta dalle centrali. Insomma, il crollo della liquidità potrebbe impedire il regolare funzionamento dei mercati energetici e minare alla base l’esistenza di un mercato libero.
Ad essere onesti, è difficile anche per l’EU riuscire ad intervenire con manovre centralizzate che non penalizzino gli sviluppi futuri del settore e il raggiungimento degli obiettivi di lungo periodo in termini di mix energetico e emissioni. La tutela del consumatore finale è una contingenza assolutamente necessaria, ma è necessario anche salvaguardare la salute del settore nel medio/lungo termine.
Ad esempio, modificare la remunerazione degli impianti rinnovabili non incentivati mettendo un tetto massimo al prezzo per l’energia prodotta potrebbe provocare non solo gravi danni economici per le società interessate (che magari non hanno approfittato dell’aumento dei prezzi perché avevano effettuato coperture di lungo periodo a prezzi inferiori), ma anche portare al calo dell’appetito degli investitori del settore e questo, a sua volta, comprometterebbe il percorso di decarbonizzazione stabilito per i prossimi decenni.
Ugualmente, l’introduzione di un massimale al prezzo di gas o energia elettrica o una modifica del meccanismo di formazione dei prezzi spot a livello locale introdurrebbe distorsioni che avrebbero un impatto anche sulla curva forward e che, nel lungo periodo, potrebbero influenzare negativamente l’integrazione fra i mercati europei, così come lo sviluppo di investimenti in produzione rinnovabile o risparmio energetico.
Insomma, sembra sempre più difficile riuscire a salvare, come si suol dire, “capra e cavoli”. Solo una rapida risoluzione della situazione in Ucraina potrebbe, forse, riuscire a riportare i mercati verso una condizione di stabilità ed è piuttosto probabile che un ritorno alla “normalità” non avvenga, in ogni caso, in tempi brevi, né per quanto riguarda il livello dei prezzi, né per lo stato di salute del settore.
Fra i diversi aspetti da decidere/negoziare per il contratto di fornitura gas, uno dei più ostici è la scelta dell’indice di riferimento: PSV o TTF (+ spread)? La scelta dell’uno...
Leggi di più >Fra i diversi aspetti da decidere/negoziare per il contratto di fornitura gas, uno dei più ostici è la scelta dell’indice di riferimento: PSV o TTF (+ spread)? La scelta dell’uno o dell’altro deve tenere in considerazione non solo le caratteristiche di questi due mercati, ma anche delle proprie necessità.
E’ il primario mercato europeo del gas naturale, preso a riferimento quando si parla in generale di gas in Europa, e si trova in Olanda. L’importanza di questo hub è da attribuirsi alla posizione geografica favorevole del Paese che lo ha reso uno snodo naturale per i flussi di gas in arrivo via pipeline dal Mare del Nord e destinati ai Paesi del centro Europa (come Gran Bretagna e Germania).
Inoltre, la presenza sul suolo olandese di uno dei più grandi giacimenti europei (Groeningen) ha favorito la creazione di infrastrutture per l’estrazione e l’export (oltre che l’utilizzo) del gas, consentendo all’Olanda di essere fra i primi paesi a organizzare un mercato di scambio per questa commodity (ne avevamo parlato anche nell’articolo Formule di indicizzazione gas: quali sono e come sceglierle?).
In più, se fino a qualche anno fa il gas importato in Europa via tubo veniva indicizzato al prezzo del petrolio (buona parte del gas estratto infatti era un prodotto secondario di giacimenti petroliferi), recentemente l’indicizzazione dei contratti long term (quelli di lunga durata, dai 7 ai 20/30 anni) si è svincolata dalle formule oil, in favore di formule indicizzate al TTF; questo fattore ha contribuito a creare liquidità sul mercato TTF, soprattutto sui prodotti long term (sulla curva forward).
Nonostante la rapida evoluzione dei mercati europei del gas naturale, il TTF resta il mercato più maturo del continente, la liquidità su tutti i prodotti della curva forward è alta e la buona finanziarizzazione consente di effettuare negoziazioni in tempi rapidi. Secondo il documento “Market Monitoring Report” pubblicato da Acer e consultabile al seguente link ACER-CEER Market Monitoring Report (MMR) | www.acer.europa.eu, nel 2020 sono stati negoziati sul TTF poco meno di 50.000 TWh (sul PSV, a titolo comparativo, poco meno di 1.500 TWh/anno).
Il mercato italiano, come tutti i mercati europei, tende ad essere molto correlato con il TTF grazie alla presenza di infrastrutture di trasporto gas che collegano tutta l’Europa che fanno sì che le dinamiche dei mercati locali influenzino i mercati vicini o ad essi collegati. Una delle caratteristiche principali del PSV è la concentrazione della liquidità su prodotti vicini della curva forward, ovvero sullo short term. Il PSV viene dunque utilizzato maggiormente per le negoziazioni spot (che, sempre secondo le statistiche dell’Acer, sono circa l’80% delle transazioni al PSV nel 2020).
L’indicizzazione del gas in arrivo in Italia via tubo o via nave difficilmente viene fatta al PSV, soprattutto per quanto riguarda i contratti long term, proprio a causa della ridotta liquidità dei prodotti della curva forward; i contratti, originariamente oil-indexed, sono sempre più spesso indicizzati al TTF, contribuendo allo stretto legame che esiste fra il PSV e il TTF.
A causa della maggiore liquidità del TTF, è abitudine consolidata negoziare contratti o forniture con consegna in Italia e indicizzazione a TTF + Spread. Lo spread è un termine fissato in sede contrattuale che esprime la differenza fra il mercato locale PSV e il benchmark TTF.
Esistono diversi motivi per cui fino ad oggi i prezzi al PSV sono stati più alti, mediamente, rispetto al TTF, sia a livello spot che forward. Fra questi possiamo elencare le tariffe di trasporto (basti pensare per esempio, alle migliaia di chilometri necessari per portare il gas russo attraverso i Paesi dell’est e l’Austria, o il gas che dal Mare del Nord transita da Olanda/Belgio, Francia e Svizzera per essere immesso nella rete di trasporto nazionale), o il deficit strutturale della produzione nazionale (pressoché nulla) rispetto alla domanda gas italiana (fra le più alte in Europa), o in generale la situazione del supply che non consente all’Italia di essere un paese esportatore di gas, ma un importatore netto (la quasi totalità del gas che arriva non viene venduto all’estero).
Negli ultimi anni però alcuni fattori hanno modificato l’assetto della catena di approvvigionamento italiana, consentendo una riduzione di questo spread. Primo fra tutti la messa in opera di diversi rigassificatori, che hanno permesso all’Italia di poter godere di una diversificazione degli approvvigionamenti. Inoltre, dal 31 dicembre 2020 è entrato in esercizio il gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline) che collega la Puglia con l’Albania e trasporta attualmente fino a 10 bcm/annui (miliardi di metri cubi annui) di gas proveniente dal Mar Caspio (Azerbaijan) con l’ambizione di raddoppiarne la capacità nei prossimi anni.
Questi due elementi hanno consentito ai prezzi italiani di convergere maggiormente rispetto al TTF, riducendo lo spread (in alcuni periodi è stato anche negativo). Se in futuro ulteriori tubi o impianti di rigassificazione dovessero essere messi in esercizio, la posizione centrale dell’Italia nel Mediterraneo, insieme all’abbondanza di infrastrutture di trasporto, potrebbero consentire al Paese di diventare uno dei principali hub europei e di esportare gas all’estero, azzerando o addirittura cambiando stabilmente il segno dello spread rispetto al TTF.
Poiché il PSV è molto più liquido sui prodotti short term come il day ahead, chi ha un contratto a prezzo variabile puro o è propenso a mantenere una parte della fornitura a prezzo variabile anche in delivery, può beneficiare maggiormente di una indicizzazione al PSV, poiché risulta di più semplice comprensione.
Chi invece desidera poter richiedere numerosi fixing, viceversa, potrebbe trarre maggiore vantaggio da una indicizzazione a TTF+Spread che consente al fornitore di offrire il servizio di fixing a costo inferiore (abbiamo parlato del costo dei fixing in relazione alla liquidità nell’articolo volatilità e liquidità di mercato VS fixing, quali conseguenze?).
Attenzione però ad alcuni accorgimenti quando si utilizza la formula di indicizzazione al TTF+Spread per la propria fornitura:
E’ ormai definitivamente in atto l’escalation del conflitto in Ucraina, elemento che al momento sta impattando in maniera determinante l’andamento dei mercati energetici europei....
Leggi di più >E’ ormai definitivamente in atto l’escalation del conflitto in Ucraina, elemento che al momento sta impattando in maniera determinante l’andamento dei mercati energetici europei.
Il gas ha registrato aumenti violenti in seguito all’intensificarsi del conflitto; il giorno 7 marzo il future TTF con scadenza aprile ha toccato i 345 €/MWh per poi ritracciare, con un movimento di oltre 130 €/MWh fra il minimo e il massimo giornaliero, trascinando con sé la curva forward dell’energia elettrica. Lo stesso giorno la quotazione del Q2-22 power Italia ha superato i 600 €/MWh, confermando il gas come principale driver dei movimenti dell’energia elettrica. Gli stessi picchi si sono verificati anche sui mercati spot, con il PUN che nello stesso giorno (per la delivery 8 marzo) ha toccato i 587,67 €/MWh come prezzo medio giornaliero)
Il timore che prima o poi possano essere bloccati i flussi di gas in arrivo dalla Russia - che sia per una decisione unilaterale di Gazprom o una conseguenza di una possibile esclusione dal circuito Swift o addirittura per sopraggiunti elementi di impedimento al transito fisico del gas nei tubi ucraini – guida il mercato gas e di conseguenza il mercato power, imprimendo rialzi violenti (come il 7 marzo) o consentendo un rilassamento dei prezzi (come successo nell’ultima settimana) a seconda dell’evoluzione della situazione geopolitica in Ucraina, dell’inasprimento delle sanzioni (se impattano o meno anche il gas) e della percezione del rischio da parte degli operatori.
Al momento attuale, il perdurare (e anzi, l’incremento recente) dei flussi di gas russo via pipeline ha parzialmente tranquillizzato gli operatori e ha consentito un ritracciamento sostanziale dei prezzi (per esempio, il future TTF con scadenza aprile è tornato al di sotto dei 130 €/MWh), favorendo un contestuale ribasso anche per l’energia elettrica europea.
Sebbene la situazione in Ucraina sia nel focus degli operatori come driver primario dei prezzi di gas ed energia elettrica, a fare da contorno a questo alternarsi di timore e parziale sollievo si affiancano anche i driver fondamentali del mercato, la cui influenza contribuisce all’inasprimento o all’attenuazione del mood generale.
L’inizio imminente della primavera e le temperature più che clementi delle ultime settimane hanno supportato la generale tendenza ribassista dovuta alla diminuzione di domanda di gas per uso civile, consentendo anche al sistema gas di non necessitare di risorse extra per fronteggiare la domanda. Inoltre, l’abbondanza di gas via nave (LNG) continua grazie agli alti prezzi europei che hanno finora incentivato le rotte continentali rispetto a quelle con destinazioni asiatiche, contribuendo a calmierare l’erogazione di gas da stoccaggio e a stabilizzare il sistema.
Al momento, un’ulteriore elemento ribassista è la diminuzione (attuale e prospettica) della domanda elettrica (e di gas) da parte delle industrie energy intensive, particolarmente colpite dai rialzi dei prezzi visti negli ultimi mesi e in molti casi costrette alla sospensione della produzione causa diminuzione/annullamento dei margini.
Gli alti costi energetici, tra l’altro, costituiscono solo una delle cause degli stop delle attività, provocati anche, e in alcuni casi soprattutto, dall’impennata dei prezzi delle materie prime, dei metalli e dei carburanti che si è verificata nelle ultime settimane. La situazione delle industrie europee è preoccupante e risulta tanto più grave quanto maggiore sarà il tempo necessario alla normalizzazione della situazione, a meno di un supporto significativo da parte dell’UE.
In contrasto con questi fattori di potenziale ribasso, alcuni elementi fondamentali risultano possibilmente critici per il prosieguo dell’anno. L’ormai conclamata scarsità di output nucleare delle centrali francesi (mai così basso e destinato a diminuire ulteriormente con l’avanzare del periodo estivo per consentire le manutenzioni ordinarie nelle centrali), insieme alla scarsità di precipitazioni e nevi che ha contraddistinto il periodo invernale e che al momento preannuncia una bassa produzione idroelettrica primaverile, potrebbero essere fattori di rialzo nel corso del secondo trimestre dell’anno.
La situazione al momento risulta dunque piuttosto critica nonostante i recenti ribassi. Le prossime settimane saranno cruciali per la risoluzione o l’inasprimento della guerra in Ucraina e qualunque novità sul tema potrebbe comportare alta volatilità e reazioni più o meno violente sui mercati energetici (e non solo), mentre una situazione di stallo o assenza di sviluppi potrebbe consentire un maggiore impatto degli elementi fondamentali, recentemente quasi ininfluenti se comparati al tema Ucraina. Anche news circa le azioni dell’Unione Europea a sostegno dell’industria o del settore energetico (in qualunque forma) saranno importanti per lo sviluppo del trend prevalente dei prossimi mesi.
Stiamo ricevendo molte domande sul mercato della CO2 e sulla sua relazione con il prezzo dell'energia. Abbiamo pensato di raccoglierne alcune nel nostro blog. Se dopo aver letto...
Leggi di più >Stiamo ricevendo molte domande sul mercato della CO2 e sulla sua relazione con il prezzo dell'energia. Abbiamo pensato di raccoglierne alcune nel nostro blog. Se dopo aver letto quest'articolo dovessi avere altri dubbi, ti invitiamo a leggere il nostro White Paper, "Capire il mercato della CO2 in 15 domande", che le raccoglie tutte.
Il prezzo della CO2 impatta prima di tutto i soggetti obbligati, ovvero i produttori di energia elettrica da fonti fossili, le industrie pesanti e il settore aviazione. Questo, di fatto, ha diversi risvolti a valle della catena del valore.
Per quanto riguarda il settore elettrico, il costo delle emissioni a carico del produttore va ad aggiungersi ai costi variabili della produzione, determinando un aumento del costo marginale e, di conseguenza, diminuendo il margine dell’attività a parità di prezzo di vendita dell’energia prodotta. Una prima conseguenza di questo aumento dei costi marginali è che gli impianti maggiormente colpiti dall’aumento del prezzo della CO2 (ovvero le centrali a carbone o lignite, che a parità di output elettrico emettono maggiori quantità di CO2) perdono progressivamente competitività, venendo fortemente penalizzati in favore degli impianti meno emissivi (come le centrali a gas naturale) e delle rinnovabili.
La progressiva diminuzione degli impianti di produzione elettrica da carbone e lignite operativi è, per inciso, uno degli obiettivi europei già dichiarati da tempo, proprio a causa del forte impatto ambientale di queste installazioni. Un'ulteriore conseguenza del maggior costo marginale degli impianti di generazione da fonti fossili è l’aumento del prezzo dell’energia elettrica (a parità di altri fattori come il costo dei fuels).
Per poter mantenere un margine sufficiente per l’attività di produzione, i produttori soggetti all’ETS devono vendere la propria energia a un costo superiore e questo si riverbera sul prezzo di mercato dell’energia elettrica. Infatti, nonostante la quota di rinnovabili nel mix energetico di tutti i Paesi europei sia in aumento, la produzione elettrica da fonti fossili è ancora piuttosto importante (in Italia, per esempio, circa il 40% dell’energia elettrica è prodotta da gas naturale). L’aumento del prezzo dell’energia elettrica sul mercato all’ingrosso, inoltre, si propaga a valle, nella catena del valore, impattando tutti i consumatori finali, sia domestici che industriali.
Parlando dell’industria pesante soggetta agli obblighi ETS, in particolare, notiamo che l’aumentato costo delle emissioni ha un duplice impatto. Un impatto diretto, ovvero un maggior costo dei titoli di emissione necessari per la compliance ETS annuale, e un impatto indiretto, che è dovuto all’aumento del costo per l’energia elettrica. Questo, di fatto, provoca una diminuzione dei margini e dunque una potenziale perdita di competitività che potrebbe, in qualche caso, comportare addirittura la rilocazione degli impianti in aree del mondo meno costose in termini di emissioni.
L’Unione Europea, conscia di questo rischio (rischio di carbon leakage), sta infatti cercando di implementare delle misure per supportare la competitività del tessuto industriale europeo. Di base, inoltre, le industrie europee colpite dall’incremento dei costi elettrici o di compliance, per poter far fronte alla diminuzione dei margini, sono costrette, quando possibile, ad aumentare il prezzo di vendita dei prodotti a scapito dunque dell’utente finale.
Nel 2020, in concomitanza con la revisione quinquennale degli obiettivi climatici stabiliti nell’ambito dell’Accordo di Parigi, l’Unione Europea ha presentato il cosiddetto “Green Deal” europeo, ovvero la strategia che si intende implementare per promuovere l’utilizzo razionale delle risorse, lo sviluppo di un’economia più sostenibile e la diminuzione delle emissioni di gas serra.
In questo piano di azione europeo sono contenute misure e obiettivi in ambito di energie rinnovabili, economia circolare, innovazione tecnologica e biodiversità volte a ridurre drasticamente l’inquinamento e le emissioni.
Il nuovo target di riduzione delle emissioni al 2030 è stato innalzato, dal -40% al -55% rispetto alle emissioni del 1990, per raggiungere entro il 2050 la neutralità.
Negli ultimi mesi del 2021 abbiamo assistito a un rally dei prezzi del gas e dell’energia elettrica senza precedenti e sebbene i prezzi da gennaio a oggi siano lontani dal picco...
Leggi di più >Negli ultimi mesi del 2021 abbiamo assistito a un rally dei prezzi del gas e dell’energia elettrica senza precedenti e sebbene i prezzi da gennaio a oggi siano lontani dal picco di fine dicembre, il valore assoluto rimane piuttosto elevato.
Insieme ai prezzi, anche la volatilità è aumentata nel corso dell’anno scorso e, se a inizio anno si potevano avere oscillazioni di 1, 2, massimo 3 €/MWh al giorno, alla fine 2021 i 10, i 20 o addirittura i 30 €/MWh di differenza fra un giorno e l’altro erano oscillazioni considerate quasi normali.
L’intera filiera del gas e dell’energia elettrica ha subito l’impatto di queste dinamiche, che hanno avuto conseguenze importanti a tutti i livelli e i cui strascichi hanno probabilmente cambiato l’assetto di un intero settore.
Per quanto riguarda il settore della vendita di energia e gas, sia i fornitori che i clienti hanno dovuto affrontare delle conseguenze di quanto successo sui mercati all’ingrosso.
Risulta dunque estremamente critica la gestione di un portafoglio di vendita in condizioni di mercato come quelle viste negli ultimi mesi. Il problema non sono i margini, ovvero i guadagni dati dall’attività di vendita, ma la sostenibilità in termini di cassa, finanza e rischi che devono sopportare i fornitori per poter svolgere l’attività.
i fixing basate su prezzi storici confrontano i prezzi futures in quel momento con quelli di periodi simili in altri momenti. Anche con l'incertezza vissuta nello scorso periodo, il tool è in grado di determinare che i prezzi stanno aumentando e, anche se non sono prezzi bassi (dato che la situazione era quella che era), l'opzione migliore era comunque quella di eseguire fixing per mitigare l'impatto della volatilità che sarebbe arrivata. Queste raccomandazioni arrivano proprio nel momento peggiore, da maggio 2021 e per tutto l'anno rimanente.
Sia per i fornitori che per i clienti l’aumento dei prezzi e della volatilità ha provocato criticità delle quali ancora non è ancora del tutto espresso l’effetto.
Per il 2022, è possibile aspettarsi alcune conseguenze di questa situazione, prima fra tutti la diminuzione del numero di operatori attivi nella vendita di energia elettrica e gas. Diverse società, sia in Italia che in Europa, hanno dovuto tirare i remi in barca e sospendere l’attività a causa delle difficoltà finanziarie ed è probabile che il numero degli operatori costretti a ritirarsi possa aumentare nel corso di quest’anno.
D’altra parte, l’alta volatilità che dovrebbe caratterizzare i mercati ancora per diverso tempo potrebbe offrire non solo criticità, ma anche occasioni di ottimizzazione, a prescindere dal trend dei prezzi che si verificherà nel corso dell’anno.
E’ probabile che dopo un 2021 così estremo, un maggior numero di clienti industriali sarà interessato alla gestione attiva della propria fornitura (prezzo variabile con fixing), che si è dimostrata una formula flessibile e capace di ottimizzare i costi, se correttamente impostata. Poter approfittare di un mercato al ribasso ma avere la possibilità di tutelarsi in caso di rialzi, risulta un modello utile per affrontare i mercati energetici sempre più volatili.
Questo, unito alla diffusa attenzione anche mediatica suscitata dall’escalation dei prezzi degli ultimi mesi, creerà un generale aumento della curiosità e della necessità di informazioni sulle dinamiche dei mercati. Non sarà più solo il prezzo, probabilmente, a convincere i clienti, ma la capacità di offrire un supporto strutturato alle scelte, fornendo le informazioni rilevanti e la competenza sui mercati energetici che consentano ai clienti di gestire al meglio la propria fornitura in tutte le situazioni di mercato.
Insomma, il rally dei mercati del 2021 avrà un impatto notevole anche per il prossimo futuro.
Dopo una fine dell’anno, è il caso di dirlo, col botto, la situazione del mercato gas sembra essere leggermente migliorata. Grande merito è da attribuirsi soprattutto delle...
Leggi di più >Dopo una fine dell’anno, è il caso di dirlo, col botto, la situazione del mercato gas sembra essere leggermente migliorata. Grande merito è da attribuirsi soprattutto delle temperature miti che hanno caratterizzato tutto l’inverno e in particolar modo il periodo fra gennaio e febbraio.
Nonostante più volte le previsioni mostrassero la possibilità di episodi di freddo intenso, la punta termica attesa a cavallo fra gennaio e febbraio non è arrivata, consentendo alla domanda europea di gas naturale per uso civile di attenuarsi rispetto al normale. Permane però la possibilità, anche se dalle ultime previsioni appare remota, di una coda di inverno tardiva, tipica degli anni in cui è presente il fenomeno della Niña.
Questa condizione anomala delle temperature, stabilmente al di sopra della normale stagionale in buona parte dell’Europa centrale, ha alleggerito la situazione di criticità in cui si è trovato il sistema gas europeo.
Le riserve di gas in stoccaggio, all’inizio dell’inverno, hanno segnato livelli record, mai così bassi negli ultimi anni e solo grazie ad un ritmo di erogazione piuttosto blando per il periodo, a metà febbraio si sono assestati su livelli già visti in passato (nel febbraio 2017), consentendo di ritornare su un terreno esplorato e, dunque, meno temuto, sia da una prospettiva fondamentale che psicologica.
Se le temperature dovessero permanere, come sembra, al di sopra dei livelli normali anche per il prosieguo dell’inverno, la condizione degli stoccaggi non dovrebbe comportare particolari criticità. Resta inteso che se la coda dell’inverno dovesse riservare fredde sorprese, il basso livello di gas in stoccaggio potrebbe non consentire la flessibilità necessaria.
Lato LNG, in gennaio 2022 è stato registrato il record storico per i quantitativi di gas immessi nelle reti europee da terminali di rigassificazione.
Grazie all’abbondante flusso di LNG, il sistema gas europeo ha potuto allentare la tensione, consentendo ai prezzi spot di mantenersi inferiori rispetto a quanto visto in dicembre. Le importazioni via nave nel mese di febbraio, al momento, sono al di sotto del mese precedente, ma rimangono sostenute.
Grazie agli elevati livelli di prezzo che la curva forward TTF ha mantenuto nelle ultime settimane, gli arbitraggi fra l’area europea e quella asiatica hanno favorito l’Europa nell’attrarre navi con consegna prevista nel corso della primavera/estate. Questo dovrebbe garantire flussi di LNG abbondanti nel corso della Summer-22 e favorire un ulteriore rilassamento dei prezzi, in mancanza di altri elementi di impatto potenzialmente bullish.
Il tema centrale del mercato gas, attualmente, risulta la questione Ucraina. La tensione fra la Russia e il blocco USA/Europa spaventa per i possibili risvolti sul sistema gas europeo per più di un motivo. Primo fra tutti il fatto che attraverso l’Ucraina, normalmente, transita circa il 30/35% del gas russo diretto in Europa via pipeline (solo nel 2021 i flussi sono stati inferiori su questa direttiva) e un conflitto nella regione potrebbe costituire un impedimento al normale fluire del gas via tubo. Inoltre, uno dei temi caldi è la definitiva messa in esercizio del Nord Stream II, messa a repentaglio da ulteriori possibili sanzioni e impedimenti da parte degli USA in caso di escalation in Ucraina.
L’infrastruttura, infatti, nonostante sia pronta da settembre 2021, è ancora bloccata a causa di un iter burocratico che si è protratto più del previsto, unito alle numerose sanzioni da parte degli USA a diversi soggetti attivi nel progetto. Senza un conflitto a complicare le cose, la data di inizio esercizio potrebbe collocarsi nella seconda metà dell’estate/inizio autunno, ma se la questione Ucraina dovesse esplodere, l’inizio dell’attività del Nord Stream II potrebbe essere rimandata a data da destinarsi.
L’evoluzione della situazione geopolitica si configura dunque cruciale per il rilassamento o l’inasprimento dei prezzi del gas europeo e qualunque news, sia ottimistica che pessimistica sul tema, comporta volatilità e reazioni forti sui prezzi.
Nell’insieme, nonostante la situazione del sistema gas europeo si sia alleggerita rispetto ai mesi scorsi, l’incertezza generale potrebbe non consentire al mercato di seguire stabilmente una direzione, almeno fino alla definizione della situazione geopolitica e al consolidarsi di un mood prevalente.
Cosa sono il contango e la backwardation? quando e come possono interessare il responsabile acquisti questi fenomeni per la gestione del suo contratto a portfolio management? I...
Leggi di più >Cosa sono il contango e la backwardation? quando e come possono interessare il responsabile acquisti questi fenomeni per la gestione del suo contratto a portfolio management?
I termini contango e backwardation sono utilizzati spesso per descrivere la situazione del mercato future delle commodities, ma non è semplice comprendere cosa queste due caratteristiche esprimano rispetto alle aspettative degli operatori di mercato.
In generale, allineando i prezzi forward in un grafico, dai prodotti con scadenza più vicina a quelli con scadenza più lontana, la curva che si ottiene è la cosiddetta curva forward. Ogni commodity ha una sua peculiare forma, a causa della stagionalità che caratterizza i diversi prodotti.
Contango indica una situazione in cui i prezzi forward aumentano con l’allontanarsi della scadenza rispetto al momento attuale. I prezzi spot e a breve termine sono dunque inferiori ai prezzi dei prodotti con scadenza a lungo termine. Questa condizione di mercato è la condizione di normalità dei prezzi forward delle commodities – lasciamo per un attimo indietro le specificità di gas ed energia elettrica – e indica una situazione di domanda e offerta standard. Il motivo per il quale i prezzi dei prodotti con scadenze più lontani sono maggiori è normalmente da imputarsi ad una serie di fattori tipici dei mercati delle commodities fisiche, fra i quali i costi di deposito o stoccaggio delle materie prime in attesa che la merce venga fisicamente consegnata a un acquirente.
Una situazione di anomalia nell’equilibrio fra domanda e offerta, sia attuale che prospettico, provoca un impatto sulla “normale” forma della curva forward.
Se la condizione di normalità è una curva in contango, un eccesso di offerta nel breve termine alla quale si contrappone una domanda più debole, comporta una amplificazione del contango, ovvero una maggiore differenza fra i prezzi spot (che si abbassano) e i prezzi forward a lungo termine (più alti). Viceversa, una domanda forte e un’offerta debole nel breve termine comporta una diminuzione della pendenza del contango, ovvero uno schiacciamento della curva che è dato dall’innalzamento dei prezzi spot (a causa della maggiore domanda) e dunque una minore differenza fra prezzi spot e prezzi forward.Quando questa situazione è estremizzata, ovvero la domanda è molto forte e l’offerta particolarmente limitata, da una situazione di riduzione del contango e appiattimento della curva si può passare a una situazione di backwardation.
Con il termine backwardation si indica una condizione di mercato in cui la curva forward ha una inclinazione opposta rispetto al contango, ovvero i prezzi spot e di breve termine sono più alti dei prezzi forward con scadenze più lontane nel tempo.
In generale la forma della curva forward, che sia in contango o in backwardation o che sia più o meno marcata la pendenza dell’uno o dell’altro, offre indicazioni utili sulle aspettative del mercato (espressione, a loro volta, di domanda e offerta). Inoltre, poiché a mano a mano che ci si avvicina alle scadenze dei contratti, i prezzi forward tendono a convergere verso i prezzi spot (perché i costi associati alla posizione forward vanno ad allinearsi con i costi e le aspettative associati alla posizione spot), la lettura di eventuali anomalie nella forma della curva offre degli spunti interpretativi del comportamento che potrebbe avere il mercato nel breve termine.
Tornando a energia elettrica e gas naturale, per poter comprendere come interpretare le variazioni della forma della curva forward, è necessario avere in mente quale sia l’effetto della stagionalità sui prezzi e dunque la “normale” forma della curva.
Riprendendo quanto abbiamo scritto nell’articolo stagionalità gas e power, sia il gas che l’energia elettrica, soprattutto in Italia dove il legame fra questi è molto stretto, hanno teoricamente una curva forward che vede il Q1 come il trimestre a prezzo più alto, seguito dal Q4 (entrambi sono affetti dalle temperature invernali e dunque dalla maggiore domanda di gas per uso civile), a seguire il Q3 (il più caro fra i trimestri estivi grazie alle temperature maggiori e dunque alla necessità di energia elettrica per condizionare gli edifici) e infine il Q2, trimestre più basso fra tutti a causa delle condizioni miti delle temperature.
A seconda del momento in cui si guarda la forma della curva dunque, la condizione “normale” della curva forward varia: guardando in primavera la curva forward fino al termine dell’inverno ci si aspetta che questa sia in contango, mentre a inizio anno guardando al Q2 dovrebbe essere visibile una backwardation di breve.
Contango e backwardation sono dunque la condizione “normale” a seconda del momento in cui ci si trova a guardare la curva forward.
Inoltre, la semplificazione qui proposta si basa sui prodotti trimestrali, i quali però sono composti da prodotti mensili che a loro volta hanno un prezzo diverso e una loro forma ipotetica all’interno del trimestre. Ad esempio, nel Q3 luglio dovrebbe essere il mese più caro, grazie alla morsa del caldo unita alla piena attività delle attività produttive, agosto il mese meno caro, a causa delle vacanze estive e settembre una via di mezzo, grazie alla ripresa delle attività dopo le vacanze e le temperature più miti.
Ciò che è fondamentale, quando si guarda alla curva forward, è comprendere se una situazione di contango o backwardation (e la relativa ampiezza) sia considerata “normale” oppure se è indice di una anomala condizione di domanda e offerta.
Ad esempio, nell’estate 2021, i prezzi spot molto alti a causa della scarsa offerta di gas, hanno raggiunto livelli più alti rispetto ai prodotti forward invernali che, in linea puramente teorica, avrebbero dovuto essere superiori rispetto ai prezzi estivi. La Backwardation che si è creata, assolutamente anomala rispetto alle condizioni standard della curva, ha avuto due conseguenze. La prima è stata una scarsa attrattività dei margini per l’iniezione di gas in stoccaggio, perché acquistare il gas in estate a un prezzo più alto per poi utilizzarlo in inverno vendendolo ad un prezzo teoricamente inferiore non appariva molto conveniente. La seconda conseguenza è stata una spinta bullish sulla curva: grazie ai prezzi spot elevati, la domanda di iniezione si è “spostata” in avanti nei mesi estivi successivi, che al momento avevano un prezzo inferiore rispetto ai prezzi spot, causando così il progressivo aumento dei prezzi su tutta la curva.
Le condizioni di anomalia della forma della curva esprimono dunque un disequilibrio rispetto a domanda e offerta che può essere utile per capire il mercato e avere una idea di come i prezzi potrebbero comportarsi in futuro.
Quando ci si occupa di energia elettrica o gas naturale non si può ignorare il fatto che si tratta di commodities, ovvero di materie prime standard (anche se per l’energia...
Leggi di più >Quando ci si occupa di energia elettrica o gas naturale non si può ignorare il fatto che si tratta di commodities, ovvero di materie prime standard (anche se per l’energia elettrica il termine materia prima non è esatto, ma rende l’idea) che vengono scambiate su mercati all’ingrosso europei/globali e che, per questo motivo, vi sia una componente di finanziarizzazione del mercato che ne determina alcune dinamiche rilevanti.
Col termine finanziarizzazione si vuole indicare l’esistenza di contratti puramente finanziari (detti derivati), in affiancamento ai classici contratti fisici, che vengono scambiati su mercati regolati o direttamente fra controparti in maniera bilaterale e che contribuiscono in maniera consistente alla creazione di una curva di prezzi forward ritenuta ufficialmente un riferimento per quel prodotto.
Un contratto si dice “fisico” quando è previsto che, a fronte di un prezzo fisso o variabile, venga consegnato, appunto, fisicamente il bene oggetto della compravendita. Fra le tematiche da contrattualizzare, vi è dunque anche il luogo fisico dove il bene verrà consegnato.
In ambito gas ed energia elettrica, un contratto standard fra controparti del mercato all’ingrosso comprende dunque un determinato quantitativo in MWh (anche per il gas si utilizza solitamente questa unità di misura), un periodo di delivery (ad esempio un mese, un trimestre o un anno), un profilo (standard di solito), un prezzo - fisso o variabile - e un punto di consegna. Lo scopo di un contratto fisico dunque è principalmente il reperimento del bene o della materia prima – gas naturale o energia elettrica – necessario a soddisfare una necessità.
A seconda di quale punto della catena del valore si osservi, esistono soggetti con una determinata necessità legata alla materia prima/al bene fisico: a monte i produttori di energia elettrica o gas hanno il bene/ la materia prima e devono venderla a qualcuno; a valle i consumatori hanno necessità di approvvigionarsi e devono fisicamente reperire il gas o l’energia elettrica da consumare.
Nel mezzo si trovano i soggetti che, sul mercato all’ingrosso, acquistano e vendono energia o gas naturale per soddisfare i bisogno delle controparti a monte (produttori) o a valle (consumatori). Sia a monte che a valle della filiera si esprime un bisogno fisico di materia prima ma anche una esposizione naturale al rischio prezzo.
Un produttore di energia elettrica avrà sempre la necessità di vendere l’energia che produce e per questo motivo sarà naturalmente esposto al rischio che il mercato oscilli, diminuendo o azzerando il suo margine. Ugualmente, a valle i consumatori avranno sempre necessità di utilizzare il gas naturale o l’energia elettrica e saranno esposti naturalmente al rischio che il prezzo di queste commodities salga e il costo energetico aumenti.
Ecco che da questa necessità nascono i prodotti finanziari, o derivati, che sono degli strumenti finanziari utilizzati soprattutto per coprirsi dal rischio che i prezzi in futuro si muovano nella direzione meno opportuna rispetto al proprio bisogno e che consentono di fissare in anticipo un prezzo per un bene o una materia prima che sarà consumata/acquistata o prodotta/venduta in futuro.
Un contratto finanziario ha le stesse caratteristiche di un contratto fisico ma non prevede la consegna del bene acquistato. Il valore del prodotto finanziario, detto anche derivato, deriva (appunto) da quanto si discosta il prezzo a cui viene negoziato rispetto ad un indice sottostante di riferimento.
Ad esempio, un contratto finanziario classico sul prodotto calendar Italia 2022, come i futures negoziati sul mercato EEX, prevede che, una volta stabilito un prezzo fra le parti, l’acquirente paghi questo prezzo e riceva in cambio un prezzo variabile (in questo caso il PUN) di tutte le ore e i giorni definiti nella durata.
Nella pratica, esprime il valore guadagnato o perso quando si sceglie di acquistare o vendere un prodotto fisico a prezzo fisso. Se il mercato sale, il prezzo fisso a cui si è acquistato sarà più basso del prezzo indicizzato a cui si vende, realizzando un guadagno. Al contrario, se i prezzi scendono, l’acquisto a prezzo fisso si rivela di fatto una perdita.
A prima vista non è immediato comprendere l’utilità di un contratto finanziario, considerando che non viene scambiato fisicamente alcun bene o materia prima, ma questo tipo di prodotto ha alcune caratteristiche che lo rendono invece molto importante.
Innanzitutto bisogna comprendere il beneficio di svincolare l’approvvigionamento o la vendita del bene (gas o energia) dal prezzo al quale lo si acquista o vende. Non sempre è facile trovare una controparte disposta a vincolarsi a lungo in un contratto fisico di acquisto o vendita con un prezzo fisso, perché il valore di un bene in un futuro lontano non è di immediata comprensione.
Per questo motivo, scindere la componente di prezzo dal reperimento o dalla vendita fisica offre un vantaggio non indifferente, ovvero una maggiore flessibilità. Ecco un esempio molto semplice per comprendere questo concetto: un cliente industriale deve approvvigionarsi di energia elettrica o gas per i prossimi 15 anni e, nonostante sia certa la necessità di reperire fisicamente l’energia o il gas, preferisce non chiedere un prezzo fisso.
Richiede invece una fornitura a prezzo variabile, ma con l’aggiunta dell’opzione di fixing, in modo da assicurarsi la fornitura fisica, da un lato, rimanendo a prezzo indicizzato fino a quando non ritiene opportuno richiedere la fissazione del prezzo di una parte del suo contratto. Il reperimento dell’energia o del gas è dunque svincolato dalla fissazione del prezzo, che viene gestito, di fatto, come una componente “finanziaria” separata dall’acquisto della materia prima.
Riprendendo l’esempio precedente, se si affianca l’utilizzo dello stesso prodotto finanziario all’acquisto fisico dell’energia elettrica a prezzo variabile, ecco che si ottiene il medesimo risultato di un acquisto di energia elettrica a prezzo fisso (a parità di prezzo variabile di riferimento e di quantità e periodo di delivery).
Un altro vantaggio dei derivati finanziari è che, diversamente da un contratto di natura fisica, possono essere acquistati e venduti più volte prima del periodo di delivery, consentendo di approfittare di salite o discese dei prezzi di mercato in maniera totalmente svincolata dall’approvvigionamento o dalla vendita fisica di energia elettrica o gas. Questa caratteristica li rende interessanti anche per investitori che non hanno necessità fisiche di approvvigionamento o di vendita, ed ecco perché si sente parlare spesso di speculazione o di trading.
Al di là della consegna fisica o meno del gas o dell’energia elettrica, i prodotti fisici e finanziari finanziari sono assimilabili in tutto e per tutto come risultato economico e come riferimento di prezzo.
Fra i vantaggi dei derivati finanziari c’è però una maggiore liquidità. I soggetti che hanno necessità di coprirsi dal rischio prezzo, infatti, possono agevolmente acquistare o vendere prodotti finanziari senza dover necessariamente concludere un contratto fisico a prezzo fisso. Inoltre lo scambio di prodotti finanziari consente di prendere delle posizioni puramente speculative senza impegnarsi nella consegna o nel ritiro fisico del bene sottostante.
Di contro va detto che tutti i prodotti finanziari sono standard e questo obbliga i soggetti che necessitano di copertura ad assumersi il rischio che il proprio profilo di consumo o di produzione non sia perfettamente coperto dal prodotto finanziario.
I mercati regolati sono delle piattaforme sulle quali gli operatori abilitati possono vendere o acquistare energia elettrica o gas naturale. Diversamente da quanto accade per i...
Leggi di più >I mercati regolati sono delle piattaforme sulle quali gli operatori abilitati possono vendere o acquistare energia elettrica o gas naturale.
Diversamente da quanto accade per i contratti bilaterali, nei quali due controparti si interfacciano fra loro e negoziano direttamente una transazione, sui mercati regolati il mercato stesso si configura come controparte centrale di tutte le transazioni. Non è necessario dunque identificare una controparte, negoziare direttamente con essa, esporsi finanziariamente a vicenda, ma grazie alle piattaforme ogni transazione avviene fra l’operatore e il mercato stesso.
Questo meccanismo consente agli operatori di essere tutelati rispetto ad alcuni rischi, come il rischio credito o il rischio che la controparte venga meno, per qualunque motivo, agli accordi negoziati. Inoltre questo agevola la liquidità e l’incontro fra domanda e offerta.
Per quanto alcune caratteristiche siano comuni fra i vari mercati regolati, le diverse piattaforme hanno alcune peculiarità, a seconda che si tratti di mercati spot o mercati future, che si negozi gas naturale o energia elettrica.
I mercati spot sono il luogo in cui ci si scambia power o gas sul breve termine, tipicamente il day ahead e i prodotti intraday. Per quanto riguarda l’energia elettrica, il mercato spot italiano è gestito dal Gestore dei Mercati Energetici – GME –, mentre per una buona parte dei mercati dell’Europa centrale, come Francia o Germania, il mercato regolato si chiama EPEX Spot.
Su queste piattaforme, per ciascuna ora del giorno, il meccanismo di mercato prevede l’incrocio fra domanda e offerta, ordinate in ordine di prezzo; il prezzo si forma per ciascuna ora nel punto in cui le quantità in acquisto (domanda – in arancione nel grafico qui di seguito) eguagliano le quantità in vendita (offerta – in verde nel grafico).
Per il gas, invece, in Italia il mercato spot è gestito dal GME, all’estero da European Energy Exchange - EEX - (ex Powernext). Il mercato spot del gas naturale non ha una granularità oraria, come accade per l’energia elettrica, ma giornaliera.
I prezzi che si formano sui mercati spot dell’energia elettrica (come il PUN) sono il riferimento per i prezzi dei mercati future quando i prodotti entrano in delivery. Per quanto riguarda il gas, invece, come riferimento per i contratti forward o future sono più utilizzati indici di diversa derivazione, come ad esempio quelli pubblicati da Heren.
I mercati future, invece, sono piattaforme di contrattazione continua su cui i venditori e i compratori si scambiano quantità di gas ed energia elettrica con periodo di consegna differito nel tempo e profili standard. Sul mercato EEX, European Energy Exchange, si negoziano future sull’energia elettrica che non prevedono la consegna fisica dell’energia, ovvero prodotti puramente finanziari, in relazione ai diversi mercati nazionali (Italia, Germania ecc). Sulle piattaforme di Ice Future e EEX (ex Pegas), invece, si negozia il gas naturale e la consegna fisica è solitamente prevista di default.
Su queste piattaforme, affinché una transazione abbia luogo, l’operatore deve interagire sulla piattaforma dove altri operatori avranno a loro volta mostrato le proprie intenzioni ad acquistare o vendere un determinato prodotto e una determinata quantità. Le diverse transazioni vengono ordinate per fare in modo che il prezzo visibile sia, da un lato, il più alto prezzo a cui qualcuno è disposto ad acquistare (il cosiddetto best bid) e, dall’altro, il prezzo più basso a cui qualcuno è disposto a vendere (best ask).
Ogni giorno, dopo la chiusura dei mercati, viene pubblicato il cosiddetto prezzo di settlement, ovvero un prezzo di riferimento che sia significativo delle diverse transazioni avvenute nel giorno per ciascun prodotto. Questo è il prezzo che viene poi utilizzato anche come riferimento per i grafici e le analisi che vengono effettuati o pubblicati ex post.
Innanzitutto i mercati regolati offrono sui loro siti internet la possibilità di vedere, gratuitamente, l’andamento dei prezzi, del giorno stesso o di un periodo di tempo definito (es: ultimo mese, ultimo anno) sotto forma di grafico. E’ utile per chi non si occupa quotidianamente di mercati poter consultare con poco sforzo questi siti per seguire, almeno qualitativamente, l’evoluzione dei prezzi nel tempo.
Inoltre, i prezzi che si formano sui mercati regolati sono un importante riferimento di prezzo per i contratti di fornitura indicizzati, sia per il periodo di consumo (delivery) che per il periodo precedente, poiché, ricordiamoci, i prezzi future esprimono la migliore approssimazione dei prezzi medi che potrebbero verificarsi in futuro sul mercato spot, secondo gli operatori.
La richiesta di fixing o in generale la fissazione di un prezzo per la fornitura di energia elettrica o gas naturale, risulta in questo periodo molto onerosa non solo a causa del...
Leggi di più >La richiesta di fixing o in generale la fissazione di un prezzo per la fornitura di energia elettrica o gas naturale, risulta in questo periodo molto onerosa non solo a causa del livello assoluto dei prezzi o dei maggiori costi finanziari derivanti da questi aumenti (ne abbiamo parlato nell’articolo Fixing e prezzi alti, quali conseguenze?), ma anche in buona parte a causa della volatilità e della liquidità del mercato.
Quando un cliente richiede un fixing, il fornitore, per essere in grado di fare un’offerta al cliente e coprirsi a sua volta, fa riferimento ai prezzi del mercato all’ingrosso. Qui, per ogni prodotto standard della curva forward è presente una quotazione che è data da un bid (il prezzo più alto a cui gli operatori sono in quel momento disposti ad acquistare) e un ask (il più basso prezzo a cui gli operatori sono disposti a vendere).
Quando il bid/ask, ovvero la differenza fra il migliore bid e il migliore ask, è di pochi centesimi di €/MWh, significa che è veloce e poco costoso aprire e chiudere delle posizioni, che ci sono molti operatori attivi sul mercato e alti volumi scambiati e dunque si dice che la liquidità è elevata. Viceversa, se la differenza è ampia, è difficile che la domanda e l’offerta si incontrino e dunque le transazioni sono più lente e meno numerose e la liquidità in questo caso si dice bassa.
Il prezzo “fair” o “giusto”, è normalmente la media fra il bid e l’ask, il punto di incontro ideale fra la domanda e l’offerta. Maggiore è la liquidità, più la differenza fra il prezzo “fair” e il bid o l’ask è inferiore. Con liquidità bassa, invece, il prezzo “fair”, ovvero il prezzo medio, ha una differenza consistente rispetto al bid o all’ask e questo comporta una maggiore difficoltà nel negoziare una transazione.
Quando il fornitore deve fare una quotazione al cliente, dunque, l’alta o bassa liquidità ha un impatto diretto sul prezzo del fixing. In un momento di alta liquidità il fornitore non ha difficoltà a negoziare una transazione sul mercato, il prezzo da lui ottenuto sarà molto vicino al prezzo di ask e a poca distanza dal prezzo “fair”. Per questo motivo non sarà necessario richiedere una commissione molto elevata al cliente.
In un momento di scarsa liquidità, il fornitore potrebbe non riuscire a chiudere facilmente la transazione, nemmeno pagando un prezzo più alto del prezzo ask. Per questo motivo il prezzo offerto al cliente dovrà essere abbastanza elevato da consentire al fornitore di coprirsi a sua volta e sarà tendenzialmente molto maggiore di quello “fair”.
La volatilità del mercato rappresenta l’ampiezza delle oscillazioni dei prezzi in un determinato periodo di tempo. Quando viene richiesto un fixing da un cliente, anche la volatilità è un elemento di impatto non trascurabile sull’offerta fatta dal fornitore. Non solo l’indicazione del prezzo, ma anche la durata temporale dell’offerta (entro cui il cliente ha facoltà di confermare o rifiutare il fixing proposto dal fornitore) sono dipendenti dalla volatilità del mercato.
Quando la volatilità è bassa, le oscillazioni di prezzo sono moderate ed è minore il rischio che il mercato salga e superi il livello di prezzo a cui il fornitore tendenzialmente dovrebbe coprirsi. Viceversa, se il mercato è molto volatile, è più facile che le oscillazioni provochino il superamento del prezzo di riferimento del fornitore e che questi possa subire una perdita.
Per questo motivo, quando la volatilità è bassa il prezzo che viene offerto dal fornitore solitamente incorpora una componente contenuta di maggiorazione a tutela del margine del fornitore e la durata dell’offerta di fixing è più lunga. Viceversa, con una volatilità elevata, il fornitore tenderà a proporre un prezzo maggiore per non rischiare di subire una perdita e il tempo di validità dell’offerta potrebbe ridursi.
Maggiore è la durata dell’offerta richiesta dal cliente, maggiore dovrebbe essere, a parità di condizioni, il prezzo proposto dal fornitore, in modo che possa tutelarsi dalle oscillazioni dei prezzi per il tempo necessario al cliente per accettare o meno l’offerta di fixing.
In periodi di bassa liquidità e/o alta volatilità il fixing tende dunque a risultare più oneroso per il cliente, a causa della necessità del fornitore di tutelarsi a sua volta. Questo non significa che, nonostante tutto, non valga la pena richiedere dei fixing, ma solo che le condizioni di mercato potrebbero comportare dei costi addizionali.
La scelta di fissare o meno il prezzo di una quota della propria fornitura dovrebbe comunque basarsi sulla view di mercato e sulla valutazione del rischio che mantenere un prezzo indicizzato comporta.
In periodi in cui gas ed energia elettrica hanno prezzi molto alti per molto tempo, come sta succedendo in Europa ormai da qualche mese, alcuni temi tipici del mercato...
Leggi di più >In periodi in cui gas ed energia elettrica hanno prezzi molto alti per molto tempo, come sta succedendo in Europa ormai da qualche mese, alcuni temi tipici del mercato all’ingrosso, come i costi finanziari, la liquidità o la volatilità dei mercati diventano estremamente critici per i fornitori e si ripercuotono a valle, fino ad impattare il cliente finale della fornitura.
Per comprendere queste dinamiche è necessario analizzare quali sono le attività e i costi relativi all’approvvigionamento di gas o energia elettrica che un fornitore tipicamente sostiene quando ha un portafoglio di clienti a cui vende questi beni.
Per acquistare fisicamente gas o energia elettrica da una controparte o dal mercato spot, a prescindere dalla formula di prezzo scelta dai clienti, un fornitore deve fornire delle garanzie finanziarie a copertura dei suoi acquisti. Queste sono solitamente dimensionate rispetto ai volumi acquistati e al valore in € (chiamato nozionale) corrispondente.
Se il prezzo del gas è passato da 20 €/MWh a 80 €/MWh, a parità di volumi acquistati, una garanzia finanziaria di importo fisso, oggi, sarà sufficiente a coprire (molto) meno della metà delle quantità coperte l’anno scorso. Nella pratica questo si traduce in aumentate (triplicate o quadruplicate) necessità finanziarie a parità di volumi di gas o energia elettrica acquistati.
La conseguenza diretta è che un fornitore deve oggi affrontare costi finanziari molto maggiori rispetto a qualche mese fa, solo per potersi approvvigionare fisicamente del gas o dell’energia elettrica necessari a soddisfare i suoi clienti, a prescindere dalla formula di prezzo richiesta da questi ultimi.
Aumentati costi finanziari sono dovuti anche ai maggiori squilibri di cassa dei fornitori tipici dell’attività di vendita. Se un cliente che acquista energia elettrica o gas paga la sua fornitura a 30-60-90 giorni dal mese del consumo (a seconda delle condizioni contrattuali), il fornitore tipicamente paga molto prima l’energia elettrica o il gas che ha acquistato. I termini di pagamento variano da una/due settimane dopo il prelievo – termini tipici dei mercati spot – a 15/20 giorni dopo il termine del mese di consumo secondo gli standard contrattuali fra controparti. Se i prezzi di gas ed energia elettrica aumentano, tendenzialmente lo squilibrio di cassa che ne deriva è amplificato e questo può causare un aumento nei costi finanziari del fornitore.
Oltre ai costi finanziari precedenti, comuni a tutte le formule di prezzo (fisso o variabile), un ulteriore costo finanziario si palesa quando si parla di fixing. Quando un cliente desidera fare un fixing su una quota dei suoi consumi, infatti, il fornitore si trova a sua volta a dover effettuare una copertura finanziaria per bloccare il prezzo offerto al cliente e non rimanere esposto alla variabilità dei prezzi.
Quindi il fornitore dovrà rivolgersi a una controparte o al mercato direttamente per stipulare un contratto finanziario e, neanche a dirlo, per poterlo fare è necessaria o una garanzia finanziaria o un deposito cash, dimensionato, ancora una volta, rispetto al nozionale (prezzo x quantità). Anche in questo caso, prezzi più alti significa garanzie o depositi di maggiore entità rispetto a qualche mese fa e dunque costi maggiori per il fornitore e, di conseguenza, maggiori costi anche per il cliente.
Fra i costi finanziari che vengono sostenuti dai fornitori per l’attività di vendita di gas ed energia elettrica ad un portafoglio di clienti finali, quelli sopra citati sono i più rilevanti come impatto diretto sul cliente nel momento di mercato attuale. Gli aumenti dei prezzi costringono dunque i fornitori a sostenere dei costi molto maggiori rispetto all’anno scorso e questo normalmente viene incorporato nelle offerte che vengono fatte ai clienti. Non solo, dunque, la fornitura risulta più onerosa a causa del livello assoluto dei prezzi, ma anche, indirettamente, a causa di come questi aumenti si ripercuotono sui costi finanziari dell’intera filiera energetica.
Nel 2020 i mercati hanno avuto un crollo a seguito del covid, nel 2021 la crescita dei prezzi di gas ed energia elettrica è stata continua e inarrestabile. Mai come in questi...
Leggi di più >Nel 2020 i mercati hanno avuto un crollo a seguito del covid, nel 2021 la crescita dei prezzi di gas ed energia elettrica è stata continua e inarrestabile.
Mai come in questi ultimi due anni è stato cruciale saper compiere le scelte giuste al momento giusto. Quali lezioni abbiamo imparato? E come queste possono aiutarci a migliorare l’approccio per l’ottimizzazione dei costi energetici in futuro?
Sbagliando si impara, o per lo meno dovrebbe essere così. A volte però capita di sovra reagire ad alcuni errori compiuti in passato, facendo esattamente l’opposto ed incappando invece in una situazione ancora peggiore.
Un tipico esempio di sovra reazione: un cliente per il 2020 ha avuto un contratto a prezzo fisso, non ha potuto approfittare del ribasso dei prezzi dovuto al covid, pagando più cara la sua fornitura, e per questo motivo ha deciso di scegliere un contratto totalmente a prezzo variabile per il 2021. Nel corso del 2021 sicuramente avrà rimpianto questa decisione, per la quale non ha tenuto in considerazione altro se non la delusione dell’anno precedente.
Bisogna ricordare che il mercato non si comporta necessariamente allo stesso modo da un anno al successivo e la soluzione che sarebbe stata “vincente” l’anno prima può essere la più disastrosa l’anno dopo.
Per questo motivo è utile pianificare l’approccio alla gestione della fornitura con gli strumenti adeguati. Un prezzo variabile con fixing consente il maggior grado di flessibilità possibile e può essere una scelta opportuna per la propria fornitura sia negli anni in cui i prezzi scendono, se si è correttamente optato per il prezzo variabile, sia negli anni di prezzi alle stelle, se i fixing sono stati richiesti al momento giusto.
Ogni cliente è diverso da un altro: cambiano i volumi e il tipo di fornitura, e cambia anche la propensione al rischio. Su quest’ultimo punto non sempre i clienti sono esperti, e può quindi diventare necessario per il fornitore non solo trovare la strategia migliore per il proprio cliente, ma anche accompagnarlo verso il rischio più adatto a lui, ricordando che le strategie di fixing cambiano anche a seconda della propensione.
L’accompagnamento del cliente verso il suo profilo può svilupparsi in diversi modi: ad esempio, con un test di propensione al rischio. In parole povere, avere tempo e risorse da dedicare alla conoscenza dei propri clienti e ad un trattamento impostato a partire dalle loro caratteristiche è una delle pratiche migliori che un fornitore possa mettere in atto.
Per quanto sia fastidioso ammetterlo, in alcuni periodi più che migliorare il prezzo di fornitura è necessario concentrarsi sul limitare le perdite. Quest’anno molti clienti, davanti alla rapida salita dei prezzi e nonostante le previsioni di continuo rialzo, hanno preferito non richiedere dei fixing nella speranza di un ribasso, prima o poi, piuttosto che fissare un prezzo molto alto, mettendo di fatto nero su bianco un costo elevato.
In questi casi, soprattutto di fronte a dei prezzi talmente alti da non avere precedenti, è difficile compiere scelte così importanti con razionalità ed è normale che diminuisca la fiducia nelle previsioni di mercato a fronte di una speranza, seppur minima, che il mercato cambi direzione. Per evitare di trovarsi impreparati di fronte a una situazione così critica, sarebbe utile pianificare con anticipo un limite massimo superato il quale richiedere dei fixing e limitare le perdite, quantomeno su una porzione di profilo. L’utilizzo delle cosiddette stop loss è ciò che spesso può fare la differenza fra una gestione corretta ed una eccessivamente rischiosa.
Se questi due anni ci hanno insegnato qualcosa, quindi, probabilmente la lezione principale è che è necessario un approccio strutturato e razionale alla gestione dei costi energetici. Servono gli strumenti giusti per seguire i mercati, serve la flessibilità del contratto (prezzo variabile con fixing), ma serve anche una linea guida per prendere le decisioni corrette nei momenti critici, pianificando come affrontare al meglio le diverse situazioni.
Anche anticipare la contrattualizzazione può essere una buona idea. Poiché la flessibilità offerta da un contratto indicizzato con possibilità di fixing è maggiore all’aumentare del tempo a disposizione prima dell’inizio della delivery (quando cioè si consuma effettivamente), attivare il contratto pochi mesi prima dell’inizio dei consumi limita di fatto i potenziali benefici di questa opzione.
Anticipare la contrattualizzazione per poter valutare eventuali fixing su un intervallo più lungo aumenta le possibilità di ottimizzazione, oltre a rendere di fatto meno stressante la gestione della propria fornitura.
La produzione di energia elettrica da carbone o lignite è sicuramente una delle più antiche e consolidate in Europa, dove le scorte di carbone (e lignite) sono abbondanti,...
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La produzione di energia elettrica da carbone o lignite è sicuramente una delle più antiche e consolidate in Europa, dove le scorte di carbone (e lignite) sono abbondanti, soprattutto nell’area centro orientale. La disponibilità in loco e la semplicità di estrazione e di sfruttamento di questo combustibile fossile possono esser considerati le basi su cui si è sviluppata la rivoluzione industriale in Europa.
Anche in tempi recenti il carbone è stato ampiamente sfruttato per la produzione termoelettrica, sia in Italia che nel resto di Europa, ed è tuttora una componente importante del mix energetico di molti paesi, come la Germania (ne abbiamo parlato anche nell’articolo Energia rinnovabile, mix energetico e spinta green europea), la Polonia e i paesi dell’est Europa.
Il prezzo del carbone dunque risulta essere un driver importante per il prezzo dell’energia elettrica, soprattutto in relazione al mercato tedesco e, grazie alle numerose interconnessioni fra i paesi del centro Europa, il suo impatto filtra anche nelle dinamiche dei mercati limitrofi.
Ecco quindi che si parla del cosiddetto “clean dark spread” (abbreviato CDS), ovvero la formula che esprime la marginalità del produrre energia elettrica utilizzando il carbone, al netto del costo della CO2 emessa nel processo di combustione.
Poiché il costo della CO2 è stato basso per molti anni, produrre energia elettrica da carbone, pagando cifre molto basse per le (alte) emissioni prodotte, è sempre stato piuttosto conveniente rispetto alla produzione elettrica da gas naturale. Proprio per questo motivo, l’energia elettrica in Germania, in passato, aveva un prezzo molto inferiore rispetto all’energia in Italia, dove si utilizza in prevalenza il gas naturale.
Per buona parte di quest’anno, a causa dell’aumento del prezzo delle emissioni di CO2, la marginalità del carbone è andata diminuendo. Poiché la produzione di 1 MWh di energia elettrica da carbone produce quasi una tonnellata di CO2, il costo della produzione termoelettrica a carbone si è avvicinato a quello della produzione da gas naturale (che emette oltre il 60% di CO2 in meno rispetto al carbone), introducendo fra gli elementi di impatto sui prezzi anche il “coal switch”.
Questo termine indica il punto di equivalenza fra il costo di produzione di 1 MWh elettrico da gas naturale o da carbone, ovvero il produrre energia utilizzando un combustibile o l’altro costa pressoché uguale.
Da qualche mese a questa parte, però, con la ripida crescita dei prezzi del gas naturale, la competizione fra gas naturale e carbone per la produzione termoelettrica è andata scemando, grazie agli ampi e maggiori margini economici garantiti dal carbone, nonostante l’aumento di prezzo della CO2.
La diminuzione della convenienza del carbone rispetto al gas naturale è un elemento fondamentale per permettere all’Unione Europea di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. La parziale o totale dismissione delle centrali elettriche a carbone e lignite, le più emissive in termini di CO2 e anidride solforosa, è stata pianificata da diversi paesi (fra i quali, in testa, proprio la Germania), ma solo l’annullamento della marginalità può effettivamente spingere verso una dismissione del carbone che sia giustificabile non solo politicamente ma anche, soprattutto, economicamente.
Questa progressiva modifica della composizione del mix energetico europeo, però, se da un lato consentirà di diminuire le emissioni, dall’altro pone non pochi problemi strutturali. Le centrali a carbone e lignite sono tendenzialmente a copertura della fascia baseload, producono cioè quasi 24/7, a causa delle alte temperature raggiunte nel processo che limitano fortemente la flessibilità e la modulabilità degli impianti.
E’ possibile presumere che il solo aumento delle rinnovabili previsto non sarà sufficiente a garantire la copertura delle ore di baseload per subentrare al carbone a causa della non programmabilità e variabilità di sole e vento. Questo apre la strada all’ulteriore sviluppo del gas naturale come risorsa di flessibilità per far fronte alla non programmabilità delle rinnovabili, garantendo maggiore sicurezza e stabilità del sistema elettrico europeo.
Un’altra conseguenza della futura dismissione delle centrali a carbone riguarda il potenziale di autosufficienza energetica europea. Nonostante per svariati motivi una quota consistente del carbone utilizzato in Europa provenga dal Sud Africa, e sia dunque soggetto alle dinamiche tipiche dell’approvvigionamento dall’estero, non si può non considerare che il carbone e la lignite in realtà sono combustibili “autoctoni”, ovvero sono presenti diverse miniere in Europa che possono essere sfruttate per estrarre la materia prima da utilizzare per la produzione elettrica.
L’eliminazione del carbone dal mix energetico europeo e la dismissione delle centrali comporterà un aumento della dipendenza europea dall’import di materie prime da paesi esteri e di conseguenza una sempre maggiore incapacità dell’Europa di essere potenzialmente autosufficiente a livello energetico.
Si sente spesso parlare di stop loss e take profit in riferimento ai contratti di fornitura indicizzati con possibilità di fixing. Qual è il significato di questi termini derivati...
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Si sente spesso parlare di stop loss e take profit in riferimento ai contratti di fornitura indicizzati con possibilità di fixing. Qual è il significato di questi termini derivati dal trading e perché può essere utile imparare ad usarli?
Normalmente, entrambi questi termini indicano un’operazione (acquisto o vendita) con la quale si mette fine alla propria esposizione rispetto ai movimenti dei prezzi di mercato. Nel caso della “stop loss”, ovvero letteralmente “stop alle perdite”, si chiude una posizione che genera una perdita, onde evitare che i movimenti di mercato provochino danni ulteriori ritenuti non accettabili. Nel caso del “take profit”, ovvero “prendi il profitto”, si chiude una posizione che sta generando un guadagno, per consolidare il profitto atteso e non rischiare che i movimenti di mercato possano erodere il margine positivo ottenuto.
Entrambi i termini portano con sé una componente di valutazione (ho fatto bene, ho fatto male, sto guadagnando molto, sto perdendo troppo) che non può prescindere dalla comparazione fra il prezzo di mercato e un prezzo di riferimento (o benchmark). Per esempio, se un trader ha acquistato 1 MW di calendar 2022 ad un prezzo di 100 €/MWh, il guadagno (se il prezzo del mercato sale) o la perdita (se questo scende) sono dati dalla differenza fra il prezzo di mercato e il prezzo a cui è stato acquistato il calendar.
La stop loss sarà dunque quel livello di prezzo oltre il quale la differenza rispetto al prezzo di acquisto genera una perdita eccessiva e che comporta la chiusura immediata della posizione. Il take profit, ugualmente, sarà quel livello di prezzo oltre il quale la differenza rispetto al prezzo di acquisto genera un profitto sufficiente e il trader desidera chiudere la posizione per realizzare il guadagno.
Calando questi termini nel mondo dei contratti di fornitura indicizzati con fixing, una “stop loss” è la richiesta di un fixing in un momento in cui il mercato è bullish, per fermare le perdite ed evitare che il costo della propria fornitura lieviti ulteriormente (prezzo massimo). Viceversa, un take profit è la richiesta di fixing per approfittare di un mercato in discesa e fissare un prezzo ritenuto conveniente per la propria fornitura (prezzo target).
Anche in questo caso è necessario identificare un livello di riferimento benchmark che ci consenta di valutare la “perdita” o il “guadagno” e dunque anche definire la stop loss e il take profit.
Molto spesso un cliente utilizza come benchmark il prezzo stabilito in sede di budget, al di sopra del quale il prezzo della fornitura viene considerato “alto” e al di sotto del quale, viceversa, sarà considerato “basso”. Di conseguenza, la stop loss del cliente è quel livello di prezzo oltre il quale il costo della fornitura è ritenuto “non accettabile” perché troppo alto rispetto al benchmark utilizzato. Se il mercato dovesse raggiungere questo livello, dunque, farà scattare l’immediata richiesta di fixing per non incorrere in un aggravio ulteriore dei costi di fornitura. Il take profit del cliente, viceversa, sarà quel livello di prezzo considerato così “conveniente” rispetto al prezzo benchmark da richiedere subito un fixing per non rischiare di perdere l’opportunità di risparmio.
Questo tipo di valutazione però, se non affiancata da una view di mercato e da un’attenta analisi delle dinamiche dei prezzi attuali, rischia di soffrire di una rigidità che non consente di approfittare appieno della flessibilità offerta dal contratto di fornitura indicizzato con fixing.
Infatti, può accadere che, in un mercato bullish, la stop loss del cliente, sia talmente “bassa” rispetto al livello del mercato che prima viene ignorata, per il timore di fissare un prezzo molto alto, e poi abbondantemente superata, comportando perdite consistenti nella speranza di un ritracciamento del mercato. Viceversa, in un mercato ribassista, può capitare che il take profit del cliente venga esercitato troppo in fretta, non consentendo di approfittare ulteriormente del ribasso atteso, il che, a ben vedere, potrebbe smorzare l’entusiasmo dato dal risparmio conseguito.
Insomma, è corretto avere dei riferimenti di stop loss e take profit “interni”, ma il fatto che questi siano spesso parametrati in maniera statica rispetto a un prezzo di budget o rispetto ai costi dell’anno precedente potrebbe essere un elemento di disottimizzazione in un contesto di mercato che è dinamico e in evoluzione continua.
Seguendo l’evoluzione del mercato è possibile utilizzare il concetto di stop loss e take profit in maniera più flessibile, basandosi non più solo su un riferimento di prezzo “interno”, ma anche su un riferimento “di mercato”. Ad esempio, se il mercato si trova in una fase di ribasso ed il prezzo è considerato “conveniente” per un fixing (rispetto al prezzo benchmark del cliente) ma la view indica che i prezzi dovrebbero continuare a scendere, invece di richiedere il fixing oggi si potrebbe attendere l’ulteriore discesa prevista, stabilendo nel contempo un target, rispetto al prezzo odierno, oltre il quale chiedere un fixing limitando il rincaro, nel caso la view fosse smentita. Questo significa utilizzare una stop loss “di mercato”, parametrata cioè sulla base di un mercato che è in continua evoluzione invece che solo su un livello di benchmark statico.
Per utilizzare correttamente le stop loss e i take profit è necessario però conoscere la propria propensione al rischio. Non tutti i clienti sono disposti a rischiare di fissare un prezzo peggiore pur di avere la possibilità di seguire il ribasso previsto dalla view, così come non tutti sono disposti a stoppare le perdite quando il prezzo è ormai alle stelle, preferendo rischiare molto nella speranza che il mercato inizi a scendere. E’ giusto dunque adeguare l’individuazione delle stop loss al livello di rischio di ciascuno: una minore propensione al rischio comporta livelli di stop loss e take profit più stretti, che proteggano da perdite importanti a fronte, spesso, di una minore possibilità di risparmio; una elevata propensione al rischio, invece, consente di raccogliere tendenzialmente risparmi maggiori, a fronte di potenziali perdite più importanti.
La gestione di stop loss e take profit, inoltre, può essere impostata diversamente in base a quanto tempo rimane prima dell’inizio della delivery della fornitura. Avere mesi e mesi prima dell’inizio della fornitura consente di gestire i take profit e, soprattutto, le stop loss con maggiore tranquillità, perché il mercato potrebbe avere il tempo di cambiare assetto, mentre a poche settimane dall’inizio dei consumi il tempo per una eventuale discesa dei prezzi è molto più limitato.
Insomma, le possibilità di ottimizzazione offerte da un contratto di fornitura a prezzo indicizzato con fixing sono interessanti, ma senza un adeguato presidio del mercato e senza un approccio metodico alla gestione dei fixing è difficile riuscire a coglierle.
Abbiamo discusso durante l'ultimo webinar delle motivazioni che hanno portanto i prezzi del gas ad alzarsi e di quali possano essere le prospettive sui prossimi mesi. Siamo nel...
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Abbiamo discusso durante l'ultimo webinar delle motivazioni che hanno portanto i prezzi del gas ad alzarsi e di quali possano essere le prospettive sui prossimi mesi. Siamo nel mezzo di una crisi globale delle commodities energetiche. I prezzi del gas, del carbone, dell’energia elettrica sono arrivati a toccare dei livelli mai visti in precedenza.
Nonostante i prezzi abbiano leggermente ritracciato rispetto ai massimi raggiunti il 5 ottobre scorso, la situazione rimane estremamente critica. Critica sia per i maggiori costi energetici che dovranno affrontare le famiglie, sia, soprattutto, per l’impatto che questi hanno, e avranno, sul tessuto industriale europeo, già provato da un 2020 difficile a causa del covid. La ripresa dell’industria sembra essere fortemente a rischio e molte sono le imprese che stanno iniziando a ridurre, se non addirittura fermare, i processi produttivi a causa dei costi energetici troppo elevati.
Sebbene ci sia una importante componente di speculazione nell’aumento dei prezzi, la situazione è in realtà figlia di una serie di fattori, contingenti e strutturali, che hanno avuto - e avranno - un forte impatto sull’andamento dei prezzi.
L’inverno scorso è stato caratterizzato da freddo intenso e persistente in tutto l’emisfero nord. La domanda di gas è dunque aumentata, sia in Europa che, soprattutto, nell’area asiatica, fortemente dipendente dalle importazioni di gas naturale liquefatto. L’aumento dei prezzi asiatici (riferimento di prezzo JKM) ha di conseguenza attratto buona parte delle navi di GNL destinate all’Europa, che si è vista sottrarre una risorsa importante di flessibilità. L’Europa è dunque ricorsa ad un utilizzo massiccio del gas in stoccaggio, terminando l’inverno con livelli di gas stoccato al di sotto degli anni passati.
La stagione estiva in Europa è iniziata con un ritardo su tutti i fronti, sia per le temperature, che nel corso del mese di aprile sono rimaste sotto la media, sia per l’inizio delle iniezioni in stoccaggio che hanno avuto un posticipo di 3-4 settimane rispetto al solito.
La domanda asiatica, cinese nello specifico, ha avuto un forte incremento nel corso dell’anno rispetto agli anni passati. La motivazione della crescita della domanda cinese è da ricercarsi sia in fattori contingenti, nello specifico la ripresa economica post covid, sia in fattori strutturali, come il progressivo switch dal carbone al gas, che proseguirà massicciamente nei prossimi anni.
La conseguenza sul mercato europeo è evidente nella diminuzione di import di GNL che si è verificata nel corso di tutta l’estate. La maggiore attrattività del mercato asiatico non solo ha sottratto navi spot di GNL dall’Europa, ma anche supportato il progressivo aumento dei prezzi nel corso dell’estate.
L’inizio ritardato della stagione di iniezione, il gap maggiore con cui è iniziata l’estate e il disincentivo all’iniezione a causa dell’aumento dei prezzi estivi, quasi allineati con i prezzi invernali (backwardation), hanno fortemente impattato il livello degli stoccaggi nel corso di tutta l’estate. Il risultato è una situazione piuttosto critica per la flessibilità invernale del sistema gas europeo, che ha iniziato l’inverno termico (periodo ottobre-marzo) con livelli di gas in stoccaggio ai minimi degli ultimi 5 anni.
Un altro elemento che ha fortemente influito sulle dinamiche dei prezzi del gas nel 2021 è l’import europeo via tubo. Infatti, in Europa il flusso di gas via pipeline è stato inferiore rispetto agli anni passati, in particolare a causa di un calo dell’import dalla Russia.
Gazprom, infatti, nel corso dell’anno ha diminuito l’import di gas, in particolar modo dall’Ucraina e dalla Polonia, limitandosi a soddisfare i propri contratti long term e rinunciando ad incrementare l’import per approfittare dei prezzi decisamente alti. La mancata prenotazione di capacità addizionale nelle aste mensili, reiteratasi diverse volte nel corso degli ultimi mesi (l’ultima il 18/10), ha scatenato sul mercato la preoccupazione di non poter contare sull’aumento delle forniture russe per far fronte all’inverno, dando il via, da agosto in poi, al rally dei prezzi che ha portato il TTF da quota 40 €/MWh a oltre 160 (valore toccato intraday il giorno 5 ottobre).
Le motivazioni per questa strategia di Gazprom sono fonte di diverse ipotesi.
Prima fra tutte la questione Nord Stream II. E’ opinione diffusa che il braccio di ferro fra Russia e Europa (/USA) sulla questione del Nord Stream II sia il motivo della politica stringente di Gazprom, nella speranza di indurre le istituzioni europee a velocizzare l’avvio dell’operatività del tubo che ormai, nonostante le sanzioni, è stato completato ed è tecnicamente pronto per iniziare a importare in Europa 55 bcm/annui di gas. Nonostante Putin e Gazprom abbiano più volte smentito di utilizzare il gas come arma di ricatto e nonostante le diverse rassicurazioni sulla disponibilità ad aumentare i flussi verso l’Europa, la riduzione dei transiti sulle direttrici russe è tuttora critica.
La questione Ucraina è un altro tema che potrebbe aver condizionato le politiche di Gazprom. I rapporti fra Russia e Ucraina sono ormai incrinati, sia per ragioni commerciali, legate proprio al gas naturale, sia per ragioni politiche. L’intento di Gazprom, più volte dichiarato, di bypassare l’Ucraina nei transiti verso l’Europa, in favore di altre tratte, potrebbe aver pesato sulle scelte fatte dal colosso russo nel corso di quest’anno.
Le mosse di Gazprom potrebbero inoltre esser state impostate sulla massimizzazione del fatturato, da sempre driver principale delle strategie russe. La scelta di non approfittare del rialzo dei prezzi aumentando i flussi, a ben vedere, ha consentito a Gazprom di raggiungere un fatturato più alto a fronte di un export minore, mentre l’aumento dei flussi verso l’Europa avrebbe favorito un ribasso dei prezzi.
Ulteriori elementi di impatto sul mercato gas, sono derivati dal legame che il gas naturale ha con l’energia elettrica.
La domanda di gas per uso termoelettrico, nonostante l’aumento dei prezzi del gas, è rimasta consistente nel corso dell’anno. Il notevole aumento del prezzo della CO2 ha agevolato il gas come combustibile per la produzione di energia elettrica rispetto al carbone, il cui prezzo, fra l’altro, ha seguito un pattern di salita del tutto simile al prezzo del gas naturale. Complice la domanda della Cina che, da un anno a questa parte, ha iniziato ad insistere sullo stesso bacino di approvvigionamento dell’Europa, ovvero il Sud Africa, invece di sfruttare l’import dall’Australia, con la quale i rapporti si sono incrinati alla fine dell’anno scorso.
Anche lo scarso output di rinnovabili (in particolare eolico) che si è verificato in alcune aree europee ha supportato la domanda di gas per uso termoelettrico. Il gas, infatti, consente di sopperire con velocità e flessibilità alla variabilità delle rinnovabili non programmabili.
Sebbene non sia possibile imputare l’aumento dei prezzi del gas al minore output delle rinnovabili, è bene tenere presente che il ruolo del gas come strumento di bilanciamento della produzione rinnovabile, in futuro, sarà sempre più importante, soprattutto a valle dei piani fatti dall’Unione Europea con il Green Deal. Nel mix energetico europeo, infatti, dovranno salire sia la quota di rinnovabili che quella del gas, in favore di una diminuzione netta del carbone (il decommissioning di molte centrali a carbone, in particolar modo in Germania, è già in atto).
Dato il periodo storico particolare, stiamo ricevendo molte domande sul mercato della CO2 e sulla sua relazione con il prezzo dell'energia. Abbiamo pensato di raccoglierne alcune...
Leggi di più >Dato il periodo storico particolare, stiamo ricevendo molte domande sul mercato della CO2 e sulla sua relazione con il prezzo dell'energia. Abbiamo pensato di raccoglierne alcune nel nostro blog. Se dopo aver letto quest'articolo dovessi avere altri dubbi, ti invitiamo a leggere il nostro White Paper, "Capire il mercato della CO2 in 15 domande", che le raccoglie tutte.
Il prezzo della CO2 impatta prima di tutto i soggetti obbligati, ovvero i produttori di energia elettrica da fonti fossili, le industrie pesanti e il settore aviazione. Questo, di fatto, ha diversi risvolti a valle della catena del valore.
Per quanto riguarda il settore elettrico, il costo delle emissioni a carico del produttore va ad aggiungersi ai costi variabili della produzione, determinando un aumento del costo marginale e, di conseguenza, diminuendo il margine dell’attività a parità di prezzo di vendita dell’energia prodotta. Una prima conseguenza di questo aumento dei costi marginali è che gli impianti maggiormente colpiti dall’aumento del prezzo della CO2 (ovvero le centrali a carbone o lignite, che a parità di output elettrico emettono maggiori quantità di CO2) perdono progressivamente competitività, venendo fortemente penalizzati in favore degli impianti meno emissivi (come le centrali a gas naturale) e delle rinnovabili.
La progressiva diminuzione degli impianti di produzione elettrica da carbone e lignite operativi è, per inciso, uno degli obiettivi europei già dichiarati da tempo, proprio a causa del forte impatto ambientale di queste installazioni. Un'ulteriore conseguenza del maggior costo marginale degli impianti di generazione da fonti fossili è l’aumento del prezzo dell’energia elettrica (a parità di altri fattori come il costo dei fuels).
Per poter mantenere un margine sufficiente per l’attività di produzione, i produttori soggetti all’ETS devono vendere la propria energia a un costo superiore e questo si riverbera sul prezzo di mercato dell’energia elettrica. Infatti, nonostante la quota di rinnovabili nel mix energetico di tutti i Paesi europei sia in aumento, la produzione elettrica da fonti fossili è ancora piuttosto importante (in Italia, per esempio, circa il 40% dell’energia elettrica è prodotta da gas naturale). L’aumento del prezzo dell’energia elettrica sul mercato all’ingrosso, inoltre, si propaga a valle, nella catena del valore, impattando tutti i consumatori finali, sia domestici che industriali.
Parlando dell’industria pesante soggetta agli obblighi ETS, in particolare, notiamo che l’aumentato costo delle emissioni ha un duplice impatto. Un impatto diretto, ovvero un maggior costo dei titoli di emissione necessari per la compliance ETS annuale, e un impatto indiretto, che è dovuto all’aumento del costo per l’energia elettrica. Questo, di fatto, provoca una diminuzione dei margini e dunque una potenziale perdita di competitività che potrebbe, in qualche caso, comportare addirittura la rilocazione degli impianti in aree del mondo meno costose in termini di emissioni.
L’Unione Europea, conscia di questo rischio (rischio di carbon leakage), sta infatti cercando di implementare delle misure per supportare la competitività del tessuto industriale europeo. Di base, inoltre, le industrie europee colpite dall’incremento dei costi elettrici o di compliance, per poter far fronte alla diminuzione dei margini, sono costrette, quando possibile, ad aumentare il prezzo di vendita dei prodotti a scapito dunque dell’utente finale.
Nel 2020, in concomitanza con la revisione quinquennale degli obiettivi climatici stabiliti nell’ambito dell’Accordo di Parigi, l’Unione Europea ha presentato il cosiddetto “Green Deal” europeo, ovvero la strategia che si intende implementare per promuovere l’utilizzo razionale delle risorse, lo sviluppo di un’economia più sostenibile e la diminuzione delle emissioni di gas serra.
In questo piano di azione europeo sono contenute misure e obiettivi in ambito di energie rinnovabili, economia circolare, innovazione tecnologica e biodiversità volte a ridurre drasticamente l’inquinamento e le emissioni.
Il nuovo target di riduzione delle emissioni al 2030 è stato innalzato, dal -40% al -55% rispetto alle emissioni del 1990, per raggiungere entro il 2050 la neutralità.
Dato il periodo storico particolare, stiamo ricevendo molte domande sul mercato della CO2 e sulla sua relazione con il prezzo dell'energia. Abbiamo pensato di raccoglierne alcune...
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Abbiamo parlato a più riprese di ETS, ma non abbiamo mai analizzato il contesto, in particolar modo legislativo, che ha spianato la strada all’attuale sistema per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra.
Il più famoso caposaldo della lotta al cambiamento climatico e dell’impegno per la riduzione delle emissioni è stato il Protocollo di Kyoto, nel 1997. Questo infatti è stato il primo trattato internazionale in cui sono stati stabiliti degli obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni per i Paesi industrializzati che lo hanno sottoscritto.
I Paesi considerati in via di sviluppo non sono stati coinvolti negli obiettivi di riduzione delle emissioni per evitare di rallentare la loro crescita economica e di dover sopportare ulteriori costi e oneri.
Sottoscritto poi da più di 190 Paesi, il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore nel 2005, quando anche la Russia l’ha ratificato, ottenendo così l’impegno vincolante dei 55 Stati che, nel 1990, erano responsabili di oltre il 55% delle emissioni di CO2 generate a livello aggregato dai Paesi industrializzati. Nel Protocollo di Kyoto sono stati stabiliti degli obiettivi di riduzione delle emissioni (rispetto all’anno 1990, utilizzato come benchmark) per il periodo 2008-2012.
Nel 2015, a Parigi, si è poi tenuta la Conferenza sul clima in cui è stato stipulato un nuovo accordo importantissimo, chiamato “Accordo di Parigi”.
In questo storico accordo viene sostanzialmente eliminata la differenza fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo, stabilendo così accordi giuridicamente vincolanti per tutti i Paesi che lo hanno ratificato (che rappresentano almeno il 55% delle emissioni globali).
Considerando che la taglia media di una centrale attiva in Francia è di oltre 800 MW, ogni manutenzione implica che vengano a mancare quote davvero consistenti di produzione elettrica e dunque le manutenzioni vengono organizzate a rotazione, per fare in modo che non ci sia mai una sovrapposizione non gestibile di manutenzioni contemporanee.
Gli obiettivi stabiliti sono il mantenimento del surriscaldamento globale al di sotto dei 2°C rispetto al periodo pre-industrializzazione e l’incremento degli sforzi per conseguire la riduzione delle emissioni, arrivando nella seconda metà di questo secolo alla carbon neutrality (equilibrio fra emissioni e assorbimenti). L’Unione Europea, nel quadro dell’Accordo di Parigi, aveva dichiarato il proprio obiettivo di contenimento delle emissioni al 2030 (-40% rispetto alle emissioni del 1990).
Nel 2020, in concomitanza con la revisione quinquennale degli obiettivi climatici stabiliti nell’ambito dell’Accordo di Parigi, l’Unione Europea ha presentato il cosiddetto “Green Deal” europeo, ovvero la strategia che si intende implementare per promuovere l’utilizzo razionale delle risorse, lo sviluppo di un’economia più sostenibile e la diminuzione delle emissioni di gas serra.
In questo piano di azione europeo sono contenute misure e obiettivi in ambito di energie rinnovabili, economia circolare, innovazione tecnologica e biodiversità volte a ridurre drasticamente l’inquinamento e le emissioni.
Il nuovo target di riduzione delle emissioni al 2030 è stato innalzato, dal -40% al -55% rispetto alle emissioni del 1990, per raggiungere entro il 2050 la neutralità.
Gran Bretagna
Con la brexit, la Gran Bretagna, che era uno dei Paesi partecipanti dell’ETS europeo, ha dovuto avviare un ETS a sé stante (ETS UK), attivo da gennaio del 2021 e ad oggi strutturato in maniera similare all’ETS europeo.
L’ETS UK copre circa un terzo delle emissioni totali della Gran Bretagna e coinvolge le industrie energy-intensive, il settore della generazione elettrica e l’aviazione (all’interno di UK e dell’area Economica Europea).
L’ETS UK potrebbe essere allineato a breve con l’ETS EU per garantire ai settori coinvolti di non essere penalizzati o favoriti dal collocarsi a nord o a sud del Canale della Manica.
La Svizzera, ad esempio, dal 2008 ha istituito un sistema ETS, dal 2013 non più volontario ma obbligatorio, sostanzialmente allineato a quello europeo e che copre circa il 10% delle emissioni locali. Nel 2017 ha sottoscritto un accordo con l’UE per collegare i due ETS a partire da gennaio 2020.
Sono dunque riconosciuti reciprocamente i titoli di emissione delle due parti, che possono essere scambiati fra i registri. Questo accordo risulta utile per armonizzare i prezzi, conferendo maggiore liquidità e stabilità al mercato, oltre ad evitare la rilocalizzazione delle emissioni e la distorsione della concorrenza fra le due aree.
Nonostante già da alcuni anni fossero stati lanciati diversi progetti pilota di ETS regionali, solo nel 2021 è stato dato l’avvio al primo ETS nazionale cinese. Questo copre circa il 40% delle emissioni nazionali (oltre 4000 miliardi di tonnellate di CO2), interessando inizialmente circa 2.200 industrie attive nel settore della produzione elettrica e del calore e che emettono ciascuna più di 26mila tonnellate di CO2 all’anno.
Poiché questo meccanismo ha visto la luce solo recentemente, l’assetto attuale dovrà essere modificato per estendere gli obblighi di compliance ad almeno altri 7 settori altamente emissivi in Cina, ovvero petrolchimico, chimico, materiali da costruzione, acciaio, metalli non ferrosi, carta e aviazione nazionale. Oltre all’ampliamento del perimetro è previsto un progressivo aumento degli oneri e l’integrazione degli ETS regionali nell’ETS nazionale.
Nel resto del mondo sono diversi i sistemi ETS già funzionanti da tempo. Fra questi, ad esempio, troviamo ben due ETS in Canada, uno per il Québec, uno per la Nuova Scozia, entrambi basati su un meccanismo cap and trade che copre circa l’80% delle emissioni delle due province.
Anche negli USA sono attivi e in fase di avviamento diversi ETS a livello dei singoli stati della confederazione (es. California). Un sistema ETS obbligatorio attivo da anni è quello dell’area metropolitana di Tokyo, in Giappone, dove sono attivi anche altri ETS locali, ed è basato su un sistema cap and trade che impone a industrie, fabbriche, grandi palazzi e ad altre tipologie di soggetti che consumano ingenti quantità di combustibili fossili di ridurre progressivamente le loro emissioni al di sotto di determinati benchmark.
Restando nell’Area asiatica, anche la Corea del Sud si è dotata di un ETS da gennaio 2015, il primo meccanismo obbligatorio su scala nazionale nel continente e, fino a poco tempo fa, il secondo maggior mercato delle emissioni per dimensioni mondiali.
Molti altri ETS sono in via di valutazione nel mondo. L’Accordo di Parigi ha posto le basi per lo sviluppo dei mercati internazionali dei titoli di emissione e di un sostanzioso set di regole per contabilizzare le emissioni, motivo per cui in futuro è probabile che in tutti i Paesi aderenti all’Accordo si sviluppino delle forme di mercato delle emissioni per riuscire a raggiungere i target di riduzione prefissati.
Dopo il disastro di Fukushima del 2011 diversi stati dell’EU hanno pianificato la chiusura, nel tempo, delle proprie centrali nucleari, la maggior parte dei quali ormai vetuste....
Leggi di più >In Italia si è rinunciato al nucleare ormai decenni fa, ma uno dei Paesi a noi vicini ne è invece il leader indiscusso in Europa. La Francia, infatti, è il Paese europeo che sfrutta maggiormente l’atomo per la produzione di energia elettrica (vi si trovano infatti più della metà delle centrali nucleari europee), e il cui mix è caratterizzato da una quota di energia prodotta da nucleare al di sopra del 70% (solo nel 2020 questa percentuale si è attestata leggermente al di sotto del 70% a causa di manutenzioni prolungate delle centrali).
Nonostante i mix di generazione elettrica dei diversi Paesi europei siano caratterizzati da alcuni elementi di tipicità (ne abbiamo parlato anche nell’articolo Energia rinnovabile, mix energetico e spinta green europea), grazie alle interconnessioni fra le reti elettriche nazionali, le dinamiche che impattano un mercato locale (es. Italia o Francia o Germania) si ripercuotono anche sui Paesi limitrofi, con i quali ci sono scambi di energia elettrica alle frontiere.
La Francia esporta verso i paesi limitrofi una buona quota dell’energia elettrica prodotta dalle sue centrali nucleari (il net export annuale si avvicina al 10% dell’energia totale prodotta in Francia) e questo fa sì che la disponibilità delle centrali nucleari francesi impatti anche sui mercati elettrici del centro/sud Europa.
In particolare, l’Italia, che acquista all’estero circa il 10/15% dell’energia necessaria a soddisfare la domanda nazionale annuale, è fortemente legata alle dinamiche del mercato francese e, dunque, alla disponibilità e all’output delle centrali nucleari.
Vediamo quindi quali sono le peculiarità e le criticità legate alla generazione nucleare e come queste impattano i mercati europei dell’energia elettrica.
Se la produzione elettrica da gas naturale, come abbiamo detto più volte, è una delle forme di generazione più flessibile e modulabile, la produzione nucleare è invece piuttosto rigida e difficile da modulare. Per questo motivo il profilo coperto dalle centrali nucleari è tendenzialmente il profilo baseload (24/7).
Come per tutte le centrali, anche per gli impianti nucleari è necessaria una manutenzione periodica. La criticità del processo di fissione, unita all’obsolescenza degli impianti nucleari francesi (ma anche, in generale, europei visto che l’età media è superiore ai 35 anni), fa sì che le manutenzioni debbano essere programmate quasi una volta all’anno per ogni centrale attiva, con l’azzeramento dell’output elettrico che dura all’incirca 4/5 settimane.
Considerando che la taglia media di una centrale attiva in Francia è di oltre 800 MW, ogni manutenzione implica che vengano a mancare quote davvero consistenti di produzione elettrica e dunque le manutenzioni vengono organizzate a rotazione, per fare in modo che non ci sia mai una sovrapposizione non gestibile di manutenzioni contemporanee.
Le manutenzioni, quando possibile, vengono principalmente concentrate nel periodo estivo, quando la domanda e i prezzi sono generalmente inferiori, affinché il maggior numero possibile di centrali possa esser pronta per produrre a pieno regime nel periodo invernale, quando la domanda è al suo picco annuale.
La disponibilità del nucleare è un driver estremamente importante per il mercato elettrico francese e, di conseguenza, per i mercati limitrofi. Il prolungamento inaspettato di una manutenzione o l’outage non programmato di un impianto possono causare notevoli sbalzi nei prezzi dell’energia elettrica, soprattutto nei periodi critici come l’inverno, quando la domanda sia di gas che di energia elettrica è ai massimi e la mancanza di produzione nucleare deve essere rimpiazzata da altri impianti di generazione più costosi.
Inoltre, come abbiamo detto, la Francia è uno dei Paesi del centro Europa che esporta maggiormente, sia grazie al basso costo dell’energia elettrica prodotta da nucleare, sia per la quota importante di profilo baseload da esso coperto, e per questo motivo la mancata produzione nucleare può provocare un aumento dei prezzi anche nei paesi limitrofi.
Le politiche europee spingono verso una denuclearizzazione progressiva e il dibattito sul tema (il nucleare è green oppure no?) è piuttosto caldo, ma la produzione nucleare ad oggi risulta non solo una quota consistente del totale, ma anche insostituibile a causa della mancanza di alternative già potenzialmente utilizzabili. I parchi nucleari presenti, poi, iniziano ad essere obsoleti e la maggior parte si trova quasi a fine vita.
A meno di un recupero di popolarità del nucleare in Europa, difficilmente nei decenni a venire le centrali in progressiva dismissione verranno sostituite da impianti di nuova generazione e questo, unito alla dismissione delle centrali a lignite e carbone già avviata in Germania negli ultimi anni, pone non pochi interrogativi sulle possibili alternative a disposizione dell’Europa.
Dato il periodo storico particolare, stiamo ricevendo molte domande sul mercato della CO2 e sulla sua relazione con il prezzo dell'energia. Abbiamo pensato di raccoglierne alcune...
Leggi di più >Dato il periodo storico particolare, stiamo ricevendo molte domande sul mercato della CO2 e sulla sua relazione con il prezzo dell'energia. Abbiamo pensato di raccoglierne alcune nel nostro blog. Se dopo aver letto quest'articolo dovessi avere altri dubbi, ti invitiamo a leggere il nostro White Paper, "Capire il mercato della CO2 in 15 domande", che le raccoglie tutte.
L’ETS (Emission Trading Scheme) è il principale strumento dell’Unione Europea per perseguire gli obiettivi stabiliti nel Protocollo di Kyoto e contrastare i cambiamenti climatici, diminuendo progressivamente le emissioni di gas serra degli Stati Membri. Attivo dal 2005, l’ETS identifica alcuni settori (es: produzione di energia elettrica e calore, industria pesante, aviazione…) ad alta emissività e obbliga i soggetti emettitori a pagare annualmente per ogni tonnellata di CO2 equivalente (non solo CO2, dunque, ma anche N2O – ossido di azoto e PFC – perfluorocarburi, anch’essi espressi in tonnellate di CO2 equivalenti) emessa in atmosfera, spingendo dunque verso un progressivo ammodernamento degli impianti e l’abbandono di tecnologie altamente inquinanti.
L’ETS europeo è attualmente il mercato di scambio di titoli di emissione più esteso al mondo ed è basato su un meccanismo “cap and trade”, ovvero viene fissato un tetto massimo (CAP) alla quantità di emissioni che possono essere generate dai soggetti che partecipano all’ETS ed entro questo limite massimo le quote di emissione possono essere scambiate fra gli operatori (TRADE).
Il tetto massimo va riducendosi nel tempo per fare in modo che le emissioni consentite siano sempre di meno, garantendo, da un lato, che le quote in circolazione abbiano un valore superiore a zero e, dall’altro, che gli impianti vengano incentivati a ridurre le proprie emissioni.
Il ritmo della diminuzione del cap è dato dal FLR (fattore lineare di riduzione), ovvero una percentuale che indica di quanto, di anno in anno, viene diminuito il tetto.
Il FLR dal 2021 è fissato al 2,2% (fino al 2020 era l’1,74%), ma sarà ulteriormente aumentato una volta approvata la revisione del sistema ETS. La proposta della Commissione Europea del 14 luglio 2021 include infatti un aumento del FLR al 4,2% e una diminuzione “one off” del tetto massimo, non ancora quantificata, che consenta di ottenere lo stesso effetto di un FLR del 4,2% applicato dal 2021. Questa, tuttavia, ad oggi è una proposta e dovrà essere approvata e ratificata affinché possa diventare ufficiale.
Ogni anno, entro il mese di marzo, i soggetti obbligati devono far certificare le emissioni generate dai propri impianti nel corso dell’anno solare precedente. Queste emissioni devono poi essere “annullate” entro il mese di aprile, consegnando un numero di certificati (titoli di emissione) tale da coprire totalmente la quantità di emissioni certificate dell’anno precedente. I certificati di emissione vengono acquistati dai soggetti obbligati sul mercato delle aste primarie (i titoli vengono venduti dai diversi Stati Membri) o sul mercato secondario (da controparti come i grossisti) e un titolo corrisponde a 1 tonnellata equivalente di CO2.
Alcuni settori o alcune tipologie di industrie ricevono gratuitamente una parte dei titoli necessari alla compliance annuale (allocazioni gratuite) per mantenere la competitività e scongiurare il rischio di carbon leakage, ovvero il rischio che un'industria sia costretta a rilocare i propri stabilimenti produttivi in ree geografiche in cui non viene applicato un costo per la CO2 emessa. Anche il meccanismo delle allocazioni gratuite sarà modificato dalla revisione del sistema ETS proposta dalla Commissione Europea con il pacchetto “Fit for 55”.
La fase pilota del sistema ETS, detta anche Fase 1, è durata 3 anni (2005-2007) ed è stata propedeutica per la creazione del mercato di libero scambio dei titoli di emissione e delle infrastrutture necessarie per comunicare e verificare le emissioni dei soggetti obbligati
coinvolti.
In questa fase il tetto previsto per le quote di emissione (CAP) era stabilito a livello nazionale attraverso i cosiddetti PNA, ovvero i Piani Nazionali di Assegnazione. I soggetti obbligati erano costituiti dagli impianti e le industrie che facevano un utilizzo intensivo di energia, ma a causa dell’elevato numero di quote assegnate gratuitamente (spesso maggiori del numero di quote necessarie per la compliance annuale) e della necessità di implementare gradualmente le misure di contenimento delle emissioni, l’offerta di titoli ha ecceduto di gran lunga la domanda, confermando la necessità di riequilibrare il bilanciamento del mercato.
Dal 2008 al 2012 l’ETS è passato alla Fase 2, con lo scopo di rinforzare il meccanismo di progressiva riduzione delle emissioni e raggiungere i primi obiettivi stabiliti nel Protocollo di Kyoto. In questa fase il tetto massimo delle quote è stato abbassato (-6,5% circa rispetto al 2005) basandosi sulle emissioni effettive degli impianti soggetti all’ETS e le quote assegnate a titolo gratuito sono state leggermente decurtate rispetto alla Fase 1.
Purtroppo però, con la crisi del 2008, l’industria europea ha subito un forte colpo e le emissioni sono diminuite massicciamente a causa della contrazione dell’economia, provocando un eccesso di quote sul mercato e la stagnazione dei prezzi al di sotto dei 10 €/tonnellata, protrattasi anche nella fase successiva.
Nel corso della Fase 3, dal 2013 al 2020, l’ETS ha subito un'ulteriore evoluzione. Il CAP, fissato non più dai singoli Stati ma a livello aggregato per tutta l’UE, è stato diminuito progressivamente di anno in anno con l’introduzione del Fattore Lineare di Riduzione (FLR), e il numero di allocazioni gratuite è stato ulteriormente limitato introducendo un benchmark a livello europeo per le emissioni dei diversi settori; il settore della produzione elettrica ha visto le quote gratuite esaurirsi, a eccezione di alcune deroghe specifiche.
Nonostante i meccanismi di asta e gli sforzi per ridurre lo squilibrio di mercato, è stato necessario introdurre delle misure ulteriori per diminuire l’offerta di titoli e consentire ai prezzi di iniziare a salire.
Una misura di breve termine è stata il cosiddetto backloading, ovvero il “rinvio” della messa in asta di 900 milioni di quote, originariamente in asta fra il 2014 e il 2016. Queste quote avrebbero dovuto esser messe a disposizione fra il 2019 e il 2020, ma l’UE, con la decisione di introdurre la Market Stability Reserve a partire dal 2019, ha optato per spostarle nella riserva di mercato senza rimetterle in asta nel periodo previsto. Nel corso della fase 3, dopo la stagnazione dei prezzi che è perdurata fino al 2017, l’effetto dell’inasprimento delle misure a sostegno del meccanismo ETS ha provocato l’innalzamento dei prezzi, solo temporaneamente interrotto nel 2020 dalla pandemia di Covid.
Il mercato dell’energia elettrica e del gas naturale offre diverse occasioni per riflettere sul portarsi avanti o meno con i fixing della propria di fornitura. Quando i prezzi...
Leggi di più >Il mercato dell’energia elettrica e del gas naturale offre diverse occasioni per riflettere sul portarsi avanti o meno con i fixing della propria di fornitura. Quando i prezzi crollano (come nel periodo del primo lockdown nel 2020) o quando la salita dei prezzi pare inarrestabile (come in questi ultimi mesi) la domanda che sorge spontanea è “farei bene a richiedere dei fixing anche per l’anno/gli anni prossimi?”. Come sempre, la risposta è: dipende! Dipende innanzitutto dalla view di mercato, dal valore assoluto dei prezzi, dal nostro budget, da come il movimento di mercato si ripercuote sulle diverse porzioni di curva forward e da come questi aspetti si combinano fra di loro.
La view di mercato ci offre una indicazione sul comportamento futuro dei prezzi che stiamo osservando. Se la view di mercato è bullish, ovvero se ci aspettiamo che i prezzi salgano, significa che oggi il prezzo è, o quantomeno pensiamo che sia, più conveniente rispetto a un domani. E’ lecito dunque valutare se richiedere dei fixing non solo per il periodo di fornitura più prossimo, ma anche per i trimestri o gli anni a venire.
Inoltre, la view esprime anche una durata, nel tempo, del movimento di mercato previsto ed è imprescindibile considerare questo aspetto per valutare dei fixing sul lungo periodo. Ad esempio, se nel medio/lungo temine la view è rialzista, magari per i prossimi 6-8 mesi, allora ha senso valutare di iniziare a fissare il prezzo per la fornitura non solo per il prossimo trimestre ma anche per i successivi.
Se invece la view indica che ci potrebbe essere solo un breve periodo di bullishness e, a seguire, un rilassamento dei prezzi, magari non è prudente fissare il prezzo di gran parte dei volumi sul lungo periodo. Nel caso opposto, se la view è ribassista nel medio/lungo termine, forse ha senso attendere che i prezzi scendano prima di chiedere un fixing su volumi consistenti, mentre se la bearishness è solo di breve termine potrebbe essere furbo cogliere l’occasione.
Insomma, la view fornisce la chiave di lettura del mercato, ma è l’indicazione della durata del rialzo o ribasso atteso che ci può dare maggiore supporto per valutare un fixing sulle porzioni di fornitura molto più in là nel tempo.
Inoltre ciascuno ha una propria percezione del livello di prezzo oltre il quale la fornitura è ritenuta “troppo costosa” o “conveniente” e questo difficilmente dipende dalla view di mercato. Se il prezzo utilizzato per il budget (prezzo target) fosse molto più alto rispetto al livello attuale del mercato, chi non avrebbe la tentazione di richiedere un fixing consistente anche per gli anni successivi per aggiudicarsi una fornitura meno costosa del previsto?
Al contrario, quando i prezzi sono molto più alti del prezzo target, qualcuno potrebbe fare un po’ fatica a bloccare il prezzo della fornitura dell’anno prossimo (figuriamoci degli anni successivi), nella speranza che il mercato ritorni su prezzi più bassi. Se è vero che nel primo caso potrebbe esserci un mancato risparmio, ma tuttavia un risultato positivo perché si è fissato un prezzo ritenuto conveniente, nel secondo caso il rischio è che i costi possano crescere ben al di sopra delle aspettative.
Avere un lungo periodo prima dell’inizio del consumo dovrebbe aiutare a gestire i fixing in maniera più razionale, senza la fretta di dover prendere una decisione a tutti i costi. Vale dunque la pena soffermarsi a valutare con attenzione la view di mercato, per evitare che considerare solo il valore assoluto dei prezzi e/o il prezzo di budget possa compromettere l’ottimizzazione della fornitura. Se poi la view di medio/lungo termine supporta ciò che si è rilevato a livello di valore assoluto dei prezzi, allora ci sono tutti gli elementi per prendere una decisione consapevole che sia effettivamente una “azione” e non una “reazione” ciò che si verifica sul mercato.
Infine, per valutare se giocare di anticipo e richiedere dei fixing per la fornitura dell’anno o degli anni prossimi, è necessario anche verificare che la porzione di curva sulla quale si vorrebbe richiedere un fixing sia interessata o meno dal movimento di mercato attuale o previsto dalla view.
E’ vero che quando il mercato ha un trend fortemente bullish, ad esempio, tutta la curva forward tende ad apprezzarsi, ma quello che sul prossimo trimestre è un movimento importante, magari di 10 o 15 €/MWh, può essere un aumento molto meno rilevante sul calendar + 1 o + 2.
Non è detto, infatti, che l’ampiezza dei movimenti di mercato si riverberi allo stesso modo su porzioni di curva molto avanti nel tempo. E’ necessario quindi verificare quale opportunità o rischio di maggior costo si possa esprimere nei prezzi delle porzioni di curva lontane e soppesare questo movimento nel quadro generale.
Insomma, il processo decisionale è sempre il frutto dell’analisi di una serie di fattori e della valutazione di come questi si incastrino fra loro. La ricetta perfetta non esiste e purtroppo neanche la sfera di cristallo, ma seguire con attenzione la situazione dei mercati e costruirsi una view dei possibili sviluppi futuri consente di avere gli strumenti per prendere delle decisioni razionali e consapevoli per l’ottimizzazione della fornitura, non solo per il breve termine anche per gli anni a venire.
Il 2021 è stato fino ad ora l’anno dei record nei prezzi delle commodities energetiche europee. La CO2 ha superato prima i 40, poi i 50 e infine i 60 €/tonnellata (a fine agosto)...
Leggi di più >Il 2021 è stato fino ad ora l’anno dei record nei prezzi delle commodities energetiche europee. La CO2 ha superato prima i 40, poi i 50 e infine i 60 €/tonnellata (a fine agosto) e il gas naturale non è stato da meno.
Il TTF, il gas olandese, benchmark di prezzo per tutta l’Europa, sul mercato spot esattamente un anno fa era quotato fra i 10 e i 12 €/MWh, contro gli oltre 70 €/MWh a cui viene scambiato in questi giorni.
Anche il mercato future ha subito rialzi incredibili, arrivando, per i mesi invernali, a superare i 75 €/MWh.
In questa situazione l’energia elettrica non ha potuto che seguire pedissequamente l’andamento di forte rialzo di gas e CO2: nei giorni scorsi si è dunque visto il PUN superare i 175 €/MWh e il mercato future oltrepassare i 177 €/MWh sul prodotto Q4 e i 117 €/MWh sul Calendar 2022.
Si preannuncia dunque un inverno bollente, quanto meno per la situazione dei prezzi. Ma quali sono le condizioni che hanno determinato un simile stravolgimento?
Innanzi tutto è da considerare che a causa di un inverno che dal punto di vista delle temperature medie si è protratto anche oltre marzo, si è verificato un ritardo di più di 5 settimane nell’attività di riempimento degli stoccaggi (che tipicamente avviene nella stagione estiva da aprile a settembre…).
Nel corso dell’estate non si è riusciti a recuperare il gap di giacenza con cui si è entrati nella stagione primaverile, si è infatti effettivamente iniziato a riempire gli stoccaggi solo nel corso di maggio quando normalmente si inizia i primi di aprile di ogni anno, grazie anche alla backwardation della curva (prezzi estivi allo stesso livello dei prezzi invernali) che non ha incentivato gli operatori a iniettare gas in stoccaggio. Il risultato è che l’inizio della stagione invernale si avvicina e gli stoccaggi europei sono di poco al di sopra del 70%, mai così bassi a inizio inverno negli ultimi anni.
Inoltre, ad aggravare il quadro si è aggiunta anche una sostanziosa impennata nell’appetito di LNG (liquefied natural gas) da parte del mercato asiatico che, molto più dell’Europa, fa affidamento sugli approvvigionamenti via nave e che ha “dirottato” le navi di LNG dal mercato europeo a quello asiatico. L’incremento di domanda di LNG che ha caratterizzato lo scorso inverno e l’estate corrente sembra essere principalmente dovuto ad una crescita quasi esponenziale della domanda cinese, è aumentata di uno straordinario 32% rispetto al 2019 e del 22% rispetto al 2020 (misurata sul periodo gennaio-agosto).
Il peso della Cina nel mercato delle materie prime inizia dunque a interessare fortemente anche il mercato energetico globale e i prezzi del gas naturale, a livello globale, ne hanno risentito. L’import europeo di LNG, nel corso del 2021, di fatto è rimasto abbondantemente al di sotto dei livelli degli ultimi due anni e la stagione invernale potrebbe essere caratterizzata da una elevata concorrenza fra Asia ed Europa per accaparrarsi i carichi spot.
In ultimo, ma non in ordine di importanza, l’annosa querelle intorno all’avvio del tanto discusso progetto Nord Stream II, ha suscitato un’aspra contrapposizione politico-commerciale tra Russia da un lato e blocco Europa-USA dall’altro, ove quest’ultimo ritiene che l’avvio di una simile infrastruttura di trasporto possa essere “pericolosa” e mettere a rischio l’indipendenza e la stabilità politica ed economica europea.
Già a luglio le pesanti sanzioni minacciate dagli USA verso tutte le aziende che avessero avuto parte nel completamento tecnico del progetto non sono riuscite a fermarne il completamento effettivo e ora si discute di aspetti regolatori e autorizzativi su cui la giurisdizione “passa” ai tribunali europei. L’approvazione con tutti i crismi della normativa della tratta in questione (che potrà potenzialmente soddisfare da sola più del 10% del fabbisogno europeo) è ora rimandata di qualche mese, finché il percorso autorizzativo non venga finalizzato.
La Russia (Gazprom, in particolare) nel frattempo ha adottato una strategia piuttosto aggressiva, riducendo al minimo indispensabile i flussi di gas venduti in Europa (per soddisfare solo i contratti long term) in attesa che la ormai insostenibile pressione sui prezzi del gas spinga l’Europa ad una autorizzazione immediata dell’avvio del Nord Stream II. Ultimo colpo di questa strategia di Gazprom è stata la decisione (lunedì 20/9) di Gazprom di non utilizzare capacità aggiuntiva dall’Ucraina per il mese di ottobre, primo mese dell’inverno, e che ha portato il livello di tensione sul mercato gas ai massimi storici.
Sta di fatto che l’Europa si appresta ad affrontare l’inverno con una flessibilità piuttosto bassa e, di conseguenza, la capacità di fronteggiare agevolmente un inverno rigido risulta ridotta, soprattutto nell’ipotesi che vede una domanda asiatica di LNG dello stesso tenore dell’inverno scorso. I prezzi alti di fatto riflettono senza alcun pudore la generale preoccupazione del mercato.
Una delle decisioni più spinose quando si deve gestire un contratto di fornitura a prezzo variabile con fixing riguarda l’opportunità di non fissare il prezzo di una parte dei...
Leggi di più >Una delle decisioni più spinose quando si deve gestire un contratto di fornitura a prezzo variabile con fixing riguarda l’opportunità di non fissare il prezzo di una parte dei volumi contrattuali, entrando nel periodo di consumo (detto periodo di delivery) parzialmente esposti al prezzo del mercato spot.
Per compiere questa scelta è necessario dotarsi degli strumenti giusti e comprendere e valutare attentamente i pro e i contro, oltre che le tempistiche.
Il vantaggio innegabile del prezzo indicizzato in delivery è l’opportunità di ottenere un risparmio, anche importante, nel caso in cui i prezzi spot siano più bassi rispetto alle quotazioni forward precedenti il periodo di consumo. Se i prezzi in delivery sono effettivamente minori rispetto al prezzo del “potenziale fixing” allora il delta prezzo costituisce una ottimizzazione interessante.
Come valutare dunque il costo/opportunità del rimanere esposti ai prezzi spot (ovvero non rischiedere gli ultimi fixing) e quando compiere questa scelta?
> View di mercato: Innanzitutto è importante la view di mercato. Se il mercato è ribassista e avvicinandosi al periodo della delivery le condizioni dei fondamentali indicano che la discesa dei prezzi dovrebbe continuare indisturbata, allora ha senso valutare se richiedere gli ultimi fixing (comunque a prezzi migliori rispetto ai mesi precedenti) o se mantenere una parte di volume indicizzato in delivery e provare a cogliere l’opportunità di un ribasso ulteriore.
In una situazione di mercato teso al rialzo, invece, prima ancora di valutare se rimanere a prezzo variabile in delivery è necessario valutare quanto si è disposti a sopportare come costo aggiuntivo se il mercato rialzista effettivamente permane a lungo. Non è prudente non richiedere un fixing (perché oggi il prezzo è troppo alto) sperando in un cambio di direzione dei prezzi non supportato dalla view di mercato, è un po' come non fermarsi all’ultimo benzinaio quando si è in riserva sperando di arrivare al successivo con l’automobile ancora in moto.
> Quantificare il risparmio atteso: Oltre alla view di mercato, imprescindibile per poter compiere la giusta scelta, è utile avere in mente quale porzione di volume eventualmente lasciare a prezzo variabile e fare due conti (una sorta di sensitivity analysis) per quantificare il potenziale guadagno o perdita a cui si può andare incontro.
Facendo un semplice esempio, un cliente vuole valutare se lasciare a prezzo variabile una porzione di volume pari a 1 MW baseload (cifra tonda per semplicità) sul Q4-2021. Il volume complessivo in MWh si calcola moltiplicando 1 MW per le ore del Q4-2021, ovvero 2.209 e sarà dunque pari a 2.209 MWh. Per ogni €/MWh in più o in meno dei prezzi, il delta in € per il cliente è 2.209 €.
Questo serve per avere un ordine di grandezza delle conseguenze, positive o negative, di un movimento dei prezzi unitario rispetto al costo della propria fornitura. A questo punto si può valutare il potenziale di risparmio o perdita suggerito dalla view di mercato e capire se vale la pena o meno rimanere esposti al prezzo variabile.
Nel caso in cui manchino diversi mesi prima dell’inizio della delivery e la view di mercato sia fortemente ribassista può valer la pena di non richiedere l’ultimo fixing per concedere il tempo ai prezzi di fare la loro discesa, approfittando del ribasso atteso la cui ampiezza sarà poi il driver della scelta, insieme a una view bearish aggiornata/riconfermata.
Aver conseguito un risparmio rispetto a mesi prima consente al cliente di scegliere se “accontentarsi” di un fixing a prezzo più vantaggioso o rischiare la volatilità dei prezzi spot con la speranza di migliorare ulteriormente il prezzo di acquisto della fornitura. In questo caso quantificare il risparmio già conseguito in euro consente anche di valutare con maggior lucidità la decisione di entrare in delivery esposti al prezzo di mercato o meno.
Nel caso in cui il mercato sia impostato al rialzo, invece, la scelta dovrà necessariamente essere anticipata. Fare l’ultimo fixing prima che i prezzi possano salire ulteriormente di fatto è l’implicita scelta di non rimanere esposti ai prezzi in delivery.
In generale, dunque, quando i prezzi salgono la scelta deve essere anticipata, quando i prezzi scendono ci si può permettere di arrivare a pochi giorni prima del periodo di consumo per decidere se entrare in delivery con una porzione di volume a prezzo variabile o meno. Attenzione però a una piccola accortezza.
Al di là della maggior volatilità che si riscontra nei prezzi poco prima della delivery, è bene verificare non solo la disponibilità del fornitore per un fixing dell’ultimo minuto (l’alternativa alla scelta di non fare l’ultimo fixing, non si sa mai!) ma anche la liquidità del mercato. Periodi festivi come la fine di dicembre spesso inibiscono la possibilità del fornitore di offrire un prezzo conveniente per un fixing a causa della bassissima liquidità del mercato che comporta costi maggiori di operatività e quindi può venir meno la serenità con la quale sarebbe bene compiere questa scelta.
Per quanto la possibilità di risparmio possa essere estremamente interessante, dobbiamo ricordarci che le dinamiche dei prezzi spot possono essere difficili da prevedere con molto anticipo e un caldo improvviso, un freddo particolarmente pungente, scarsa produzione rinnovabile e altri fattori possono mordere i prezzi spot provocando swing di prezzo anche piuttosto importanti.
Questo è un rischio maggiore quando contrattualmente un fixing può esser richiesto solo su un periodo di tre mesi (quarters). Decidere se rimanere esposti ai prezzi del mercato spot per tre mesi consecutivi (nei quali può potenzialmente succedere qualunque cosa, da un lockdown che fa crollare i prezzi a un problema ad un tubo di gas che li fa impennare) è decisamente diverso dal compiere la stessa scelta per un unico mese alla volta.
In ogni caso, una buona view del mercato, unita alla capacità di valutare il potenziale impatto economico della scelta, sono il mix perfetto per compiere le scelte di ottimizzazione. Tutto sta alla propensione al rischio e agli obiettivi dell’ottimizzazione del singolo cliente e non esiste un metodo valido universalmente per compiere questo tipo di scelte. Anche perché se è vero che chi non risica non rosica, è anche vero che a volte è preferibile perdere una opportunità di risparmio piuttosto che esporsi a rischi che non si è certi di poter o voler sopportare.
Che cos’è la stagionalità? La stagionalità è un fenomeno, spesso di origine climatica o metereologica, che causa delle dinamiche ricorrenti e riconoscibili di alterazione della...
Leggi di più >La stagionalità è un fenomeno, spesso di origine climatica o metereologica, che causa delle dinamiche ricorrenti e riconoscibili di alterazione della domanda o dell’offerta di un bene, con conseguente aumento o diminuzione dei prezzi.
Il fattore più importante della stagionalità è la ciclicità con la quale si ripete un determinato disequilibrio fra domanda e offerta, che si traduce in variazioni di prezzo tendenzialmente prevedibili.
Facendo un esempio tipico della nostra vita quotidiana, sappiamo che acquistare della frutta estiva fuori stagione solitamente ha un prezzo maggiore perché la disponibilità è minore, mentre acquistarla in estate costa meno perché vi è abbondanza di offerta.
Se ciò che è prevedibile è (solitamente) l’andamento dei prezzi dovuto alla stagionalità, ciò che non è prevedibile è l’ampiezza di questo movimento o se la stagionalità avrà un effetto più marcato o più contenuto. In anni in cui c’è poco sole/troppa pioggia o altri elementi che si discostano dalla normalità, l’offerta di frutta estiva può essere inferiore ed i prezzi più alti del solito o viceversa, annate particolarmente abbondanti tendono a far scendere maggiormente i prezzi.
La ciclicità e prevedibilità di un evento stagionale, dunque, può soffrire di alterazioni dovute a elementi anomali che compromettono la possibilità di prevedere l’effettivo andamento dei prezzi.
Intuitivamente, è chiaro come la stagionalità sia un elemento piuttosto comune nella vita di tutti i giorni, ma quando si tratta di gas naturale ed energia elettrica le dinamiche stagionali possono essere meno immediate e soffrire di elementi alteranti che ne compromettono la tipicità.
Il gas naturale, in particolar modo in Italia e in Europa, ma più in generale nel mondo, è soggetto a dinamiche di stagionalità tipiche dell’utilizzo che se ne fa per il riscaldamento. In inverno, quando fa freddo, la domanda di gas normalmente aumenta per consentire di mantenere caldi gli ambienti in cui viviamo, lavoriamo, mangiamo ecc.
Il gas viene dunque maggiormente richiesto, si preleva il gas immagazzinato negli stoccaggi e prezzi sono tendenzialmente più alti rispetto all’estate.
Durante l’estate infatti, quando il riscaldamento non è necessario e la domanda è sensibilmente minore, i prezzi sono normalmente più bassi e il gas viene acquistato per riempire gli stoccaggi e ricostituire le scorte da utilizzare nel periodo freddo.
La curva dei prezzi forward, normalmente, riflette queste dinamiche stagionali ed è possibile descrivere una “stagionalità teorica” che indica i rapporti di prezzo che dovrebbero esserci fra i diversi trimestri dell’anno in assenza di altri eventi fondamentali che alterarino gli equilibri fra domanda e offerta.
Il Q1 è tendenzialmente il trimestre più caro, proprio a causa del picco termico che aumenta la domanda di gas per riscaldamento civile. Nei trimestri estivi normalmente i prezzi sono più bassi rispetto all’inverno e piuttosto simili fra loro: nel Q2 le temperature primaverili provocano una diminuzione importante della domanda di gas per uso civile non compensata dalla domanda per iniezione in stoccaggio, che raggiunge il suo picco proprio nel Q2.
Nel Q3 la flessione nella domanda per iniezione in stoccaggio viene bilanciata dalla maggiore domanda di gas per uso termoelettrico a causa della necessità di raffrescamento causata dalle temperature estive. Infine, nel Q4, quando inizia l’inverno, la domanda di gas per riscaldamento provoca l’aumento dei prezzi che vede poi il suo picco, come appena detto, nel Q1.
L'andamento dei quarters sulla stagionalità per il gas
Questa “stagionalità teorica” dei prezzi del gas può però esser amplificata o, viceversa, totalmente sfalsata, da fattori terzi che intervengono in maniera anomala a modificare l’assetto della domanda o dell’offerta. Ad esempio un inverno estremamente mite, in cui la domanda di gas è inferiore rispetto al solito, può terminare con dei livelli di gas in stoccaggio ampiamente maggiori del previsto (è successo nel 2019), provocando così una diminuzione molto marcata dei prezzi nel periodo estivo dovuta alla domanda per iniezione in stoccaggio inferiore rispetto al normale.
Viceversa, in questo turbolento 2021, la stagionalità tipica dei prezzi del gas è stata completamente stravolta e annullata da fattori contingenti. Stoccaggi molto bassi al termine dell’inverno, freddo persistente in primavera e domanda asiatica estremamente alta sono solo alcuni degli elementi che hanno supportato i prezzi, che sono costantemente saliti nel corso di tutto l’anno raggiungendo livelli di prezzo mai visti in precedenza.
L’energia elettrica, diversamente dal gas naturale, ha una stagionalità che dipende strettamente dal Paese considerato e dal mix energetico che lo caratterizza.
In Italia, dove il gas naturale copre più del 40% del mix energetico, i prezzi dell’energia elettrica tendono a seguire la stagionalità tipica del gas, ma con l’aumentare della produzione elettrica da fonti rinnovabili, una quota sempre maggiore di fattori metereologici entra in gioco nella stagionalità elettrica, contribuendo a modificare nel tempo i pattern ricorrenti dei prezzi dovuti al solo legame con il gas naturale.
Inoltre, anche la prossimità con Paesi con dinamiche di prezzo differenti contribuisce a impattare sui prezzi locali, rendendo l’identificazione di una stagionalità piuttosto complicato.
Volendo parlare della “stagionalità teorica”, come abbiamo appena fatto per il gas naturale, si può dire che il prezzo power in Italia replichi piuttosto fedelmente la stagionalità del gas naturale, con qualche differenza.
Nel Q1, periodo più freddo dell’anno, a causa dei prezzi del gas ai “massimi stagionali”, produrre energia elettrica con termoelettrico costa di più. Per questo motivo anche per il power il Q1 dovrebbe essere il trimestre in cui i prezzi sono più alti all’interno dell’anno. Nel Q2, al minor costo del gas va ad aggiungersi la produzione idroelettrica dovuta allo scioglimento delle nevi, il cosiddetto Run Of River, che a dipendenza dell’abbondanza o meno, può prolungarsi da aprile fino a inizio/metà di luglio. Per questo motivo il Q2 dovrebbe essere il trimestre in cui i prezzi elettrici sono i più bassi nell’anno, seguito poi dal Q3. Nei mesi estivi, però, le alte temperature provocano una domanda aggiuntiva di energia elettrica per raffrescamento e per questo motivo i prezzi sono un po' più alti rispetto al Q2.
Il Q4, infine, segue da vicino i maggiori prezzi del gas che comportano costi più alti per la produzione termoelettrica e di conseguenza l’aumento dei prezzi del power.
Il Q4, infine, segue da vicino i maggiori prezzi del gas che comportano costi più alti per la produzione termoelettrica e di conseguenza l’aumento dei prezzi del power.
L'andamento dei quarters sulla stagionalità per il power
In generale, è necessario comprendere la stagionalità dei mercati per poterne prevedere l’andamento anche se sempre più spesso situazioni contingenti stravolgono l’equilibrio e dunque le proporzioni di prezzo “teoriche” di cui abbiamo parlato. Per questo motivo seguire attentamente il mercato e monitorarne i fondamentali è imprescindibile se si vuole ottimizzare la propria fornitura di gas o energia elettrica.
Il 14 luglio 2021 la Commissione Europea ha presentato il “fit for 55”, ovvero la proposta delle misure attuative per raggiungere gli obiettivi già dichiarati nel Green Deal,...
Leggi di più >Il 14 luglio 2021 la Commissione Europea ha presentato il “fit for 55”, ovvero la proposta delle misure attuative per raggiungere gli obiettivi già dichiarati nel Green Deal, confermando l’impegno ambizioso di riduzione delle emissioni (-55% entro il 2030 rispetto alle emissioni del 1990) e stabilendo le diverse aree di intervento per il raggiungimento dell’abbattimento dei gas serra e lo sviluppo di una nuova economia sostenibile e green.
In questo contesto, il ruolo delle rinnovabili sarà pivotale e il target proposto per la quota di fonti rinnovabili nell’energy mix europeo al 2030 è almeno il 40%.
Questo significa che nei prossimi anni dovremmo assistere ad un ulteriore incremento degli impianti rinnovabili installati in tutta Europa, per consentire ai diversi Paesi di raggiungere gli obiettivi nazionali proposti.
Una quota di rinnovabili sempre maggiore, se da un lato contribuirà sostanzialmente alla riduzione delle emissioni dovute alla produzione di energia elettrica, dall’altro comporterà però diverse conseguenze sui prezzi dell’energia elettrica e del gas naturale.
A seconda della presenza o meno di sole o vento, il range di valori che riscontreremo sui prezzi spot potrebbe ampliarsi e la volatilità aumentare. In ore o giorni in cui la produzione eolica o fotovoltaica sarà particolarmente abbondante, è probabile che i prezzi spot saranno depressi, spesso prossimi allo 0 nelle stagioni a domanda inferiore o addirittura, come già succede in Germania, potrebbero essere negativi.
Viceversa, la mancanza di produzione da fonti rinnovabili non programmabili (FRNP) richiederà un grande impegno da parte delle centrali programmabili (tendenzialmente idroelettrico e centrali a gas naturale) per colmare il gap e bilanciare il sistema elettrico dei diversi Paesi.
Il massiccio ricorso al gas come fonte di generazione e bilanciamento della domanda, grazie alle caratteristiche di flessibilità e programmabilità, farà sì che le centrali a carbone siano sempre meno competitive, da un lato, ma concorrerà a spike di prezzo nelle ore o nei giorni in cui la produzione da FRNP sarà carente. Insomma, ci si può aspettare una forte volatilità dei prezzi spot e grandi differenze di prezzo fra le ore in cui la produzione da FRNP sarà abbondante e quelle in cui non lo sarà.
Anche i prodotti forward più vicini, in particolare il front month e le weeks, risentiranno maggiormente della volatilità dovuta alle aspettative sui forecast di produzione rinnovabile. Già oggi, soprattutto in Germania e nell’area “Nordics”, ovvero i Paesi scandinavi, dove gli impianti eolici installati coprono una quota consistente della produzione elettrica, le previsioni di ventosità provocano rialzi o ribassi improvvisi dei prezzi della curva a breve termine piuttosto repentini.
Questa dinamica probabilmente si riproporrà in maniera marcata in tutta l’area Europea, aumentando la volatilità dei prezzi della curva di breve termine, dal day ahead al month ahead.
Al crescere delle installazioni di fotovoltaico, l’impatto più evidente sui prezzi potrebbe essere la diminuzione dello spread fra i prezzi nelle ore di picco e le ore di fuori picco. Se è vero che tendenzialmente le ore notturne e i week end hanno prezzi più bassi a causa della minor domanda, l’aumento della produzione fotovoltaica potrebbe far diminuire i prezzi nelle ore centrali della giornata (i picchi) e, viceversa, la sua mancanza nelle ore notturne potrebbe farne aumentare il prezzo, riducendo il tipico differenziale di prezzo tra le ore di “punta” e le ore di spalla del giorno.
Il ruolo del gas naturale nella transizione energetica e nello sviluppo delle rinnovabili sarà imprescindibile. Maggiore quota di FRNP significa maggiore necessità di risorse flessibili e programmabili a copertura dei “buchi” lasciati scoperti. Il gas naturale, di conseguenza, avrà un ruolo complementare a quello delle FRNP e l’effetto sui prezzi potrebbe essere molteplice.
Se, a parità di domanda elettrica, la quota rinnovabile sarà maggiore, la domanda di gas per uso termoelettrico potrebbe diminuire, calmierando parzialmente i prezzi, ma dall’altro, la domanda spot per il bilanciamento della rete potrebbe portare ad aumenti di volatilità e, di conseguenza, ad oscillazioni di prezzo di entità maggiore sul mercato day ahead.
Il meteo è un driver di grande impatto sui prezzi dell’energia elettrica e del gas naturale. Le temperature, il vento, le piogge, il sole o gli uragani sono condizioni meteo che...
Leggi di più >Il meteo è un driver di grande impatto sui prezzi dell’energia elettrica e del gas naturale.
Le temperature, il vento, le piogge, il sole o gli uragani sono condizioni meteo che modificano le condizioni del sistema energetico europeo, aumentando o diminuendo la domanda di energia e/o gas naturale ed è quindi importante comprendere come e perché i prezzi reagiscano ai diversi driver di natura metereologica.
La temperatura è un driver estremamente importante e generalmente agisce direttamente sulla domanda di gas naturale o di energia elettrica per uso domestico (riscaldamento/raffrescamento).
Quando in inverno le temperature sono inferiori alle medie stagionali, ad esempio, la domanda di gas per riscaldamento aumenta e di conseguenza i prezzi del mercato spot/short term tendono ad essere più elevati; se la condizione di freddo rigido è persistente, l’impatto delle temperature si ripercuote anche sul mercato forward (month ahead/quarter ahead e sul resto della curva, anche se in maniera meno pronunciata a mano a mano che ci si allontana nel tempo).
Un inverno particolarmente rigido o un inizio primavera più freddo del dovuto, come ad esempio si è verificato quest’anno, provocano infatti una maggiore domanda di gas per uso civile, il gas in stoccaggio viene consumato ad un ritmo più sostenuto del solito e, di conseguenza, si crea maggiore necessità di gas per l’iniezione estiva. Viceversa, temperature invernali molto miti (come è successo nell’inverno 2018/2019) provocano una minore domanda di gas per riscaldamento, diminuendo l’utilizzo di gas in stoccaggio e lasciando dunque gli stoccaggi “più pieni” del solito all’inizio della stagione di iniezione. Questo a sua volta comporta una minor domanda e quindi prezzi tendenzialmente più bassi.
Pensando all’estate, invece, temperature molto al di sopra della norma aumentano la domanda di energia elettrica per raffrescare gli edifici, provocando un rialzo nei prezzi spot e short term dell’energia elettrica e, spesso, anche una maggiore domanda di gas per uso termoelettrico, comportando dei rialzi più o meno duraturi dei prezzi anche sul mercato gas. Al contrario, un’estate fresca e con temperature sotto alla media stagionale tendenzialmente comporta una diminuzione di domanda elettrica per uso civile e un ribasso dei prezzi spot.
Grazie alla notevole crescita della quota di rinnovabili installate sia in Italia che in Europa, l’impatto della presenza o meno di vento e sole è diventato piuttosto importante, soprattutto per quanto riguarda i prezzi spot/short term di energia elettrica e gas.
Se è semplice capire come la poca produzione eolica causata dalla mancanza di vento possa provocare l’aumento dei prezzi spot dell’energia elettrica, forse non è immediato comprendere come questo fattore abbia spesso un impatto anche sui prezzi del gas. Infatti, quando è necessario sopperire alla mancanza della produzione elettrica delle fonti rinnovabili non programmabili (FRNP), soprattutto in Italia, sono solitamente le centrali a gas che vengono chiamate a produrre energia, proprio grazie alla modulabilità e flessibilità di queste ultime. Poiché però il costo marginale della produzione termoelettrica è maggiore di quella rinnovabile, se manca la produzione rinnovabile i prezzi spot dell’energia elettrica tendono ad essere maggiori e anche i prezzi spot del gas naturale possono risentirne al rialzo.
Viceversa, quando il vento e il sole sono abbondanti, la domanda di produzione termoelettrica è generalmente inferiore e dunque non solo i prezzi spot dell’energia elettrica sono più bassi, ma anche il gas naturale non risente di una maggiore domanda spot.
In molti paesi europei, inclusa l’Italia, è presente un numero elevato di centrali idroelettriche che sfruttano fiumi o bacini per produrre energia elettrica. Quando le precipitazioni e le nevi sono scarse e gli invasi non si riempiono adeguatamente, nella stagione successiva, segnatamente la primavera/estate, la produzione idroelettrica avrà o una durata o un’intensità più limitata. La bassa idraulicità del sistema, dunque, ha un impatto non solo nel momento in cui la produzione idroelettrica è scarsa o abbondante (con evidente effetto sui prezzi spot), ma anche sulla parte di curva forward primaverile (Q2) quando, nei primi mesi dell’anno, si verificano abbondanti o scarse precipitazioni ed il mercato “anticipa” l’effetto sui prezzi della maggiore o minore produzione idroelettrica attesa.
Inoltre, una produzione idroelettrica più scarsa ha un impatto anche sul gas naturale. La produzione di energia elettrica da gas naturale, risorsa flessibile per eccellenza, entra in gioco per fare makeup del profilo di consumo scoperto dall’idroelettrico; di conseguenza la domanda di gas naturale incrementale si scarica sul mercato causando una spinta rialzista aggiuntiva.
Va ricordato infine che la crescente importanza dei flussi di LNG (gas naturale liquefatto) in arrivo in Europa ha “ampliato” il perimetro di influenza di alcuni fattori (anche meteo!) che fino a pochi anni fa non avevano alcun impatto sui mercati europei. Ad esempio, un uragano che blocca le esportazioni americane di gas dal Golfo del Messico o un caldo torrido (o freddo polare) nell’area Giappone/Corea del Sud che aumenta vertiginosamente la domanda di gas sono elementi di notevole rilevanza anche per il mercato europeo.
Gli analisti o i trader, quando studiano il mercato, si concentrano sui diversi prodotti future a disposizione, sui diversi driver che possono impattare sull’andamento dei prezzi,...
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Gli analisti o i trader, quando studiano il mercato, si concentrano sui diversi prodotti future a disposizione, sui diversi driver che possono impattare sull’andamento dei prezzi, e prendono delle posizioni sui diversi punti della curva forward, sui mesi, i quarters o i calendar.
Invece, quando si leggono le analisi di consulenti o esperti che spiegano cosa è successo o cosa succederà, sembra che ci si concentri quasi esclusivamente sul mercato spot o sul cal+1. Eppure la gamma di prodotti della curva forward comprende diversi mesi, diversi quarter e più di un calendar avanti. Come mai?
E’ vero, non esiste solamente il prodotto cal + 1 (il prodotto, cioè, che inizia il 1 gennaio e termina il 31 dicembre del primo anno dopo quello in corso), ma quando si vuole esprimere una view di mercato di medio termine (e cioè che interessi l’andamento dei prezzi per qualche settimana o mese) è più pratico prendere a riferimento alcuni prodotti che possono essere considerati di interesse piuttosto che esprimere una view di mercato su tutti i punti della curva forward.
Prima di tutto è un prodotto molto liquido, viene cioè scambiato molte volte dagli operatori nel corso della giornata, e dunque i movimenti del suo prezzo esprimono piuttosto fedelmente le aspettative degli operatori. Scegliendo un prodotto meno liquido, invece, si rischia che il prezzo non sia altrettanto attendibile come riferimento.
Inoltre, coprendo con la sua durata un intero anno solare, nel suo prezzo sono mitigati gli effetti della stagionalità tipica del gas e dell’energia elettrica e dunque risente meno violentemente dell’impatto di quei driver tipicamente legati al meteo che causano reazioni importanti sui mesi estivi o invernali, in particolare quando ci si trova molto vicino alla delivery.
Ciò nonostante, quando la situazione meteo rende il mercato particolarmente teso o particolarmente rilassato, questo filtra nel prezzo del cal + 1, perché generalmente esiste un’alta correlazione fra i diversi punti della curva forward. Questo significa che a meno di casi estremamente particolari, quando i fondamentali del mercato indicano un periodo rialzista tutta la curva forward subisce un rialzo e, viceversa, quando i fondamentali sono impostati al ribasso, l’intera curva forward risente del calo dei prezzi.
Parlare di correlazione fra il prodotto Cal+1 e altri prodotti (come, nell’immagine, il Q3-21 e il Q1-22) non significa che il movimento dei prezzi, in termini di €/MWh, è lo stesso, ma che l’andamento di uno è molto simile all’andamento degli altri prodotti, anche se l’ampiezza del movimento piò essere più marcata o meno marcata a seconda di quale sia il driver o l’insieme di driver che lo ha causato.
Se i driver che causano un movimento sono legati al meteo, l’impatto sarà maggiore sui prodotti forward più vicini (come il month ahead o il primo quarter ahead), viceversa, se i driver sono strutturali o hanno un legame di più lungo termine (come ad esempio la CO2) è probabile che non siano i prodotti short term ad essere maggiormente interessati.
Un altro ottimo motivo per scegliere come riferimento il Cal+1 è che, storicamente, è il prodotto di riferimento per i clienti industriali che consumano energia elettrica e che hanno contratti annuali, con inizio al primo giorno di gennaio e fine al 31 dicembre.
Anche i contratti gas, una volta prevalentemente basati sul cosiddetto “anno gas”, “anno termico” o “gas year”, ovvero dal 1 ottobre al 30 settembre dell’anno successivo, si sono in buona parte allineati con l’anno solare e non è infrequente ora vedere i contratti annuali con inizio al 1 gennaio.
Infine, spesso si predilige la semplicità e la praticità data dallo scegliere un riferimento unico per i prezzi piuttosto che fornire indicazioni su una gamma maggiore di prodotti. In particolare, considerando che non tutti i clienti sono abituati a guardare il mercato tutto il giorno e su tutta la curva forward, risulta più pratico utilizzare il prezzo del cal + 1 (che è uno solo) invece che il prezzo di mesi o quarti, proprio perché l’indicazione risulta di più immediata comprensione e maggiormente fruibile, piuttosto che una lista con i prezzi di più mesi e più trimestri.
Insomma, se si vuole dare una indicazione qualitativa su come potrebbero evolvere i prezzi della curva forward nel prossimo futuro, utilizzare il Cal+1 come prodotto di riferimento risulta assolutamente valido.
Uno dei punti fondamentali per la corretta gestione di un contratto a prezzo variabile con fixing è l’identificazione dello slot minimo di volume che può essere coperto a prezzo...
Leggi di più >Uno dei punti fondamentali per la corretta gestione di un contratto a prezzo variabile con fixing è l’identificazione dello slot minimo di volume che può essere coperto a prezzo fisso. Il volume minimo sul quale è possibile richiedere un fixing dipende solitamente dai volumi complessivi del cliente, che devono essere sufficientemente elevati da consentire la copertura del rischio prezzo al fornitore.
Dunque ad un cliente con volumi elevati (sopra i 20 GWh di solito) probabilmente verrà data la possibilità di coprire slot minimi pari al 10% dei volumi, mentre a un cliente con volumi inferiori la percentuale minima consentita potrebbe essere il 20 o 25%.
Prima di tutto, è consigliabile pianificare la strategia di fixing, ovvero una linea guida per l’ottimizzazione del contratto che consenta di raggiungere l’obiettivo dell’organizzazione senza lasciare troppo spazio all’improvvisazione e alla discrezionalità. Dunque è necessario identificare le finalità e gli obiettivi dell’ottimizzazione e i parametri utili per pianificare la strategia (ne abbiamo parlato anche nell’articolo "Come impostare una strategia di fixing" ).
Non tutti adottano la stessa logica e hanno gli stessi obiettivi ma impostare una strategia di fixing permette di agevolare le scelte dell’energy manager nel corso dell’anno, rispondendo adeguatamente ai movimenti del mercato nel rispetto dell’attitudine al rischio e degli obiettivi dell’organizzazione.
Anche la definizione dei volumi da fissare nei diversi fixing rientra fra gli aspetti da pianificare quando si sceglie la strategia di fixing da adottare. Come abbiamo detto più volte, non esiste la ricetta perfetta per tutte le esigenze, ma è necessario che la strategia sia costruita ad hoc rispetto ai desideri della società.
In generale, è sconsigliabile adottare una strategia “all in”, ovvero una strategia in cui si richiede un fixing per il 100% dei volumi in una sola volta. A meno di condizioni di mercato davvero particolari, come può essere stato il crollo dei mercati nel primo lockdown europeo del 2020, fissare più tranche invece di fare il cosiddetto “all in” permette di diminuire il rischio che il prezzo del mercato non sia quello ottimale.
Solitamente le strategie di fixing sfruttano al massimo il numero di fixing disponibili contrattualmente, prevedendo dei fixing progressivi rispetto ad una timeline ipotetica, in modo da garantire il fixing del 100% dei volumi entro una data stabilita. Inoltre, vengono definiti dei prezzi target, o dei range di prezzo, massimi (oltre i quali non si è disposti a pagare) e minimi (che garantiscono il raggiungimento del budget), raggiunti i quali si preferisce fissare tutti (o quasi) i volumi rimasti a prezzo variabile, in modo da limitare i danni, in un caso, o garantire il risparmio, nell’altro.
Quanto volume fissare ad ogni fixing, inoltre, dipende dalla propensione al rischio e dalla fiducia nella propria view di mercato. Parlando di rischio, infatti, è necessario sottolineare che minore è il numero dei fixing (e dunque maggiore il volume fissato in ogni tranche), maggiore è il rischio che il fixing soffra di una scarsa “diluizione” del momento di mercato e che dunque non sia mitigato l’effetto di un fixing richiesto in un periodo in cui i prezzi sono alti. Se, d’altra parte, si dispone di strumenti adatti e di una buona fiducia nella view di mercato, è giusto anche sfruttare maggiormente le indicazioni per ottimizzare il prezzo contrattuale.
In generale, per diminuire il numero delle variabili da gestire (quanto volume/quando fissarlo), si può suddividere il volume nel massimo numero di tranche disponibili e ipotizzare di chiudere lo slot minimo a ogni fixing. Se la view di mercato suggerisce di affrettare le coperture, o di approfittare di un momento di mercato particolarmente favorevole, si possono concentrare più fixing del volume minimo in un intervallo più limitato di tempo. In quest’ottica, si elimina la variabile “quantità” e si concentra la strategia sull’identificazione del giusto timing. A dipendenza poi della propensione al rischio, i fixing saranno più o meno concentrati intorno al periodo identificato per la copertura.
Uno dei misteri legati alle offerte di energia elettrica e gas è come viene fatto il pricing da parte del fornitore per il profilo di consumo del cliente. Il fatto che per...
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Uno dei misteri legati alle offerte di energia elettrica e gas è come viene fatto il pricing da parte del fornitore per il profilo di consumo del cliente. Il fatto che per valorizzare il prezzo dei consumi non regolari, nel corso dell’anno, del mese e (parlando di energia elettrica) del giorno, vengano utilizzati come riferimento i prezzi del mercato all’ingrosso, che sono, viceversa, calcolati su profili standard “piatti” (baseload e picco/fuori picco) fa sorgere spesso diversi dubbi sul prezzo applicato dal fornitore. Proviamo a fare un po' di chiarezza!
Quando un cliente richiede un fixing o un’offerta a prezzo fisso, il fornitore include, nel prezzo applicato, alcune componenti piuttosto standard, come il rischio volume, il rischio profilo, i costi finanziari, il margine (ne abbiamo parlato anche nell’articolo "Prezzi di fixing e prezzi all’ingrosso: come mai sono diversi? ").
Tutti questi costi, però, vengono montati “on top” sul prezzo “base” del profilo del cliente, ovvero sul prezzo che, nella migliore delle ipotesi, il profilo di consumo stimato potrebbe avere nel momento della richiesta. Questo prezzo “corretto”, o “fair” se vogliamo usare un inglesismo noto, è la miglior stima del costo che il fornitore dovrebbe sopportare per acquistare per il cliente quel profilo di consumo, valutata nel giorno in cui viene richiesta l’offerta.
Ci sono, è il caso di dirlo, una moltitudine di modi che possono essere utilizzati dai fornitori ed è dunque difficile trovare un metodo unico e applicato da tutti. La logica, però, è più o meno sempre la stessa. Il prezzo dei prodotti standard del mercato all’ingrosso viene sostanzialmente riproporzionato rispetto al profilo di consumo del cliente.
Immaginiamo di parlare di una sola settimana, per semplicità. Una settimana è composta da 7 giorni, di cui 5 lavorativi e 2 giorni di week end, e ipotizziamo che i 5 giorni lavorativi abbiano lo stesso prezzo (ad esempio 54 €/MWh), così come i due giorni del week end (ipotizziamo 40 €/MWh).
Se il prezzo del mercato all’ingrosso del prodotto standard baseload per la settimana è di 50 €/MWh, questo significa che la media dei prezzi dei 7 giorni che la compongono è esattamente 50. Fin qui tutto è abbastanza semplice, perché nell’ipotesi di prodotto standard, ovvero un profilo che in tutti i giorni e in tutte le ore è lo stesso, possiamo quasi dimenticarci delle “quantità”, e il prezzo medio è facile da calcolare.
Se il profilo di consumo fosse standard, dunque, il prezzo “fair” dell’energia consumata in questa settimana sarebbe 50 €/MWh.
Se parliamo di un consumo profilato, ovvero di quantità diverse per i diversi giorni della settimana, allora si introduce una complicazione in più e si parla dunque di media pesata. Niente di astruso, in verità, si tratta di calcolare la media del prezzo della settimana tenendo però conto del fatto che i consumi nei giorni lavorativi, come nell’esempio qui sotto, sono diversi dai consumi del week end.
In questo caso, infatti, il consumo medio dei giorni dal lunedì al venerdì è 30MWh, mentre nel week end è 10. La media pesata (e dunque il prezzo “fair”) sarà quindi dato da:
E’ possibile riportare questa logica agli altri prodotti standard, ovvero il calendar o i quarti o i mesi. Il prezzo del prodotto standard annuale è infatti una media del prezzo dei prodotti trimestrali e anche una media dei prodotti mensili.
Può capitare, è vero, che a volte ci sia una minima differenza dovuta alla liquidità del mercato, ma in un mercato “ideale” questo non accade. Il prezzo del profilo di consumo, dunque, viene di base ricavato come una media pesata del prezzo dei mesi o dei quarti per le rispettive quantità, ottenendo il prezzo “fair” sulla base del quale il fornitore calcola l’offerta.
Quanto fin qui descritto è ovviamente una semplificazione del processo di pricing dei fornitori, anche perché ciascuno utilizza delle raffinatezze ulteriori per prezzare i profili dei clienti e dei metodi diversi per ricavare il prezzo dei prodotti non quotati (i mesi lontani o le settimane, i giorni o le ore, ad esempio) dai prezzi dei prodotti standard del mercato all’ingrosso. La logica alla base, però, non si discosta da quanto detto finora.
Ragionare su quali siano i meccanismi alla base del pricing, nonostante questo non ci consenta di replicare esattamente il metodo adottato dal nostro fornitore, aiuta però a comprendere come mai consulenti, piattaforme e data provider utilizzino come riferimento i prezzi dei prodotti standard del mercato all’ingrosso per dare indicazioni sugli acquisti dei clienti industriali.
Non solo i prezzi dei prodotti quotati sul mercato sono indicativi delle migliori stime degli operatori in riferimento a un determinato periodo, ma il fatto che i prezzi salgano o scendano sul mercato all’ingrosso si ripercuote sui prezzi dell’energia elettrica e del gas che vengono offerti dai fornitori e che saliranno o scenderanno a loro volta.
Prima di scegliere un contratto indicizzato con fixing è necessario valutare i pro e i contro di questo rispetto ad un contratto a prezzo fisso, fare considerazioni sugli...
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Prima di scegliere un contratto indicizzato con fixing è necessario valutare i pro e i contro di questo rispetto ad un contratto a prezzo fisso, fare considerazioni sugli strumenti a disposizione per gestirlo e comprendere se, rispetto alle necessità, è effettivamente la scelta migliore.
Compiuta questa scelta, però, c’è un’altra domanda che è importante porsi, ovvero su quale periodi fare i fixing? Su un anno, sui quarters o sui mesi? Come si fa a scegliere quale di queste opzioni fa al caso nostro?
Come diciamo sempre, la risposta è: dipende! Da cosa? Dalle nostre necessità, dalle nostre attitudini e dai nostri obiettivi! Vediamo come le diverse opzioni rispondono alle diverse situazioni.
Avere un contratto con fixing annuali significa che il fornitore ci dà la possibilità di stabilire in diverse tranche il prezzo da pagare per delle quote di volumi “spalmate” sull’intero anno. Ad esempio, fissare il 25% dei volumi con un fixing annuale vuol dire bloccare il prezzo del 25% dei consumi di tutti i mesi e di tutti i giorni.
Pro e contro:
Avere un contratto con fixing trimestrali (o sui quarters) significa che il fornitore ci dà la possibilità di stabilire in diverse tranche il prezzo da pagare per delle quote di volumi in un trimestre dell’anno ben preciso. Ad esempio, fissare il 25% dei volumi con un fixing sul Q1 (primo trimestre dell’anno) vuol dire bloccare il prezzo del 25% dei consumi del mese di gennaio, il 25% dei consumi di febbraio e altrettanto per i volumi di marzo, non compiendo alcuna scelta per i trimestri successivi.
Avere un contratto con fixing mensili significa poter stabilire in diverse tranche il prezzo da pagare per delle quote di volumi in ogni mese di consumo.
Pro e contro:
Marzo e aprile sono due mesi nei quali il tema già scottante della CO2 entra ulteriormente in focus. Entro marzo, infatti, tutti i soggetti obbligati all’annullamento delle...
Leggi di più >Marzo e aprile sono due mesi nei quali il tema già scottante della CO2 entra ulteriormente in focus. Entro marzo, infatti, tutti i soggetti obbligati all’annullamento delle emissioni di CO2 (i cosiddetti “soggetti obbligati”, appunto) devono far certificare le proprie emissione dell’anno precedente da enti certificatori riconosciuti al fine di ufficializzare la quota di emissioni che deve essere annullata.
Aprile è poi il mese entro il quale le quote di CO2 equivalenti alle emissioni annuali 2020 devono essere acquistate e annullate sul registro ETS (la cosiddetta “compliance”).
Mancano dunque solo pochi giorni alla dead line, ma fra le attese evoluzioni normative e i livelli record dei prezzi, il tema CO2 potrebbe rimanere particolarmente caldo ancora a lungo.
Innanzitutto per il livello di prezzo raggiunto dai titoli della CO2!
Per la prima volta nella storia il 22 aprile il prezzo della CO2 (EUA Dic-21) ha superato i 47 €/ton, spinto probabilmente in buona parte dagli acquisti dell’ultimo minuto per l’annullamento di aprile e dalle coperture effettuate in vista della compliance 2022.
Inoltre, come abbiamo detto negli articoli("Sprint della CO2, come è arrivata a quota 40 €/t in tempi record?" e "2021 e CO2 i prezzi saliranno?") la Fase 4 dell’ETS iniziata da gennaio ha cambiato le carte in tavola per diversi motivi.
Uno di questi è l’allocazione delle quote gratuite per i soggetti obbligati che ne hanno diritto. Non solo a partire dal 2021 le quote gratuite saranno inferiori rispetto agli anni passati, ma la loro allocazione, prevista originariamente per febbraio, è slittata al secondo trimestre, verosimilmente giugno.
Se negli anni passati i soggetti obbligati utilizzavano le quote gratuite ricevute a febbraio per l’annullamento di aprile, quest’anno questa possibilità è preclusa: non tanto per il ritardo nell’allocazione delle quote gratuite 2021, quanto per il fatto che le quote gratuite di quest’anno saranno etichettate come Fase 4, mentre l’annullamento di aprile riguarda le quote della Fase 3 (se anche fossero state allocate a febbraio, insomma, non sarebbero state utilizzabili per l’annullamento di aprile).
Una ulteriore particolarità del 2021 è che il meccanismo di riduzione dei titoli in circolazione, il Market Stability Reserve (MSR), quest’anno dovrà sottrarre una parte delle quote calcolata sulla base delle emissioni del 2020, anno in cui, tra i vari lockdown, è evidente che ci sia stata una certa carenza di emissioni dovuta a motivi contingenti (si spera non ripetibili), soprattutto da parte del settore dell’aviazione.
Si stima infatti che nel 2020 le emissioni di tutti i soggetti obbligati in Europa siano state inferiori di circa il 13,3 % rispetto al 2019 (secondo quanto pubblicato sul sito dell’Unione Europea Emissions trading: greenhouse gas emissions reduced by 13.3% in 2020 | Climate Action (europa.eu)).
Questo significa che le quote che verranno bartificialmente sottratte dal mercato potrebbero essere più del “normale”, andando a ridurre ulteriormente l’offerta di titoli in circolazione a partire da settembre 2021.
Ci si aspetta che la comunicazione delle quote sottratte col il meccanismo MSR venga effettuata a inizio maggio 2021.
Entro questa estate, inoltre, è previsto che l’Unione Europea apporti delle modifiche al sistema ETS e al meccanismo dell’MSR per adattarli ai nuovi target di riduzione stabiliti dal Green Deal (-55% di emissioni entro il 2030).
Altra novità di questo 2021 è il lancio previsto per metà maggio del sistema ETS in UK (la prima asta di titoli è prevista infatti il 19/5), visto che, a seguito della Brexit, il Regno Unito è uscito dal sistema ETS Europeo, ma ancora non è stato definito da EU e UK come i due sistemi ETS saranno legati per evitare arbitraggi o l’esistenza di “agevolazioni” sui costi delle emissioni nei due mercati.
Non tutti i soggetti obbligati ad annullare le proprie emissioni hanno un occhio di riguardo per il mercato, se pensiamo che, oltre ai produttori di energia da fonti fossili, fra i soggetti obbligati si trovano acciaierie, cementifici, industrie del vetro e della carta, oltre che il settore dell’aviazione.
E’ molto probabile che diverse aziende abbiano messo a budget per il 2020 un prezzo pari quasi alla metà del prezzo di mercato attuale (ricordiamoci che verso la fine dell’anno 2019 la CO2 era quotata fra i 24 e i 26 €/ton mentre oggi il prezzo si trova fra 45 e i 47 €/ton) e che in fase di acquisto abbiano visto i costi della CO2 quasi raddoppiati rispetto a quelli ipotizzati a budget.
Questo rincaro per molti inaspettato, però, potrebbe favorire la transizione verso tecnologie meno emissive e la gestione “ottimizzata” dell’approvvigionamento di quote di CO2, non più con logiche di budget ma di portfolio management, un po' come ad oggi ci siamo abituati a fare per l’energia elettrica e il gas naturale.
Anche la CO2, infatti, può essere acquistata sia sul mercato spot (in aste primarie o tramite contrattazioni bilaterali) che sul mercato future, permettendo una gestione più strutturata del rischio prezzo.
L’obiettivo dell’EU, comunque, rimane la transizione verso target emissivi decisamente inferiori rispetto agli attuali e i 45-47 €/ton non sembrano essere un livello di prezzo sufficientemente alto da spingere i soggetti obbligati ad investire in progetti di abbattimento delle emissioni. E’ possibile dunque che con il tempo il prezzo raggiunto dalle quote di CO2 arrivi ben oltre questi livelli.
La frase “per gestire la fornitura al meglio è necessario seguire e comprendere il mercato” l’abbiamo citata più e più volte. Ma come agire sulla propria fornitura nei diversi...
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La frase “per gestire la fornitura al meglio è necessario seguire e comprendere il mercato” l’abbiamo citata più e più volte. Ma come agire sulla propria fornitura nei diversi momenti di mercato?
La prima cosa da fare è individuare qual è il momento di mercato nel quale ci si trova e per quale motivo il mercato è impostato in una determinata direzione.
Facciamo un esempio: i prezzi del mercato forward da qualche mese a questa parte stanno salendo, siamo cioè in una fase (o trend) rialzista.
Come mai i prezzi stanno salendo? C’è un motivo fondamentale, ovvero un disequilibrio fra domanda e offerta? Il fattore scatenante del movimento è destinato a perdurare o potrebbe venir meno diminuendo, di fatto, la spinta del movimento?
Queste sono le domande preliminari alle quali è necessario rispondere per impostare una strategia coerente di gestione della fornitura.
I momenti di mercato (fasi o trend) possono essere di diverse tipologie.
E’ chiaro che non è semplice individuare l’inizio di un trend, ovvero il momento in cui il mercato incomincia a seguire una direzione (o una non direzione, nel caso del trend laterale) specifica in seguito a determinati fattori fondamentali, ma è piuttosto evidente quando il mercato segue una direzione per 1 mese o più.
Una volta compreso in quale momento di mercato ci troviamo, poi, è necessario stimare la durata del movimento, ovvero capire come il mercato evolverà nel futuro. Il rialzo durerà 2-3 settimane, 2-3 mesi o più tempo ancora? Quando le condizioni di domanda e offerta potrebbero trovare un nuovo equilibrio che minerà le basi di questo movimento provocandone l’interruzione e, di solito, l’inizio di un nuovo trend?
Anche in questo caso, l’analisi dei motivi che consentono al mercato di mantenere un assetto rialzista, ribassista o laterale aiuta ad ipotizzare la durata di questo equilibrio (o disequilibrio) fra domanda e offerta e, di conseguenza, la durata del trend.
Il trend può dunque essere di breve, medio o lungo termine, può cioè durare pochi giorni/settimane fino a mesi/anni.
L’individuazione del momento di mercato e della sua possibile durata ci aiuta a capire come gestire al meglio la nostra fornitura energetica. Mantengo il prezzo variabile o è meglio se richiedo un fixing? E’ meglio fissare il prezzo solo per i prossimi mesi o addirittura per la fornitura degli anni futuri?
Per poter rispondere a questa domanda è necessario, però, capire anche qual è il contesto in cui avviene la valutazione. Qual è il mio obiettivo, risparmiare (ottimizzazione) o non rischiare di pagare di più (logica di budget)? E quali sono gli strumenti a disposizione per raggiungere questo obiettivo?
Se torniamo indietro ad un anno fa, nel periodo del primo lockdown dovuto al Covid, ci ricordiamo il crollo che hanno avuto i mercati, sia finanziari che di gas ed energia elettrica. I mercati energetici erano, però, già da alcuni mesi in trend ribassista, al di là del crollo che fra metà marzo e inizio aprile a portato i prezzi a toccare dei minimi storici.
Bene, in un periodo ribassista come i mesi precedenti, dovendo fare delle considerazioni su come gestire al meglio una fornitura, molti clienti con contratto a prezzo variabile hanno optato per rimanere esposti al prezzo del mercato o hanno fissato solo una quota minima dei propri consumi, per poter approfittare del ribasso il più possibile. Chi ha compiuto questa scelta ha voluto prediligere il possibile il risparmio, accollandosi il rischio che il mercato cambiasse improvvisamente rotta provocando un rialzo.
Chi ha invece scelto di fissare il prezzo, magari alla fine dell’anno precedente, probabilmente ha preferito adottare una logica da budget (so quale saranno i miei costi l’anno prossimo) senza rischiare di incorrere in una risalita dei prezzi e, dunque, in costi maggiori.
Arrivati al famoso crollo del mercato, diversi clienti con un contratto a prezzo variabile hanno scelto di contattare il fornitore per richiedere un fixing di tutti i volumi, per tutta la durata contrattuale (spesso sono stati fissati addirittura i prezzi per 1, 2 o più anni successivi), proprio sfruttando un momento di mercato ai minimi storici.
Hanno fatto bene? Assolutamente sì, perché dalle analisi risultava improbabile che il trend ribassista potesse proseguire dopo un crollo simile, visto che la domanda, al termine del lockdown, sarebbe necessariamente ritornata a valori superiori e dunque, prevedibilmente, i prezzi avrebbero incominciato un trend di recupero almeno dei livelli precedenti al crollo.
Chi in quel momento aveva un contratto con prezzo già fissato non ha potuto beneficiare della discesa dei prezzi, quantomeno per l’anno in corso. Nonostante questo, alcuni clienti hanno richiesto al fornitore di poter contrattualizzare il prezzo per l’anno o gli anni successivi considerando che, nonostante l’ottica di budget utilizzata per l’anno 2020 li avesse penalizzati, fosse interessante approfittare della discesa dei prezzi per gli anni futuri.
Cosa ci suggerisce questo esempio? Che quando ci si trova in un momento di mercato ribassista è possibile ottimizzare la propria fornitura se si ha un prezzo variabile, ma qualora il prezzo dell’anno in corso fosse già stato fissato, si può comunque cercare di ottimizzare, almeno in parte, la fornitura per gli anni successivi.
Se il mercato si trova in un periodo di discesa, è bene attendere il più possibile prima di richiedere il fixing, aspettando il momento in cui la discesa sembra essere giunta al termine. Magari, in ottica di gestione del rischio, è prudente mantenere una quota maggiore di volumi a prezzo variabile, per approfittare del ribasso, e fissare il prezzo solo di una percentuale ridotta dei consumi per coprirsi, almeno in parte, da un rischio di rialzo.
Quando ci si trova in un trend di mercato rialzista (come in questo momento) è necessario comprendere se il trend è destinato a durare a lungo oppure no. Se ci si aspetta che la tendenza al rialzo sia di lungo periodo, è prudente correre ai ripari, evitando di rimanere esposti al rischio prezzo su una quota importante di volumi, onde evitare di incorrere in prezzi sempre più alti e, di conseguenza, costi sempre maggiori.
Viceversa, se l’aspettativa è che il mercato ritracci, interrompendo nel breve termine la salita, forse val la pena aspettare il ribasso per poi approfittare delle quotazioni inferiori per fare dei fixing.
In entrambi i casi, il rischio che il mercato salga sempre di più deve essere attentamente compreso e gestito, anche sulla base dell’obiettivo dell’ottimizzazione.
Se la logica rimane quella del budget, in un periodo rialzista è consigliabile bloccare il prezzo dei propri consumi il prima possibile, eliminando o riducendo il rischio di costi molto elevati (visto che ci si aspetta che il mercato continui a salire). Se la logica è invece la rincorsa del miglior prezzo, non è consigliabile lasciare il 100% dei volumi a prezzo variabile, ma, per diminuire il rischio, si dovrebbe rimanere esposti al prezzo di mercato solo con una parte dei volumi.
Una volta firmato il contratto di fornitura a prezzo variabile, spesso esiste la possibilità di richiedere al fornitore dei fixing, ovvero di fissare il prezzo dell’energia...
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Una volta firmato il contratto di fornitura a prezzo variabile, spesso esiste la possibilità di richiedere al fornitore dei fixing, ovvero di fissare il prezzo dell’energia elettrica o del gas, per una quota parte del profilo di consumo contrattualizzato, per un periodo definito.
Insomma, si può passare da un contratto totalmente a prezzo variabile ad una fornitura il cui prezzo viene in parte o in toto fissato prima del periodo di consumo. Ma come si fa a decidere quando richiedere un fixing e per quale quota di volume farlo?
Innanzitutto una strategia di fixing deve partire dall’analisi dei mercati e dalla previsione di come i prezzi potrebbero evolvere in futuro. Questo tema, come abbiamo già detto più volte, è assolutamente essenziale per poter gestire correttamente un contratto indicizzato con fixing.
Si analizzano dunque i fondamentali del mercato del gas e dell’energia elettrica, con metodo e costanza, per creare degli scenari possibili dell’evoluzione futura dei prezzi. In base a questi scenari, che devono essere aggiornati costantemente per assorbire ogni eventuale cambio di assetto nei driver fondamentali, si riesce ad avere un’idea di come potrebbe muoversi il mercato nel prossimo futuro.
Le analisi si basano su una moltitudine di fattori di natura fondamentale che avranno un impatto per un certo periodo di tempo o in un determinato momento nel futuro, ma devono considerare anche gli aspetti geopolitici, macroeconomici e a volte psicologici del mercato.
Grazie all’interazione di questi diversi fattori si crea uno scenario e una curva forward dei prezzi che potrebbero verificarsi. Sulla base dei risultati si procede poi a sviluppare la strategia di fixing da applicare al proprio portafoglio di consumo.
Esistono diverse filosofie su come impostare una strategia di fixing. Qualcuno cerca di trovare il momento migliore (il punto di minimo dei prezzi) per richiedere un fixing sul 100% (o quasi) del volume contrattuale, qualcun altro preferisce fissare più volte una porzione del profilo richiedendo un fixing ogni tot.
Quel che è certo è che la miglior strategia di fixing è quella che meglio si adatta all’attitudine al rischio dell’operatore e della società, quella che calza meglio, proprio come un vestito su misura.
Per questo motivo la prima cosa da fare è proprio identificare la predisposizione al rischio e l’approccio migliore.
Se la priorità è ottenere il prezzo più basso in assoluto e limitare al minimo il numero di fixing, la strategia di fixing sarà concentrata sulla ricerca del corretto timing per richiedere al fornitore un fixing di una quota consistente di volumi, arrivando a fissare il 100% in 1 o 2 tranche.
L’altra faccia della medaglia, in questo caso, è che si deve essere disposti ad accettare il rischio di non riuscire a cogliere il momento migliore per eseguire il fixing o, addirittura, di eseguirlo proprio nel momento in cui i prezzi sono più alti.
Se, viceversa, la priorità è limitare il più possibile il rischio di fare il fixing nel momento sbagliato, la strategia di fixing dovrà certamente ottimizzare il timing, ma soprattutto dovrà prevedere la richiesta di più tranche di fixing per suddividere i volumi fissati nel corso di un ampio periodo.
D’altra parte è necessario essere consapevoli che un numero maggiore di fixing diluisce, sì, l’effetto negativo di un fixing nel momento in cui i prezzi sono molto alti, ma diluisce altrettanto il vantaggio di eseguire un fixing con i prezzi ai minimi.
In entrambi i casi la difficoltà maggiore risiede nel comprendere il mercato e riuscire a reagire correttamente ad esso.
Non dimentichiamoci inoltre che, oltre alla ricerca del momento giusto per fare il fixing, è necessario valutare anche la possibilità di non fissare l’intera quota di volume per un determinato periodo, ovvero di sfruttare o meno un potenziale ribasso dei prezzi spot nel periodo di consumo.
Spesso infatti può essere preferibile lasciare che una parte del volume contrattuale rimanga esposta alle fluttuazioni dei prezzi.
Pur mantenendo un buon livello di flessibilità, è consigliabile pianificare l’approccio alla gestione della fornitura con anticipo, strutturando un processo di ottimizzazione che consenta di approfittare della volatilità del mercato ma anche di non farsi trovare impreparati nel momento in cui il mercato dovesse subire un brusco crollo o, viceversa, una forte spinta al rialzo.
E’ ovvio che non è possibile decidere in maniera puntuale e precisa tutti i fixing da fare nel corso dell’anno, ma è importante identificare, in base anche a quanto è stato concordato con il fornitore, alcuni parametri di riferimento.
Innanzitutto l’ideale è avere un target di prezzo al di sotto del quale si considera di aver ottenuto “un buon prezzo” ed un prezzo al di sopra del quale tendenzialmente si preferirebbe non andare (il “pagare troppo o poco” è sempre un concetto soggettivo!).
Inoltre è importante scegliere quali periodi si vuole considerare per il fixing (l’anno intero, i trimestri o i singoli mesi), quali volumi tendenzialmente si vuole coprire con ogni fixing (10%, 25%, 50%, …) ed entro quanto tempo prima della delivery verrà deciso se lasciare o meno una parte dei volumi esposta al prezzo di mercato.
Insomma, è importante avere una sorta di piano ideale per gestione dei fixing che possa definire in linea di massima i passi per l’ottimizzazione della fornitura. Nel corso del periodo, poi, analizzando i mercati e reagendo con prontezza ad eventuali opportunità, sarà più semplice stabilire se richiedere un fixing, quanto coprire, e quando farlo.
La gestione di un contratto di fornitura a prezzo indicizzato con possibilità di fixing può, dunque, sembrare complicata e questo spesso scoraggia chi non ha una competenza specifica sui mercati all’interno dell’azienda. Cosa fare dunque?
Come abbiamo detto spesso (vedi articolo sui pro e contro del prezzo fisso e variabile) la soluzione giusta è sempre e solo quella che meglio si adatta a noi.
Non si deve scegliere il prezzo indicizzato a tutti i costi, se questo non ci fa sentire sicuri, se i volumi consumati sono così bassi da non giustificare lo sforzo di ottimizzarne il costo o se, semplicemente, non lo riteniamo una priorità.
Ma non si deve per forza scegliere un prezzo fisso solo perché non si hanno le competenze interne per gestire una fornitura indicizzata.
Esistono numerosi servizi disponibili per chi necessita un supporto lato mercato e che consentono anche a chi non è esperto di analisi e previsioni di mercato di sfruttare le opportunità offerte da un contratto a prezzo variabile con fixing.
Consulenti, piattaforme, data provider, gestori di portafoglio, la possibilità di scelta è abbastanza ampia e variegata.
Se si ritiene interessante un contratto indicizzato con fixing, insomma, il modo per poterne approfittare esiste ed è disponibile. L’importante è scegliere di gestire la fornitura in modo coerente con la propria attitudine e senza improvvisare. E’ meglio scegliere un prezzo fisso piuttosto che fare i fixing lanciando una monetina!
Siamo riusciti, a volte con fatica, ad abbracciare l’idea di una fornitura a prezzo variabile al posto del classico e tanto amato prezzo fisso. Siamo arrivati a comprenderne i...
Leggi di più >Siamo riusciti, a volte con fatica, ad abbracciare l’idea di una fornitura a prezzo variabile al posto del classico e tanto amato prezzo fisso. Siamo arrivati a comprenderne i potenziali benefici e ad apprezzare la possibilità di fare dei fixing per diminuire il rischio di aumento dei prezzi e quindi dei costi legati alla fornitura. Ci siamo informati sui mercati, su come si muovono i prezzi e perché.
Ma ancora non riusciamo a capire per quale motivo il prezzo di fixing che ci offre il fornitore sia così diverso dal prezzo che si trova sul mercato all’ingrosso e su tutte le newsletter che circolano settimanalmente. Come mai?
Quando viene richiesto un fixing, i fornitori devono fare delle valutazioni che consentano loro, da un lato, di offrire al cliente un prezzo competitivo, dall’altro di coprirsi adeguatamente sul mercato all’ingrosso.
Per questo motivo all’interno della quotazione vengono prezzati alcuni elementi piuttosto standard:
- Profilo di consumo/costo della materia prima
- Rischio profilo
- Rischio volume
- Costi finanziari per la copertura
- Margine
Come sappiamo, i prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica e del gas naturale, consultabili sui siti dei mercati (EEX o ICE FUTURES) ed espressi in €/MWh sia per il gas che per l’energia elettrica, si riferiscono a prodotti standard per durata (calendar, quarter, month) e profilo (baseload/picco/fuori picco per energia elettrica e baseload per il gas).
Questo significa che sono prezzi validi come riferimento per quantità fisse, tutti i giorni/tutte le ore del periodo considerato.
Insomma, se il mio profilo di consumo fosse di 1 MWh in tutte le ore dell’anno, allora il prezzo del fixing potrebbe essere molto vicino al prezzo baseload del mercato all’ingrosso. Ma il mio profilo non è così, purtroppo. E quindi?
Per poter quotare il fixing, il prezzo del prodotto all’ingrosso deve essere riproporzionato e aggiustato per seguire la forma del mio profilo. Più il profilo con cui consumo è costante nei diversi giorni e ore, più la quotazione del fornitore potrà avvicinarsi al prezzo del prodotto standard baseload. Più il mio profilo è variabile, più invece sarà distante.
Il fornitore, analizzando il profilo, deve valorizzare correttamente sia la forma del profilo all’interno della giornata/settimana, sia come il profilo varia nel corso del periodo (mese/trimestre/anno) di cui ho richiesto il fixing.
Il fornitore quindi deve stimare un coefficiente correttivo che tenga in considerazione della forma del mio profilo, ovvero di quanto consumo e in quali ore/giorni, per poter riproporzionare il prezzo del prodotto baseload e offrirmi una quotazione competitiva.
Se il mio consumo si concentra nelle ore centrali della giornata o nei giorni lavorativi, quando l’energia/il gas costa di più, il fornitore dovrà certamente adeguare al rialzo il prezzo del baseload.
Viceversa, se consumo soprattutto nelle ore notturne o nei week end, quando energia elettrica e gas costano tendenzialmente meno, la quotazione sarà inferiore.
Inoltre, se il mio profilo di consumo è molto vario nel corso del mese/trimestre/anno, ad esempio se durante una settimana consumo a pieno carico e la seguente consumo il 50% di meno, il fornitore dovrà tenere conto di questa variabilità nel momento della quotazione.
Tutto questo viene quotato all’interno del prezzo per la parte relativa al “profilo” e ovviamente questa quota “costo materia prima” risulta la più rilevante fra gli elementi prezzati nel fixing. E’ proprio questa voce che potrebbe, se esplicitata, esser paragonata al prezzo del mercato all’ingrosso.
Il fornitore deve inoltre considerare il rischio che il mio consumo reale abbia, a parità di consumo totale sul periodo, una distribuzione diversa (sulle ore/giorni) rispetto a quanto preventivato.
Deve essere dunque stimata la possibile variazione di consumo e il conseguente costo che ne può conseguire per il fornitore.
Ovviamente il fornitore non è in grado di prevedere il futuro né di sapere con certezza quanto varierà la forma del mio profilo nel momento del consumo e dunque può solo fare una stima forfettaria del rischio profilo.
In questa stima il fornitore solitamente considera l’effetto portafoglio, ovvero il fatto che il rischio profilo derivante da un singolo cliente viene diluito all’interno del portafoglio aggregato composto da tutti i clienti serviti dal fornitore: quando, in un’ora o in un giorno, un cliente consuma un poco di più, un cliente probabilmente consuma un poco di meno.
In questo modo la quota di rischio profilo che viene prezzata nella quotazione del fornitore risulta molto inferiore rispetto a quanto non sarebbe se venisse considerato il solo profilo del cliente.
Un altro elemento che viene stimato nella quotazione è la possibile variazione dei volumi consumati in totale sul periodo.
Se il mio profilo prevede che io consumi 100 nel mese di marzo, è probabile che nel corso del mese di consumo, la quantità di energia elettrica o gas effettivamente prelevata dalla rete sia un po' di più (105) o un po' di meno (95).
Questa possibile variazione del totale consumato rispetto al profilo previsionale si chiama rischio volume ed è un altro aspetto che deve essere prezzato dal fornitore all’interno del fixing.
Anche in questo caso solitamente il fornitore considera l’effetto portafoglio e dunque il costo che viene inserito nella quotazione risulta inferiore rispetto a quanto sarebbe se io fossi l’unico cliente del fornitore.
Nel momento in cui viene confermato un fixing, il fornitore tendenzialmente si copre dal rischio prezzo acquistando sul mercato all’ingrosso un prodotto standard per “bloccare” il delta fra il ricavo derivante dell’energia elettrica o del gas che ha venduto a prezzo fisso (in seguito al fixing) e il costo di acquisto della materia prima.
Per compiere la copertura il fornitore sostiene a sua volta dei costi: costo di accesso al mercato all’ingrosso, costo delle garanzie finanziarie necessarie per la copertura, costo di transazione e così via.
Una piccola quota di questi costi viene ribaltata all’interno della quotazione del fixing proprio per coprire i costi operativi del fornitore.
Viene aggiunta al prezzo di fixing anche una piccola quota a remunerazione del fornitore e del servizio di fixing che offre. In questo caso, è facilmente intuibile, ciascun fornitore applica un margine a sua scelta.
Va però sottolineato che in generale, il mark up del fornitore non è una quota troppo cospicua, altrimenti il prezzo offerto risulta fuori mercato.
In conclusione, la quotazione del fixing che viene fatta dal fornitore difficilmente può essere spacchettata per comprendere quanto è stato prezzato a copertura di ciascuna voce di cui sopra.
Per questo motivo paragonare il prezzo di fixing al prezzo del mercato all’ingrosso risulta un po' macchinoso. Non per questo il mercato all’ingrosso è qualcosa da non seguire, anzi!
Informarsi ed analizzare il mercato all’ingrosso, le news e in generale l’andamento dei prezzi è utilissimo per capire cosa sta succedendo, quali scenari possono verificarsi e, in definitiva, per valutare quando è il momento migliore per richiedere un fixing.
Da tempo ormai sentiamo parlare dei titoli di emissione di CO2 (EUA) in riferimento ai mercati europei di energia elettrica e gas naturale. Da inizio febbraio, in particolare, la...
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Da tempo ormai sentiamo parlare dei titoli di emissione di CO2 (EUA) in riferimento ai mercati europei di energia elettrica e gas naturale. Da inizio febbraio, in particolare, la CO2 ha fatto parlare di sé a causa di una esplosione delle quotazioni, che hanno superato più volte i 40 €/tonnellata.
I prezzi della CO2 sono improvvisamente arrivati oltre la quota dei 40 €/tonnellata. Cosa sta succedendo e perchè?
Come avevamo anticipato nell’articolo "2021 CO2, i prezzi saliranno? ", già dall’inizio del 2021 ci si aspettava un certo fervore sul tema della CO2.
L’Unione Europea ha deciso di aumentare il target di riduzione delle emissioni di gas serra al 2030, passando da un obiettivo iniziale di -40% rispetto alle emissioni del 1990 ad un nuovo target del -55%, ufficializzato a fine anno scorso.
Questa ulteriore spinta verso la riduzione delle emissioni, nell’aria dall’estate scorsa, ha dato un nuovo impulso alle quotazioni delle EUA (Permessi di emissione di CO2), strumento principale della lotta alle emissioni in Europa.
Il sistema ETS, inoltre, da quest’anno è entrato nella cosiddetta fase 4, ovvero un periodo nel quale viene ridotto sia il tetto massimo di emissioni annuali sia la quantità di titoli di emissione gratuiti a disposizione dei Paesi europei.
Grazie al meccanismo di Market Stability Reserve (MSR), attivo dal 2019, viene ridotta progressivamente l’offerta di titoli sul mercato per consentire un miglior equilibrio di domanda e offerta. Insomma, dal punto di vista regolatorio e politico, un rialzo dei prezzi della CO2 era uno degli obiettivi dichiarati da tempo.
Maggiore è il costo dei permessi di emissione, maggiore è la spinta, da un lato, verso la dismissione delle centrali elettriche inquinanti (soprattutto il carbone) a favore di energie rinnovabili e centrali a gas naturale, dall’altro verso un generale efficientamento e rinnovamento dei processi produttivi del tessuto industriale europeo.
Negli ultimi 4 anni, con l’aumentare dei prezzi della CO2 (nel 2017 i titoli di emissione difficilmente avevano un prezzo al di sopra dei 10 €/tonnellata) l’interesse di banche, istituti finanziari e fondi di investimento per il mercato della CO2 è andato aumentando, poiché se da un lato in un’ottica di lungo periodo il tema della riduzione delle emissioni offre delle ottime prospettive di investimento, dall’altro i tassi negativi sui capitali hanno incentivato la ricerca di opportunità di rendimento alternative.
Il risultato è stato un massiccio aumento dei capitali sul mercato dei prodotti futures sulla CO2 (quasi 10 volte maggiori nel 2020 rispetto al 2017), mercato che è passato dall’essere utilizzato dagli operatori del settore energetico per le coperture degli acquisti di titoli fisici, all’essere un mercato finanziario speculativo, in cui banche, ETF e fondi impiegano capitali importanti e negoziano volumi consistenti.
Un aumento dei prezzi era prevedibile? Sì, i fondamentali del mercato della CO2 mostravano chiaramente che il target dei 40 €/tonnellata era ormai in focus nel corso dell’anno 2021.
Era prevedibile che si arrivasse ai 40 €/tonnellata già a inizio febbraio? Probabilmente no. Fra i fattori bullish di quest’ultima parte dell’inverno, sicuramente le basse temperature (il cosiddetto picco termico) hanno contribuito ad aumentare la domanda di gas ed energia elettrica, con conseguente aumento della domanda di titoli di emissione.
Il prezzo della CO2 si muoveva da inizio gennaio in una banda di oscillazione fra i 31 e i 35 €/MWh e gli operatori probabilmente si aspettavano che nel breve termine il freddo e la maggior domanda portassero i prezzi verso l’area 35-36 €/tonnellata.
Il raggiungimento dei 40 €/tonnellata, invece, è stato un movimento repentino e improvviso, causato da elementi speculativi che poco hanno a che vedere con i fondamentali di breve termine del mercato.
A inizio febbraio (il 2), ha fatto scalpore un articolo di Bloomberg (Andurand Sees Carbon Tripling as Funds Turn Bullish on Pollution) in cui si dichiarava che alcuni Hedge Fund avessero un target di prezzo per la CO2 a 100 €/tonnellata entro la fine dell’anno (il giorno stesso il prezzo del future della CO2 è passato dai quasi 33 ai 35 €/tonnellata). Il giorno dopo, il prezzo della CO2 in asta primaria (titoli fisici dunque) è arrivato a 38 €/tonnellata e solo una settimana dopo la CO2 ha sforato il tetto dei 40 €/tonnellata.
Questo movimento violento sembra dunque non esser stato originato da una situazione fondamentale quanto da una forte presa di posizione di tipo speculativo.
La velocità e la natura del rialzo potrebbero, nel breve termine, non consentire ai prezzi di mantenersi al di sopra dei 40 €/tonnellata, ma il mood generale nel medio termine vede un’azione congiunta di elementi fondamentali e di speculazione che difficilmente consentirà ai prezzi di tornare ai valori visti l’anno scorso.
Effettivamente, gli ambiziosi obiettivi europei per il taglio delle emissioni potranno esser raggiunti solo con dei costi di emissione molto alti, che incentivino gli investimenti in rinnovabili e in tecnologie più green.
Nonostante le ottime intenzioni però, di fatto, il costo della CO2 si riverbera nel costo dell’energia elettrica, tutt’ora in buona parte prodotta da combustibili fossili in molti paesi dell’Unione Europea, e nelle filiere produttive di tutta Europa.
L'Unione Europea, per questo motivo, dovrà essere particolarmente attenta nel calibrare correttamente il bilanciamento fra l’incisività delle misure di riduzione dei gas serra ed il rischio di rilocazione delle industrie, energivore e non, che vedono la propria competitività internazionale messa a dura prova dai costi di annullamento della CO2.
Capire il mercato, prevedere l’andamento del prezzo, intuire come evolverà la situazione e anticipare i movimenti. Queste attività, croce e delizia di ogni trader o analista, sono...
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Capire il mercato, prevedere l’andamento del prezzo, intuire come evolverà la situazione e anticipare i movimenti. Queste attività, croce e delizia di ogni trader o analista, sono diventate importantissime anche per i clienti che consumano energia elettrica o gas in grandi quantità e che devono decidere un fixing o valutare una nuova fornitura. Ma come funzionano le analisi o i modelli che vengono utilizzati dagli operatori per capire come potrebbe muoversi il mercato?
Esistono diverse tipologie di analisi che possono essere utilizzate per cercare di anticipare i movimenti dei prezzi e trarre un beneficio economico dall’andamento dei prezzi.
Le analisi, si sa, sono un po' come l’abbigliamento: ciascuno si sente a suo agio vestendo un outfit diverso, ma lo scopo del vestirsi resta il medesimo, ovvero coprirsi.
Ecco, allo stesso modo, ciascun trader, analista o operatore lavora e si focalizza su un determinato tipo di analisi che gli è più congeniale e l’obiettivo rimane lo stesso, ovvero, in questo caso, anticipare un movimento di mercato, capire cosa succederà e muoversi di conseguenza.
Fra le diverse tipologie di analisi possibili, sicuramente tutti hanno sentito parlare dell’analisi tecnica e dell’analisi fondamentale.
L’analisi tecnica è una metodologia di analisi che cerca di intuire i movimenti futuri del mercato andando a ricercare graficamente dei pattern, ovvero degli schemi tipici, e dei livelli di prezzo che “incanalino” il movimento di mercato attuale all’interno di figure ricorrenti.
Ad esempio, se il prezzo della CO2 oscilla all’interno di un “canale” fra un minimo e di un massimo, con l’analisi tecnica ci si aspetta che in concomitanza con il raggiungimento del massimo, il prezzo torni giù, mentre vicino al minimo rimbalzo nuovamente in su.
L’analisi tecnica è una metodologia di analisi derivata dai mercati finanziari e viene utilizzata soprattutto sui mercati molto liquidi, come ad esempio la CO2. Ultimamente sta trovando spazio anche nei mercati di energia elettrica e gas, ma più come supporto dell’analisi fondamentale che come metodo di previsione dei prezzi a sé stante.
L’analisi fondamentale, molto più diffusa per i mercati di energia elettrica e gas, è invece basata sullo studio dei driver, appunto, fondamentali, ovvero i fattori che hanno un impatto sullo stato generale del sistema di domanda/offerta e che dunque hanno un impatto diretto sui movimenti dei prezzi.
Il bilanciamento fra domanda e offerta è il meccanismo alla base della formazione dei prezzi. Ad esempio, se è previsto che nel corso del prossimo mese le navi di LNG in arrivo in Europa saranno pochissime rispetto al normale, assumendo che la domanda di gas naturale rimanga invariata, è facile intuire che una minor offerta di gas provocherà un aumento dei prezzi.
Fare analisi fondamentale, dunque, significa valutare l’impatto di tutti gli elementi della domanda e dell’offerta, cercando di prevedere se l’equilibrio sia possibile agli attuali livelli di prezzo o se la bilancia debba invece pendere maggiormente verso un aumento dei prezzi (scarsità di offerta o aumento della domanda di materia prima) o verso una diminuzione (abbondanza di offerta della materia prima o diminuzione della domanda).
Spesso la sola analisi dei fondamentali non è del tutto sufficiente per ottenere una view, perché affinchè sia possibile stimare l’impatto sui prezzi è necessario che gli operatori valutino anche quali sono gli eventuali elementi psicologici che possono provocare delle reazioni sui mercati e qual è il contesto macroeconomico in cui il mercato si inserisce.
Grazie all’analisi fondamentale è dunque possibile ottenere una view, ovvero uno scenario di previsione degli equilibri futuri di domanda e offerta, che indichi anche un’aspettativa rispetto ai prezzi.
Ma come si passa da una analisi che indica una possibile salita o discesa dei prezzi a dei target di prezzo veri e propri? Come, dunque, si costruisce la curva dei prezzi attesi? Beh, un elemento che può essere di aiuto è il passato.
Osservare come i prezzi hanno reagito in passato ad una situazione di domanda/offerta analoga a quella ipotizzata dalla nostra view consente di ipotizzare di quanto i prezzi potrebbero salire o scendere rispetto ai prezzi attuali. Ad esempio, se in passato un evento di freddo acuto nel mese di febbraio ha provocato un aumento dei prezzi forward fra il 5% e il 7% rispetto al periodo precedente, è possibile utilizzare questa indicazione per quantificare l’aumento atteso qualora si verificasse una condizione analoga in futuro.
Il lavoro degli analisti, insomma, non è affatto semplice e nonostante l’esperienza, la capacità e gli strumenti migliori è possibile che talvolta una view di mercato non si realizzi a causa di eventi imprevisti. Certo è che la costanza e la continua analisi degli elementi fondamentali consente, nel tempo, di conoscere il mercato e imparare ad interpretarlo, cogliendo le occasioni di risparmio o di guadagno e consentendo un miglior approccio alla gestione dell’energia.
Il tema degli stoccaggi e del livello di riempimento di questi ultimi viene sempre citato, in maniera più o meno approfondita, fra i driver fondamentali dei prezzi di mercato del...
Leggi di più >Il tema degli stoccaggi e del livello di riempimento di questi ultimi viene sempre citato, in maniera più o meno approfondita, fra i driver fondamentali dei prezzi di mercato del gas europeo ed italiano.
Ma cosa sono gli impianti di stoccaggio e perché sono così importanti?
Uno stoccaggio di gas naturale è un deposito ricavato sfruttando strutture geologiche naturali, come siti di produzione di gas ormai esauriti o cavità sotterranee di vario tipo, oppure, più raramente, utilizzando serbatoi metallici costruiti appositamente.
All’interno di questi serbatoi, naturali o artificiali, viene immagazzinato il gas naturale prelevato dalla rete di trasporto in attesa di esser successivamente estratto per l’utilizzo.
Tipicamente in estate, quando le temperature sono mediamente elevate e la domanda di gas naturale per uso civile è più bassa, il gas viene iniettato negli stoccaggi. Viceversa, nella stagione invernale, quando il freddo causa un aumento della domanda di gas soprattutto per il riscaldamento civile, il gas viene prelevato dagli stoccaggi per essere utilizzato.
Dunque, per il periodo che va dal 1 di aprile al 30 settembre si parla stagione di iniezione o immissione (del gas in stoccaggio), mentre dal 1 di ottobre al 31 di marzo di stagione di prelievo o erogazione.
Una piccola quota dello spazio di stoccaggio (intorno al 20-25%) viene dedicata alle cosiddette riserve strategiche, ovvero delle quantità di gas che vengono stoccate per far fronte a problematiche importanti relative all’importazione o a crisi del sistema gas nazionale che possono provocare una carenza di materia prima tale da mettere a rischio il paese.
Questa quota resta inutilizzata fino al sopravvenire di un evento eccezionalmente importante e che ne giustifichi l’impiego.
La quota rimanente, quella di cui si parla proprio in riferimento ai mercati, viene dedicata all’utilizzo commerciale per la modulazione della domanda.
Tendenzialmente gli stoccaggi costituiscono un importantissimo cuscinetto di riserva che consente di soddisfare la maggior domanda invernale e le eventuali fluttuazioni di domanda all’interno della stagione.
Sono delle vere e proprie riserve di flessibilità che aiutano a modulare l’offerta di gas disponibile nel sistema, per lo più su base stagionale, ma anche a soddisfare, in alcuni casi, picchi di domanda giornalieri/periodici.
La domanda di gas destinato all’immissione in stoccaggio è una quota importante della domanda gas dei mesi estivi e consente, nell’arco dei sei mesi, di ripristinare le scorte di gas destinate al consumo durante l’inverno.
Il livello di riempimento degli stoccaggi, dunque, oscilla fra un livello minimo, normalmente raggiunto verso fine marzo, e un livello massimo, che coincide con l’inizio dell’inverno (fine settembre/inizio ottobre).
Durante l’estate, quando i riscaldamenti non sono accesi e dunque la domanda di gas è più bassa, gli operatori acquistano il gas per immetterlo negli stoccaggi. Più sono bassi i prezzi, più gli operatori tendono ad acquistare il gas per rivenderlo durante l’inverno, quando i prezzi sono normalmente più alti.
In Europa, circa il 20-30% del totale di gas utilizzato nel periodo invernale proviene da stoccaggi. Per questo motivo, se il livello di riempimento degli stoccaggi all’inizio dell’inverno è molto alto (come è successo a inizio di ottobre 2019), il sistema gas nei mesi invernali può godere di una relativa abbondanza di materia prima per far fronte ai picchi di domanda causati dal freddo o a una diminuzione delle importazioni e dunque i prezzi tendono ad essere più bassi e rilassati.
Viceversa, se il livello di riempimento è inferiore, esiste il rischio che un calo di temperatura importante o un problema di approvvigionamento provochi un aumento di domanda al quale non si riesce a far fronte, con un conseguente rialzo dei prezzi.
La flessibilità data dagli stoccaggi dunque è fondamentale per consentire un adeguato bilanciamento fra domanda e offerta.
E’ appena terminato un anno particolare e anche su energia elettrica e gas ci sono stati grandi scossoni. Qual è la situazione del sistema gas europeo a inizio gennaio? Meteo e...
Leggi di più >E’ appena terminato un anno particolare e anche su energia elettrica e gas ci sono stati grandi scossoni. Qual è la situazione del sistema gas europeo a inizio gennaio?
L’inverno è finalmente arrivato, e con esso è arrivato il freddo e la neve, almeno in buona parte dei paesi del centro Europa.
Le condizioni meteo di questi primi mesi di inverno sono state ben diverse da quelle che hanno caratterizzato l’ultimo trimestre del 2019.
Le temperature, infatti, sono state spesso più rigide di quanto mediamente non accada fra novembre e dicembre. Questo ha spinto i consumi di gas sia per uso civile che per uso termoelettrico.
Come è tipico del periodo, i prezzi del gas, molto sensibili alle temperature rigide invernali, hanno reagito al rialzo.
Il freddo è arrivato anche nell’area asiatica ed in particolare in Giappone e Corea del Sud (la cosiddetta area JKM, ovvero Japan and Korean Marker), paesi che utilizzano il gas naturale come primaria fonte per il riscaldamento civile.
Poiché la domanda asiatica di gas (e di conseguenza il prezzo del gas) è aumentata sensibilmente a causa di temperature più basse rispetto alla normale stagionale, le navi di LNG, soprattutto provenienti dal Nord America, sono state dirottate verso l’area JKM, massimizzando i margini dei venditori e diminuendo l’afflusso di LNG in Europa, dove i prezzi sono saliti di conseguenza.
In Europa, a dicembre, le navi in discarica sono state circa la metà delle navi arrivate nel dicembre 2019.
Proprio a causa delle temperature rigide, il gas stoccato durante l’estate è stato abbondantemente utilizzato durante l’ultimo trimestre del 2020, al punto che il livello di riempimento degli stoccaggi a fine dicembre è inferiore rispetto all’anno scorso (va però ricordato che il 2019 è stato un anno eccezionale in quanto ad abbondanza di gas in stoccaggio).
Per quanto, dunque, le riserve siano state utilizzate nel corso di novembre e dicembre, i livelli di riempimento degli stoccaggi restano in linea con i valori normali del 2017 e 2018.
I livelli di import europeo via pipeline sono nella norma; su questo fronte una novità, per quanto riguarda l’Italia, è la messa in esercizio del TAP, un tubo che porta il gas dall’ Azerbaijan alla Puglia, passando da Turchia, Grecia, Albania e attraversando il mar Adriatico.
Grazie a questo, si è ridotto il premio che il gas italiano ha sempre avuto rispetto agli altri hub europei (es TTF), diminuendo dunque lo spread e avvicinando il PSV ai mercati più competitivi dell’Europa centrale.
È possibile che la situazione di attuale scarsità di LNG permanga anche nel corso del primo trimestre di gennaio, nonostante siano previste temperature più in linea con i valori medi stagionali sia in Europa che in Asia già a partire da metà/fine gennaio.
Non è escluso, inoltre, che si verifichino picchi di freddo artico di breve durata, che potrebbero portare spike sullo short term.
L’evoluzione della pandemia di Covid e le misure di limitazione degli spostamenti sembrano avere poco grip per quanto riguarda le dinamiche della domanda del gas naturale.
Inizia un nuovo anno: vediamo quali sono i temi caldi di questo primo trimestre del 2021. All’inizio del 2021 osserveremo la naturale evoluzione di alcuni grandi temi che hanno...
Leggi di più >Inizia un nuovo anno: vediamo quali sono i temi caldi di questo primo trimestre del 2021.
All’inizio del 2021 osserveremo la naturale evoluzione di alcuni grandi temi che hanno caratterizzato l’anno appena passato ed in particolare gli ultimi due-tre mesi.
Dopo un periodo festivo decisamente singolare, fra lockdown, distanziamento e divieti alla libera circolazione, uno degli argomenti più di attualità resta senza dubbio lo svolgersi della campagna di vaccinazione legata al COVID-19 e l’effetto di quest’ultima, insieme alle misure di limitazione agli spostamenti, sulla curva dei contagi. Pur essendo ancora troppo presto per giudicare l’efficacia della campagna di vaccinazione, iniziata già in dicembre, cresce l’ottimismo sui mercati, soprattutto quelli azionari, che continuano ad apprezzarsi nonostante le condizioni poco incoraggianti dell’economia “reale”.
Anche i mercati energetici, dal petrolio al gas naturale e all’energia elettrica, di riflesso, sembrano beneficiare di questo mood positivo. Tuttavia, le ragioni dei rialzi recenti sono da ricercarsi anche in diversi altri fattori che hanno avuto, e continueranno ad avere, un forte impatto sui prezzi del comparto energy in Europa.
Come abbiamo spiegato anche nell’articolo investimenti LNG e conseguenze a lungo termine, uno dei fattori scatenanti del rally dei prezzi del gas di fine 2020 sono state le temperature asiatiche che, più rigide della norma, hanno comportato un violento aumento della domanda di gas, in particolare di LNG. I prezzi del gas in Giappone e Corea sono saliti al punto da attrarre buona parte delle navi di LNG disponibili, causando un minor afflusso di navi in Europa fra novembre e (in particolar modo) dicembre.
Questo tema di fine anno potrebbe protrarsi anche per i primi mesi del 2021, almeno fino ad una distensione della tensione in area asiatica che avverrà in concomitanza con l’arrivo di temperature più miti.
Anche per quanto riguarda l’energia elettrica il quadro di questo primo trimestre risulta complesso e legato a diversi fattori contingenti che incidono sia sui temi fondamentali che sull’attitudine degli operatori. In particolar modo, a causa dell’implementazione delle misure di contenimento della pandemia di Covid, un fattore determinante riguarda la situazione del parco di generazione nucleare francese.
Le manutenzioni delle centrali, ritardate durante l’anno scorso proprio a causa dei diversi lockdown, potrebbero incidere sulla disponibilità dell’output nucleare proprio in questi primi mesi dell’anno, quando temperature particolarmente rigide potrebbero causare un aumento consistente della domanda di energia elettrica.
Ad aggravare la situazione nucleare francese, inoltre, si aggiungono le agitazioni sindacali dei lavoratori delle centrali a seguito del piano di ristrutturazione del colosso nazionale EDF che prevederebbe una massiva campagna di licenziamenti.
Anche il prezzo della CO2, che ha risentito dell’ondata di positività dei mercati finanziari di fine anno, incide sulle dinamiche dei prezzi dell’energia elettrica, supportando i prezzi in una situazione di tensione generale.
Molti dei temi di attualità di questo inizio anno, dunque, sono legati al meteo e alle condizioni metereologiche, che saranno da monitorare almeno fino all’arrivo della primavera.
Anche la disponibilità di vento, e dunque di produzione rinnovabile, è un tema di questo primo trimestre. Infatti, proprio fra gennaio e marzo, tendenzialmente, la produzione eolica raggiunge il picco stagionale, in particolar modo in Germania. Qualora questa fosse in linea con le aspettative, potrebbe parzialmente sopperire alla scarsità di energia nucleare prevista in Francia, ma qualora non lo fosse, ovviamente, comporterebbe ulteriori tensioni sui prezzi spot dell’energia elettrica.
In generale, sia il sistema gas che il sistema elettrico europei presentano una riserva di flessibilità ed una capacità di adattamento alle contingenze molto più limitata rispetto all’anno scorso e il fattore meteo, nel caso in cui si presentino temperature particolarmente rigide, potrebbe portare ad un ulteriore salita dei prezzi futures, già apprezzatisi nell’ultimo trimestre proprio di riflesso al potenziale rischio insistente sulla seconda parte dell’inverno. Attenzione dunque al termometro e buon anno!
Da ormai 20 anni è iniziato il percorso dell’Unione Europea verso lo sviluppo e l’incremento del parco di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Ma qual è la...
Leggi di più >Da ormai 20 anni è iniziato il percorso dell’Unione Europea verso lo sviluppo e l’incremento del parco di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Ma qual è la situazione ad oggi e come l’incidenza della produzione rinnovabile ha modificato (e modificherà) le dinamiche della generazione elettrica in Europa?
Guardando ai dati (la cui fonte sono i TSO nazionali) della produzione elettrica del 2019 di alcuni fra i principali paesi europei (Italia – Francia – Germania – Spagna), si possono capire alcuni elementi fondamentali che caratterizzano i diversi mercati e le dinamiche che si riscontrano sui prezzi.
Italia: la fonte prevalente per la produzione elettrica è il gas naturale (oltre il 45%), le rinnovabili e l’idroelettrico producono quasi il 40% dell’energia totale e il carbone ha un ruolo limitato a meno del 10%.
Francia: oltre il 70% è prodotto dal nucleare, rinnovabili e idroelettrico cubano quasi il 20%, mentre il rimanente è prodotto da gas o altri combustibili.
Germania: oltre il 40% è stato prodotto da rinnovabili e idroelettrico, il carbone ha il ruolo di fonte fossile primaria (quasi il 35%), poi nucleare e gas.
Spagna: rinnovabili e idroelettrico coprono quasi il 40% del totale, seguite da gas (oltre il 30%) e nucleare (poco più del 20%), mentre il carbone e altri combustibili hanno un ruolo marginale.
Dai grafici qui sopra possiamo notare come la quota di produzione elettrica da fonti rinnovabili sia rilevante (vicino al 40%) in tutti i Paesi considerati, eccezion fatta per la Francia, dove le politiche nazionali volte a massimizzare i profitti del nucleare non hanno ancora permesso alla quota verde di oltrepassare il 20%.
In un parco di generazione così ricco di fonti rinnovabili non programmabili (in particolare fotovoltaico ed eolico), però, non è possibile ipotizzare, nel breve periodo, una completa dismissione delle centrali a combustibile tradizionale.
A causa della non programmabilità e della frequente oscillazione dell’output rinnovabile, infatti, è necessario affiancare alle rinnovabili delle centrali di produzione programmabili e flessibili, per sopperire alla domanda nei momenti in cui il sole o il vento non fossero disponibili. Proprio per questo motivo, il gas naturale risulta essere la fonte di generazione termoelettrica preferibile, sia per la maggiore flessibilità che offre rispetto ad esempio al carbone, sia per la minor quantità di emissioni prodotte nel processo di combustione.
L’elevata quota di rinnovabili nel mix di generazione, oltre a necessitare di risorse flessibili ad integrazione, ha altri risvolti meno evidenti. Se con gas e carbone l’impatto del fattore meteo è poco rilevante rispetto alla produzione, con le rinnovabili questo assume una importanza cruciale. Sole o nuvole, vento forte o leggero, pioggia o siccità.
Questi elementi diventano più importanti con il progredire della penetrazione delle rinnovabili nel mix di produzione elettrica e per questo motivo il fattore meteo entra ancor più prepotentemente fra gli elementi che determinano i prezzi nel breve termine.
La spinta green dell’Unione Europea ha visto diversi paesi, prima fra tutti la Germania, pianificare una uscita imminente dalla produzione elettrica da carbone/lignite (combustibili particolarmente nocivi dal punto di vista delle emissioni) e l’Italia stessa ha dichiarato il medesimo obiettivo, pianificando la riconversione di alcune grosse centrali a carbone per sfruttare come combustibile il gas naturale.
Gli investimenti in rinnovabili sono stati pianificati e sostenuti nel tempo per poter sopperire in buona parte a questa futura minore produzione da fonti fossili e per consentire la riduzione delle emissioni, in particolare di CO2, in accordo anche agli obiettivi dell’EU al 2030.
Negli ultimi anni gli incentivi alle rinnovabili, dapprima implementati dai governi dei diversi paesi attraverso forme di sostegno dei ricavi della vendita dell’energia prodotta, sono stati sostituiti progressivamente da incentivi indiretti, più concentrati sul disincentivo economico delle fonti fossili più inquinanti (il sostegno ai prezzi della CO2 ne è un esempio). L’obiettivo è la grid parity, ovvero la convenienza economica di investimenti in rinnovabili senza necessità di un supporto governativo per garantirne l’appetibilità e questo traguardo sembra sempre più vicino.
La spinta verso l’energia pulita, però, non è solo un impulso che proviene dalle politiche europee o nazionali, ma sta diventando negli ultimi anni un bisogno espresso da molti consumatori. La maggior sensibilità al tema del futuro sostenibile ha fatto sì che una quota sempre più rilevante di clienti, sia civili che industriali, richieda specificatamente contratti di fornitura con certificazione della provenienza rinnovabile dell’energia.
Chi non ha la possibilità di installare fisicamente pannelli fotovoltaici o pale eoliche per autoprodurre l’energia rinnovabile di cui ha bisogno, infatti, può richiedere al proprio fornitore di acquistare energia prodotta al 100% da fonti rinnovabili, la cui certificazione è costituita dalle garanzie d’origine, ovvero delle “etichette” che assicurano la provenienza dell’energia da uno specifico impianto rinnovabile.
Il futuro appare, dunque, sempre più sospinto verso l’energia pulita, le scelte sostenibili, l’efficienza energetica e l’attenzione all’ambiente. Anche se non potremo fare a meno di tecnologie convenzionali nel breve termine, assisteremo nei prossimi 10-20 anni all’evoluzione del mix energetico, allo sviluppo di sistemi di stoccaggio dell’energia rinnovabile e all’introduzione di nuove tecnologie a minor impatto ambientale come l’idrogeno.
Se il 2020 è stato un anno sotto molti (troppi) aspetti turbolento, il 2021, almeno per quanto riguarda il mercato della CO2 e, a cascata, quelli di power e gas europei, sembra...
Leggi di più >Se il 2020 è stato un anno sotto molti (troppi) aspetti turbolento, il 2021, almeno per quanto riguarda il mercato della CO2 e, a cascata, quelli di power e gas europei, sembra prospettarsi altrettanto impegnativo.
Dopo la proposta della presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen che durante l’estate ha spinto l’ormai noto Green Deal per l’innalzamento dei target di riduzione delle emissioni al 2030, nel mese di ottobre il Parlamento Europeo ha iniziato l’iter burocratico di votazioni, modifiche e approvazioni che dovrebbe portare entro il 2030 il target di riduzione delle emissioni di gas serra (inclusa quindi la CO2) dall’attuale 40% al 60% rispetto ai valori del 1990.
Ancora non è stata ratificata la legge europea di approvazione di questo nuovo target, ma tutto sembra indicare che il -60% sia l’obiettivo generalmente condiviso dai Paesi Europei, con l’eccezione di Polonia e Slovacchia, i quali hanno richiesto alcune modifiche al testo originale.
Se questo target dovesse essere definitivamente approvato, i Paesi Europei dovranno fare sforzi importanti per diminuire le emissioni, non escludendo anche l’introduzione di un prezzo minimo per la CO2 che sia, da un lato, sufficientemente alto da spingere i soggetti emittenti a compiere investimenti, ma, dall’altro, che non spinga le industrie europee verso la delocalizzazione in Paesi extra EU.
Inoltre, la riduzione di emissioni verrà probabilmente estesa anche a settori che ad oggi non sono soggetti, come i trasporti marittimi e terrestri (i trasporti aerei sono già soggetti all’obbligo).
Se la Legge Europea sul clima porterà degli effetti di mercato nel medio-lungo termine, non escludendo rialzi psicologici e speculativi nel breve termine, di più immediato impatto sono il tema Brexit e la fase 4 del sistema ETS.
Sono ancora in una zona grigia molti aspetti legati alla Brexit, fra cui anche le modalità di gestione delle emissioni di UK che al 31/12/2020 uscirà definitivamente dal sistema ETS europeo.
Nonostante le dichiarate intenzioni dei britannici di voler costituire un sistema ETS UK allineato con quello europeo, ancora è incerta la situazione che si verificherà a partire dal 1° gennaio. Se UK non fosse pronta per avviare il proprio mercato ETS, armonizzandolo con quello europeo, potrebbe essere introdotta una carbon tax che porterebbe con sé un forte disallineamento dei prezzi fra UK e continente.
È di questi giorni la notizia che la Commissione Europea ha pubblicato le quote di emissioni che verranno sottratte dal mercato ETS europeo (come riserva del meccanismo MSR) nel 2021, includendo nei calcoli fatti per la valutazione della riserva anche il nuovo assetto del sistema senza UK. In ogni caso si attende una decisione da parte di UK riguardo l’armonizzazione dei due sistemi per valutarne le conseguenze sul sistema europeo.
Da gennaio, inoltre, si entra nella cosiddetta FASE 4 del sistema ETS europeo, la quale prevede, fra le altre cose, l’incremento del fattore lineare di riduzione (FLR) dall’1,74% al 2,2%. In altre parole, si abbassa il tetto delle emissioni “accettabili”, nell’ottica di raggiungimento dei target europei al 2030.
Questa riduzione, decisa anni fa, era calibrata per arrivare al 2030 con una riduzione del 40% di emissioni rispetto al 1990, ma potrebbe essere soggetta ad una ulteriore modifica al rialzo, se venisse ratificato dell’EU l’accordo sul clima con il target al 60%.
Nella fase 4, inoltre, diminuiranno le quote di emissione assegnate a titolo gratuito ai soggetti industriali europei, andando a diminuire il numero di soggetti che ne potranno usufruire e obbligando, di fatto, le realtà che ne saranno escluse ad acquistare una parte consistente delle proprie quote di emissione a prezzi di mercato. Anche questo fattore potrebbe portare ad un aumento di domanda con conseguente impatto rialzista sui prezzi.
Infine, nel 2021 è prevista una revisione del sistema di Market Stability Reserve, ovvero del sistema di sottrazione di quote di emissione dal mercato per diminuire l’offerta e spingere i soggetti obbligati ad investire in opere di riduzione delle emissioni. È possibile che per allinearsi alla legge sul clima europea, l’MSR debba aumentare le quote da sottrarre di anno in anno, provocando ulteriore diminuzione di titoli disponibili.
La CO2 è uno degli elementi che maggiormente influenza il prezzo dell’energia elettrica e un driver importante anche in relazione al gas naturale.
A seguito degli sviluppi relativi alle tematiche sopracitate, nel 2021 potremmo assistere a sviluppi regolatori/politici di forte impatto sul mercato della CO2 e di conseguenza anche sul mercato di gas e power.
L’alta volatilità nei periodi rilevanti rispetto alle date chiave farà da contraltare ad un clima di generale attesa rialzista sui mercati. L’incognita coronavirus rende il quadro suscettibile di ulteriori incertezze, soprattutto sul lato della domanda di titoli, ma potrebbe rimanere una parentesi temporale limitata rispetto allo sviluppo dei temi regolatori di più lungo termine.
Gas Naturale liquefatto: Come abbiamo detto nell’articolo “Gas: quali sono i 3 fattori principali che incidono sul prezzo?”, del gas annualmente immesso nel sistema europeo più...
Leggi di più >Come abbiamo detto nell’articolo “Gas: quali sono i 3 fattori principali che incidono sul prezzo?”, del gas annualmente immesso nel sistema europeo più dell’80% è gas importato dall’estero, in parte via tubo dai paesi adiacenti (Russia, Norvegia e Nord Africa) e in parte via nave da paesi esportatori anche abbastanza lontani dall’Europa (come Qatar, USA e Nigeria).
Poiché gli ultimi anni hanno visto un incremento importante dei carichi di LNG diretti verso le coste europee, fino a pesare più del 20% del totale del gas importato, è importante comprendere i risvolti che l’approvvigionamento del gas naturale liquefatto porta con sé.
Innanzitutto, la peculiarità dell’LNG (o GNL) è la sua dimensione globale. Non si tratta più infatti di gas proveniente da paesi limitrofi, confinanti o collegati da tubo, ma di gas che viene esportato da paesi spesso geograficamente distanti.
Ciò che guida i flussi di LNG non è dunque la prossimità o il fatto di aver investito in gasdotti per garantire flussi decennali di gas, come è tipico del gas importato tradizionalmente via pipeline, ma la convenienza economica.
Se il prezzo del gas che viene pagato in Europa è sufficientemente alto da coprire il costo della materia prima, le fee di liquefazione e rigassificazione e i costi del trasporto via nave (tendenzialmente sia l’andata che il ritorno), l’LNG viene venduto in Europa. Viene dunque liquefatto nel paese esportatore, caricato su una nave metaniera che lo mantiene a pressione costante e ad una temperatura inferiore ai -160°C e trasportato a destinazione, dove verrà immesso in un impianto di rigassificazione e successivamente immesso nelle reti di trasporto europee.
Una seconda caratteristica importante dell’LNG è la sua flessibilità, sia come fonte di approvvigionamento addizionale nel momento in cui è necessario immettere maggiori quantità di gas nel sistema europeo, sia come varietà delle fonti e delle tratte di provenienza geografica.
Infatti, il gas trasportato via nave può aggirare aree di tensioni geopolitiche, assicurando così l’approvvigionamento nonostante guerre o inasprimenti di conflitti di lunga data, diversamente dal gas importato tradizionalmente via pipeline (sono negli annali le tensioni fra Russia e Ucraina che hanno spesso comportato ripercussioni sugli approvvigionamenti di gas europei provenienti da quell’area).
Altrettanto importante è l’impatto dell’LNG sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento e, dunque, sulla riduzione dalla storica dipendenza dell’Europa dal gas russo.
L’industria dell’LNG ha visto un exploit negli ultimi anni, non solo in Europa, come abbiamo appena detto, ma anche a livello globale. Notevoli sono stati gli sforzi, sia da parte dei paesi produttori, che hanno investito molto in impianti di liquefazione e hanno così trovato nuovi sbocchi per vendere il proprio gas, sia da parte dei paesi importatori che hanno intrapreso una massiccia opera di costruzione di infrastrutture aumentando la capacità di rigassificazione un po' su tutte le coste.
Questa nuova dimensione globale del mercato del gas, oltre agli evidenti vantaggi, porta con sé anche delle implicazioni di carattere economico e politico. Nel momento in cui la domanda di gas di un’area del globo fosse così alta da far aumentare i prezzi locali, i carichi di LNG verrebbero dirottati su quell’area, garantendo ritorni maggiori, a scapito dell’approvvigionamento di altri mercati più economici e dunque meno redditizi.
È questo spesso ciò che si verifica in alcuni periodi dell’anno e che vede coinvolte l’area asiatica (Cina, Giappone e Corea del Sud) e l’Europa. È capitato (ad esempio nell’estate del 2018), e capiterà ancora, che la domanda asiatica fosse così alta da attrarre numerosi carichi originariamente destinati al mercato europeo, drenando gas addirittura già immesso nel sistema europeo e provocando una carenza di offerta e un conseguente rialzo dei prezzi locali.
Inoltre, in un mercato più globale, anche elementi di origine geopolitica o macroeconomica lontani dai nostri confini riescono a filtrare ed avere risvolti sui prezzi del gas europeo. Se, ad esempio, si dovesse verificare un evento imprevisto che coinvolge un paese esportatore o una traiettoria di passaggio per le navi di gas, questo potrebbe provocare un impatto sui prezzi europei. Un esempio di questa dinamica è abbastanza recente, si parla del 2019, quando è stata attaccata una petroliera nello stretto di Hormuz, rotta principale delle navi di LNG che dal Qatar navigano verso i porti europei.
L’impatto dell’LNG sui mercati gas europei è dunque sempre maggiore e gli investimenti in questo ambito sono stati ingenti, fino a poco tempo fa. L’unica incognita nell’evoluzione futura dell’LNG rimane la scarsità di nuovi investimenti a causa di un’annata 2020 ricca di incognite.
Quest’anno, infatti, con l’epidemia di Covid e i prezzi del gas generalmente molto bassi, l’attrattività di nuovi investimenti è stata frenata da prospettive di ritorno più lunghe, provocando una battuta di arresto nello sviluppo di nuove infrastrutture (si parla di impianti previsti o prevedibili per i prossimi 5-10 anni).
Solo un rialzo sostanziale e sano dei prezzi e, in generale, una ripresa dell’economia convinta potrà ridare una spinta ulteriore agli investimenti per i prossimi anni.
La policy, come abbiamo detto nell’articolo, "Policy per la gestione della fornitura energetica: una guida ai processi" è uno strumento che consente di disciplinare i vari aspetti...
Leggi di più >La policy, come abbiamo detto nell’articolo, "Policy per la gestione della fornitura energetica: una guida ai processi" è uno strumento che consente di disciplinare i vari aspetti necessari al corretto svolgimento delle attività oggetto della policy stessa.
Dunque, una policy per la gestione della fornitura di energia elettrica e gas naturale è lo strumento che guida le scelte e le azioni dell’energy manager o della figura che se ne occupa, in relazione alla fornitura.
Prima di tutto è necessario definire gli obiettivi e gli ambiti di applicazione della policy, cioè quali attività e processi sono interessati.
Oggetto della policy può essere la definizione del processo e dei criteri per la scelta del fornitore e/o della tipologia di contratto (prezzo fisso/variabile con fixing…) oppure la gestione dei fixing contrattuali, a seconda di quali siano le specifiche necessità.
Poi è importante definire i ruoli e le responsabilità delle persone coinvolte. Chi si occupa di che cosa e con quale livello di indipendenza/delega decisionale. Ad esempio, per la scelta del fornitore e del contratto il finance si occuperà della valutazione della solidità finanziaria dei fornitori, l’energy manager della scelta del miglior pricing, il legale dell’accettazione delle condizioni generali e particolari del contratto.
Evitare il più possibile ambiguità su questo tema permette ai soggetti coinvolti di aver chiaro il perimetro operativo e il ruolo di ciascuno nel processo decisionale o di gestione.
Si deve entrare poi più nel dettaglio del cosa si deve fare e come. La definizione di una linea guida chiara per i processi da seguire per la scelta di un fornitore o di un contratto o per la sua gestione è fondamentale per consentire ai soggetti coinvolti di operare secondo i princìpi dell’azienda.
In questa parte dovranno dunque esser stabilite le tempistiche (es: entro quando fare la selezione, entro quando avere un contratto firmato, …), le modalità con cui compiere la valutazione (es: scegliere il fornitore che offre il prezzo più basso?
O dare priorità ad altri criteri altrettanto importanti come la situazione finanziaria/patrimoniale? Quale mix di criteri si vuole adottare? …) e la prassi da seguire per la gestione contrattuale (es: come operare scelte sui fixing o come muoversi per la disdetta contrattuale).
È importante anche specificare quali siano gli eventuali strumenti a supporto dei processi e delle decisioni, ad esempio se la società si affida ad un consulente, a un data provider o un servizio newsletter per seguire i mercati o se vengono utilizzati files/programmi per il risk management.
Attenzione, però! Il risultato finale non deve essere un insieme stringente di regole e procedure ferree da seguire pedissequamente, ma una linea guida che consenta ai diversi soggetti coinvolti di operare con un determinato livello di libertà e discrezionalità. Quindi, sì a limiti operativi e confini discrezionali, no a manuale operativo e procedure rigide!
Chiaramente, a seconda della realtà aziendale e delle specifiche esigenze, la policy può essere un documento più o meno complesso e più o meno formale. Una società più strutturata e con diversi livelli di delega probabilmente utilizza la policy come strumento organizzativo e procedurale, istituendo diversi gradi di controllo dei processi e dei risultati conseguiti.
Una società di dimensioni minori e con un organico meno numeroso, invece, grazie alla policy può supportare il lavoro dell’energy manager o dei soggetti che si occupano della gestione della fornitura, semplificando le scelte e consentendo di operare con più efficienza.
Inoltre, poiché le situazioni, le persone e le organizzazioni sono sempre in evoluzione, è importante rivedere periodicamente quanto definito nelle policy, così da modificarlo e adattarlo di anno in anno alla realtà aziendale e alle persone che vi lavorano.
Ad esempio, vengono introdotti nuovi strumenti? Si sceglie un nuovo approccio al pricing? La scelta del fornitore deve seguire nuove logiche? Tutto ciò deve essere integrato nella policy per riflettere nelle linee guida le mutate condizioni a contorno.
A prescindere quindi dalle dimensioni aziendali, la policy è uno strumento utile per affrontare razionalmente e con metodo la gestione del contratto di fornitura energetica, nel rispetto dei princìpi della società e del ruolo dei soggetti coinvolti.
Un secondo tema fondamentale quando si parla di ottimizzazione della fornitura energetica e di gestione del rischio sono i processi e gli strumenti da utilizzare. Che si tratti di...
Leggi di più >Un secondo tema fondamentale quando si parla di ottimizzazione della fornitura energetica e di gestione del rischio sono i processi e gli strumenti da utilizzare.
Che si tratti di rinnovare annualmente l’offerta di fornitura a prezzo fisso o di gestire i fixing di un contratto a prezzo variabile, è importante che i soggetti che se ne occupano abbiano ben chiaro quali sono le modalità e gli strumenti da utilizzare per compiere delle scelte. Facciamo un esempio.
Stipulando il rinnovo del contratto di fornitura di energia elettrica o gas, ho ottenuto un prezzo molto più alto rispetto all’anno precedente. Probabilmente dovrò giustificare le mie scelte a qualcuno e, altrettanto probabilmente, questo qualcuno non sarà molto contento del prezzo ottenuto.
Se però ho richiesto le offerte ai fornitori nei tempi e nei modi definiti nella policy e ho utilizzato le linee guida della policy per scegliere l’offerta migliore, pur avendo ottenuto un prezzo poco soddisfacente, ho comunque operato secondo quanto richiesto e dunque ho conseguito il mio obiettivo (rinnovare il contratto di fornitura) nella maniera corretta.
È chiaro che, se mi trovassi ad operare le stesse scelte senza il supporto di una policy che definisca le modalità, le tempistiche e i criteri da utilizzare per scegliere il fornitore, avrei più difficoltà a dimostrare la bontà del mio operato. Ma non solo, anche scegliere autonomamente come farlo o quando farlo non sarebbe affatto semplice.
Ancor più complicata potrebbe essere la gestione dei fixing, e del rischio prezzo, senza una linea guida che ci aiuti e supporti in questa attività. Ad esempio, se ho firmato un contratto di fornitura a prezzo indicizzato con possibilità di fixing e i prezzi del mercato continuano a salire e salire e salire… che si fa? Faccio un fixing per limitare i danni? Aspetto per non fissare un prezzo troppo alto? E se i prezzi non tornano giù? E se invece scendono e ormai ho fissato un prezzo troppo alto?
Sono queste le domande (e lo stress che generano) che rischiano di farci commettere degli errori nella gestione della fornitura, complice il fatto che l’ottimizzazione dei costi energetici è spesso strategica e cruciale rispetto agli economics delle aziende.
Se però abbiamo a disposizione una policy che definisca chiaramente quali sono le modalità per gestire una situazione del genere, quali criteri adottare per decidere di fare un fixing, allora buona parte, non solo dello stress, ma anche del rischio di commettere errori viene eliminato.
La decisione di fare o non fare un fixing non solo viene guidata da logiche chiare e razionali, ma, pur rimanendo una responsabilità del soggetto che se ne occupa, non risulta più una decisione arbitraria e soggettiva.
Nella policy, dunque, è fondamentale definire il più chiaramente possibile quali sono i criteri da adottare per compiere le scelte, quali sono gli strumenti da utilizzare a supporto delle attività e le modalità operative ed i processi per l’ottimizzazione del contratto di fornitura.
Solo strutturando una policy chiara e completa si può ottenere una gestione ottimale della fornitura energetica, sia dal punto di vista di chi controlla l’attività che da quello di chi se ne deve occupare in prima persona.
Eccoci al primo articolo di una serie dedicata alle policy aziendali, ed in particolare alle policy a supporto dell’approvvigionamento di energia elettrica e gas naturale. Che...
Leggi di più >Eccoci al primo articolo di una serie dedicata alle policy aziendali, ed in particolare alle policy a supporto dell’approvvigionamento di energia elettrica e gas naturale.
La policy è uno strumento che consente di disciplinare i vari aspetti necessari al corretto svolgimento delle attività oggetto della policy stessa, in questo caso, quindi, delle attività di ottimizzazione della fornitura e gestione del rischio.
Poiché l’ottimizzazione della fornitura energetica, dalla scelta del fornitore, del prezzo o dell’indice, fino alla gestione dei fixing e del rischio sotteso alla fornitura stessa, è un’attività non solo spesso strategica ma anche potenzialmente complessa e impegnativa, appoggiarsi ad una policy può aiutare a indirizzare le attività, le procedure e le scelte nella direzione ottimale, evitando ambiguità e incomprensioni.
Insomma, una policy completa e strutturata può costituire un binario che guidi il processo dall’inizio alla fine senza consentire deviazioni fuorvianti e controproducenti.
La policy viene solitamente creata per adattarsi all’organizzazione e al profilo di rischio della società, in modo da calzare alla perfezione rispetto alla mentalità aziendale, alle consuetudini e ai soggetti coinvolti.
È una espressione di quelle che sono ritenute le best practices, non solo in generale, ma nella loro applicazione proprio in quella stessa realtà aziendale. Non è strano, infatti, che due aziende simili (stesso business, stesso paese, stesse dimensioni) abbiano policy parzialmente diverse, proprio a riflettere il diverso approccio e metodo applicato da una e dall’altra.
La prima importante informazione contenuta nella policy riguarda lo scopo, ovvero quali sono gli obiettivi per i quali è stata redatta. Fra questi, tendenzialmente, troveremo al primo posto una frase del tipo “definire le linee guida per l’attività di …”. Subito dopo ci sarà “individuare le figure aziendali coinvolte” e “assegnare le responsabilità, le competenze e il perimetro di operatività”.
Come mai è così importante definire le responsabilità e il perimetro di ciascuno degli attori coinvolti? Di primo acchito sembra una cosa banale, ma non lo è affatto.
Innanzitutto, per il corretto svolgimento di tutte le attività previste, a partire proprio dalla selezione del fornitore, è importante che non vi siano ambiguità su chi sia la persona o il dipartimento aziendale che se ne deve occupare. Non solo affinché non si creino situazioni di confusione, ma anche per consentire ai diversi soggetti in gioco di focalizzarsi sui loro obiettivi.
Inoltre, è importante che ciascuna figura sia valutata sulla base delle responsabilità e delle attività che gli competono. Un energy manager, ad esempio, sarà valutato in base alla sua gestione del contratto di fornitura energetica, rispetto alle sole aree di sua responsabilità. In questo caso, probabilmente, la valutazione finanziaria dei fornitori selezionati sarà di competenza di un dipartimento diverso e non rientrerà fra le attività dell’energy manager.
Insieme all’individuazione delle figure aziendali coinvolte, ne viene dunque chiarito il ruolo, l’autonomia decisionale e i limiti operativi. Consentendo a ciascuno di muoversi all’interno di un determinato perimetro operativo, infatti, si evita che un soggetto si trovi a prendere decisioni o ad analizzare qualcosa che non sia di sua competenza, lasciando che ciascuno si concentri sulle attività che è in grado di gestire meglio.
Nell’esempio di prima, dunque, l’energy manager si troverà a scegliere il fornitore sulla base di una valutazione della solidità finanziaria fattagli dal dipartimento AFC e sulla base del prezzo e delle altre condizioni di fornitura delle quali si sarà lui stesso occupato.
Queste formalità, questi limiti, non vogliono essere qualcosa di imposto dai vertici dell’azienda sui soggetti coinvolti, ma anzi, tutelano tutte le parti in causa. Da un lato, le direttive e le intenzioni della direzione aziendale vengono chiarite in maniera precisa e articolata, dall’altro i diversi soggetti coinvolti sono tutelati e tranquilli del fatto che il loro operato sia inequivocabilmente in linea con quanto stabilito dalla società.
È bene dunque che non solo le società più grandi e organizzate si dotino di una policy a supporto dell’attività di ottimizzazione della fornitura energetica, così da guidare le scelte nella direzione corretta tutelando allo stesso tempo anche le figure coinvolte.
Abbiamo visto quanto sia importante la fotografia dei prezzi ad oggi e il confronto di questi con i prezzi passati. Abbiamo anche visto le basi delle previsioni di mercato e...
Leggi di più >Abbiamo visto quanto sia importante la fotografia dei prezzi ad oggi e il confronto di questi con i prezzi passati. Abbiamo anche visto le basi delle previsioni di mercato e l’utilità di usarle costantemente per l’ottimizzazione dei contratti di fornitura.
La previsione di mercato è uno strumento fondamentale per compiere le nostre scelte in ambito dell’ottimizzazione della fornitura, perché è lo strumento migliore al quale fare riferimento per capire se e quando fare dei fixing. Basandoci sulle previsioni di mercato, siamo sicuri di operare razionalmente, al meglio delle nostre possibilità e con il supporto di informazioni professionali.
Che le previsioni siano frutto di un lavoro fatto internamente all’azienda o da specialisti esterni, senza dubbio sono l’unico strumento che ci consente di non operare alla cieca.
La fotografia del mercato, invece, ci dice come è il mercato oggi, e come è arrivato fino a qui. Soprattutto se coadiuvati da analisi sullo storico e sui movimenti passati, siamo in grado di capire quali elementi hanno mosso il mercato e perché.
È fondamentale affiancare l’utilizzo della fotografia dei mercati alle previsioni future, perché la previsione fatta una settimana fa potrebbe esser supportata dal movimento dei prezzi fino ad oggi (era giusta) o esser smentita (qualcosa è cambiato).
Poter guardare al futuro capendo ciò che ha portato il mercato ai livelli di oggi ci dà maggiore comfort e fiducia nelle previsioni, perché saranno supportate da elementi concreti e spesso riscontrabili nel passato.
L’ottimizzazione della fornitura, dunque, dovrebbe esser basata su entrambi questi elementi, ciascuno a suo modo fondamentale, per consentirci di avere informazioni, capire le cose, sentirci meno allo sbaraglio. La classica domanda “ma come mai i prezzi sono saliti?” è sempre affiancata da un “pensi che scenderanno?” e dobbiamo poter rispondere ad entrambe.
È anche corretto da un punto di vista etico che le nostre scelte possano esser basate su informazioni chiare, trasparenti ed esaustive, che ci rendano capaci di operare in sicurezza e tranquillità anche nel caso in cui non avessimo “in house” esperti di mercato o traders.
Non solo perché la fornitura sarà effettivamente ottimizzata, ma anche perché la nostra percezione di “aver fatto le cose bene” basandoci su elementi concreti ci consentirà di motivare le scelte fatte, di assumerci la responsabilità della gestione e di sentirci padroni di un processo cruciale e, finalmente, chiaro.
Lo scenario dei prezzi futuri, ovvero cosa, ad oggi, si può ipotizzare che succederà, è frutto di analisi ed esperienza dei trader o degli analisti di mercato ed è un elemento...
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Lo scenario dei prezzi futuri, ovvero cosa, ad oggi, si può ipotizzare che succederà, è frutto di analisi ed esperienza dei trader o degli analisti di mercato ed è un elemento fondamentale a supporto delle scelte per l’ottimizzazione della Fornitura energetica.
Per riuscire a fare una previsione dell’andamento futuro dei prezzi, o addirittura di un prezzo che un determinato prodotto (ad esempio il Q1-2021) avrà in futuro, gli specialisti devono analizzare molti elementi di origine diversa. Da un lato i cosiddetti fondamentali (li abbiamo nominati spesso anche noi), che sono gli elementi strutturalmente importanti per definire l’equilibrio fra domanda ed offerta.
Ad esempio, per il gas naturale abbiamo visto che l’offerta di gas naturale in Europa dipende dal livello degli stoccaggi (quanto gas è immagazzinato e pronto per esser utilizzato), dall’import di gas, sia via tubo che via nave (gas naturale liquefatto o LNG), che arriva (o è previsto che arrivi) sul continente. Questi elementi sono importantissimi per definire quanto gas è (o sarà) disponibile per essere utilizzato, e dunque determinano l’offerta.
Se il gas in arrivo via tubo fosse troppo poco per soddisfare la domanda, si creerebbe una situazione di scarsità della materia prima e dunque, un aumento dei prezzi. Viceversa, se il gas fosse molto abbondante rispetto alla domanda i prezzi tenderebbero a scendere.
Dall’altro lato, invece, gli specialisti devono analizzare la psicologia del mercato, ovvero come potrebbero reagire gli operatori a determinati accadimenti. Ad esempio, se i prezzi del gas naturale per il Q1-2021 fossero già vicini al minimo storico e ci fosse abbondanza di gas prevista per quel periodo, gli operatori continuerebbero a far scendere i prezzi anche al di sotto del prezzo minimo mai visto? O si convincerebbero che meno di così non potrebbe essere?
Entrambi gli elementi, fondamentali e psicologici, vengono analizzati dagli specialisti per ottenere un possibile scenario dei prezzi futuri. La previsione è anche filtrata dall’esperienza degli operatori, che tendono a ricercare nel passato delle dinamiche simili a quelle previste per il futuro, per supportare maggiormente le loro deduzioni e previsioni.
Insomma, fare previsioni sull’andamento dei prezzi non è affatto semplice e, in ogni caso, al modificarsi degli elementi in gioco, possono modificarsi anche le previsioni.
Perché sono importanti? Perché sono la miglior stima, basata su elementi concreti e ottenuta attraverso analisi metodiche, di ciò che potrebbe succedere in futuro. Sulla base delle previsioni gli operatori agiscono sul mercato, acquistando o vendendo energia elettrica o gas con consegna nel futuro per ottenere dei guadagni.
Anche per i clienti di una fornitura energetica le previsioni di mercato sono fondamentali, perché sono l’unico elemento concreto sul quale si può strutturare una strategia di ottimizzazione della fornitura (fixing). Se le previsioni di mercato ad oggi suggeriscono una possibile discesa dei prezzi, magari è meglio aspettare che si verifichi la discesa prevista per poi fare un fixing a livelli di prezzo inferiori rispetto ad oggi. Viceversa, se fosse previsto un aumento dei prezzi sarebbe prudente fare il fixing prima che questo aumento si verifichi.
Chiaramente, per il principio di prudenza, dei fixing di porzioni di consumo sono preferibili al fixing del 100% del volume in un colpo solo, anche perché le previsioni possono, sebbene accurate, essere smentite dal mercato. Dovesse modificarsi la situazione dei fondamentali, con un conseguente cambio delle condizioni di mercato, le previsioni dovranno esser aggiornate per tenere conto del nuovo scenario.
Le previsioni di mercato non possono darmi uno scenario sicuro al 100%.
Come abbiamo già sottolineato, nessuno ha la sfera di cristallo e un tubo che scoppia, uno stoccaggio che ha un problema tecnico o un freddo imprevisto possono inaspettatamente provocare un movimento dei prezzi diverso dalla nostra previsione precedente.
Le previsioni sono infatti continuamente aggiornate per comprendere ogni elemento possibile ma possono esser smentite. Restano in ogni caso lo strumento migliore sul quale basarsi per operare sui mercati e solo un approccio metodico e costante può consentirci di non farci trovare impreparati e di reagire tempestivamente ai nuovi scenari di prezzo.
Andando a sbirciare sul sito di EEX o ICE Futures, è possibile vedere i prezzi dei prodotti all’ingrosso per energia elettrica e gas che sono stati negoziati dagli operatori nella...
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Andando a sbirciare sul sito di EEX o ICE Futures, è possibile vedere i prezzi dei prodotti all’ingrosso per energia elettrica e gas che sono stati negoziati dagli operatori nella giornata odierna (solo con un leggero ritardo di 10 minuti). Questa fotografia dei prezzi di oggi che informazioni ci può dare?
I prezzi “a schermo”, come si suol dire in gergo tecnico, sono un' espressione delle aspettative degli operatori che oggi stanno negoziando le partite standard di energia elettrica o gas con una determinata consegna futura (ad esempio in Italia, con consegna il primo trimestre del 2021, ovvero il Q1-2021).
È la miglior previsione, oggi, di quelli che potrebbero essere i prezzi spot che si consolideranno per il periodo considerato (Q1-2021).
Per un operatore che compra ce n’è uno che vende e quando si accordano sul prezzo il deal è fatto. Entrambi sono d’accordo sul fatto che il prezzo pattuito sia il prezzo “giusto”, in quel momento, per quella quantità di energia o gas con consegna nel futuro (es. per tutto il primo quarto del 2021).
Va detto però che non è noto il motivo per cui i due operatori abbiano deciso di concludere la transazione: un operatore che compra potrebbe farlo in vista di un rialzo dei prezzi (per poter rivendere a un prezzo superiore), oppure per coprirsi da una vendita già fatta, mentre un operatore che vende potrebbe aspettarsi un ribasso o magari ha già acquistato a prezzo superiore e sta consolidando il profitto.
Non è quindi possibile dedurre una previsione sui prezzi futuri solo guardando la fotografia dei prezzi negoziati oggi.
È possibile però trarre qualche informazione in più andando a paragonare i prezzi di oggi con i prezzi di ieri e dei giorni/settimane precedenti. Da questo paragone si riesce a capire se i prezzi sono saliti, scesi o rimasti quasi invariati. L’analisi delle curve storiche consente di percepire quale è stato fino ad oggi il trend del mercato, e questo può aiutare per compiere alcune scelte.
Se nell’ultimo mese il prezzo del Q1-2021 è andato costantemente aumentando, è evidente che qualche elemento fondamentale nell’equilibrio di domanda e offerta ha provocato la salita dei prezzi. Magari non siamo in grado di sapere quale sia questo specifico elemento che muove il mercato, ma se vediamo il mercato in salita (o discesa) per diversi giorni consecutivi dovrebbe quantomeno suonarci un campanellino di allarme che ci spinga a fare qualche ricerca.
Da questo paragone è inoltre possibile notare quando il prezzo di un prodotto si trova sui massimi o minimi dell’ultimo mese/due mesi/sei mesi o addirittura di sempre. Se il prezzo del Q1-2021 si trova al minimo (o al massimo) storico, ad esempio, per quanto non sia immediato capire il motivo, rende evidente l’eccezionalità del prezzo e dunque delle condizioni di mercato e questo dovrebbe far “drizzare le antenne”, spingendo ad approfondire gli elementi del mercato che hanno causato il raggiungimento del minimo (o massimo) in quel momento.
“Specchio specchio delle mie brame… quando il prezzo sarà il più basso di tutto il reame? ” Chi deve scegliere il momento giusto per bloccare il prezzo della fornitura...
Leggi di più >“Specchio specchio delle mie brame… quando il prezzo sarà il più basso di tutto il reame? ” Chi deve scegliere il momento giusto per bloccare il prezzo della fornitura probabilmente vorrebbe l’aiuto dello specchio magico (o della sfera di cristallo) per azzeccare il momento esatto in cui i prezzi sono al minimo e risparmiare sui costi di energia elettrica e gas.
Ogni cliente ha il suo metodo di scelta del fornitore e del contratto di fornitura, così come del momento dell’anno in cui fissare il prezzo fisso o fare un fixing. Qualcuno lo fa entro un certo mese, qualcuno lo fa necessariamente in un determinato periodo dell’anno, qualcuno aspetta che il mercato sia ad un certo livello di prezzo.
Qualunque sia il metodo, la possibilità di fissare il prezzo nel momento di minimo è relativamente scarsa, se si considera l’intero anno precedente alla fornitura, e serve una bella dose di fortuna per farlo. Come fare dunque?
Senza maghi e veggenti, è davvero complicato prevedere l’esatto momento in cui il mercato sarà al livello più basso di tutto l’anno, ma esistono alcune pratiche che aiutano nella corretta gestione di un contratto di fornitura.
Sicuramente un metodo efficace per aumentare le chances di buona riuscita dell’operazione è l’analisi del mercato. Riuscire a capire cosa succede sui mercati all’ingrosso, quali sono le dinamiche dei prezzi e quali elementi fondamentali guidano gli operatori, consente ai clienti di compiere delle scelte basate su elementi concreti.
Poter fare previsioni ragionevolmente accurate, supportate dalle analisi, aiuta non solo ad aumentare la confidenza con la quale si compie una scelta ma anche le probabilità di una scelta corretta.
Non tutti i clienti però hanno la possibilità di dedicare una risorsa all’analisi dei mercati all’ingrosso di gas e power e dunque è spesso necessario trovare all’esterno le competenze necessarie per supportare queste scelte. Attenzione però, nonostante la correttezza delle analisi e l’impegno profuso, il successo della previsione può non esser garantito al 100%.
Innanzitutto, è necessario definire un intervallo temporale nel quale ottimizzare il timing della scelta del prezzo. Concentrare lo sforzo sulla scelta del momento migliore per fissare il prezzo nell’intero anno precedente alla fornitura o nel mese di ottobre è decisamente diverso. A gennaio è davvero difficile sapere con certezza come evolveranno i prezzi nel corso dell’anno fino a dicembre (qualcuno avrebbe potuto prevedere l’epidemia di coronavirus, a gennaio?), mentre a inizio ottobre è più ragionevole riuscire a prevedere, con una buona precisione, l’evoluzione dei prezzi nel corso del mese.
Inoltre, nonostante le analisi, le competenze, la professionalità e l’esperienza, non sempre il mercato si muove sulla base di elementi totalmente prevedibili. Un esempio è l’epidemia di quest’anno (che ha portato il petrolio e il gas naturale ai minimi storici) , ma molti sono gli episodi, gli elementi e le informazioni che possono provocare un rialzo (o un ribasso) difficilmente prevedibile.
Certo è che l’analisi dei mercati, fatta in house o in outsourcing, consente di compiere scelte razionali, basate su elementi concreti, e diminuisce il rischio di essere impreparati e in balia degli eventi. Inoltre, anche davanti all’imprevedibile, consente di gestire nel modo migliore la situazione, reagendo immediatamente e adattando l’ottimizzazione della fornitura al nuovo scenario dei prezzi.
Chi è stato al casinò almeno una volta nella vita sa che puntare su un solo numero alla roulette (all in) consente di vincere, se si indovina, delle somme interessanti. Puntare su 4 o 6 numeri contemporaneamente, però, se da un lato diminuisce la possibile vincita, dall’altra aumenta le possibilità di indovinare il numero vincente.
Allo stesso modo è possibile diluire il rischio di sbagliare il momento in cui si fissa il prezzo della propria fornitura scegliendo di fare dei fixing progressivi nel corso dell’anno, gestendo il contratto a prezzo variabile invece di richiedere una fornitura a prezzo fisso.
Come nel caso della roulette, ci sono gli stessi pro e gli stessi contro. Scegliere un prezzo fisso per l’intera fornitura consente, se si riesce a indovinare il momento giusto, di assicurarsi una fornitura al minor prezzo possibile (o quasi). Di contro, però, se si fissa il prezzo nel momento sbagliato, l’intera fornitura sarà molto più onerosa.
Fare dei fixing progressivi nel corso dell’anno, invece, permette di diminuire il rischio che il momento sia quello sbagliato, mediando i prezzi dei diversi fixing. Se alcuni fixing vengono fatti quando i prezzi sono molto alti, gli altri fixing a prezzo inferiore diminuiranno l’impatto delle scelte sbagliate.
La diluizione del rischio aiuta dunque i clienti a gestire in maniera razionale e prudente il proprio approvvigionamento e le scelte, giuste o sbagliate, hanno un impatto mediato sul totale dei volumi.
La gestione della fornitura può dunque trarre un vantaggio sia dal monitoraggio e dalle analisi dei mercati, sia da un approccio prudente al pricing attraverso il fixing dei prezzi. Unire le due pratiche, a questo punto, è evidentemente l’approccio più razionale e consistente possibile e la maggior parte dei clienti ottengono così non solo una fornitura energetica a condizioni economiche più vantaggiose, ma anche un miglior controllo dei rischi. Nessuno avrà il famoso specchio magico, dunque, ma la corretta gestione del contratto di fornitura è possibile anche senza la magia!
Sia per il power, che per il gas , abbiamo più volte nominato i costi di sbilanciamento e modulazione inclusi tendenzialmente nel termine P0 della formula di indicizzazione. Cosa...
Leggi di più >Sia per il power, che per il gas , abbiamo più volte nominato i costi di sbilanciamento e modulazione inclusi tendenzialmente nel termine P0 della formula di indicizzazione.
Cosa sono dunque e come si possono contenere?
Le formule di indicizzazione più comuni sono composte da due termini: il Ppower (o Pgas) che fa riferimento al prezzo di mercato dell’energia o del gas e il P0 che copre i costi di modulazione, sbilanciamento e il margine del fornitore.
Tralasciando il margine del fornitore, il resto della formula riguarda i costi che il fornitore sostiene per la fornitura del cliente.
Si parla di modulazione (sia per il gas che per l’energia elettrica) in riferimento alla forma che il profilo ha nelle diverse ore/giorni/mesi dell’anno. Un profilo di consumo piatto e costante ha pochissima differenza fra il consumo massimo e minimo nelle diverse ore o nei diversi giorni dell’anno (è poco modulato). Viceversa, un profilo molto variabile ha minimi e massimi molto distanti fra loro e molta oscillazione nelle diverse ore o nei diversi giorni dell’anno (è molto modulato).
Nei contratti in cui il Ppower o il Pgas si riferiscono a valori orari (es: Pun orario) o giornalieri (es: PSV Day Ahead) non è necessario che nel P0 sia inserito un costo di modulazione, perchè il cliente paga esattamente il prezzo delle ore o dei giorni in cui consuma. Viceversa, nelle formule in cui il prezzo Ppower o Pgas è basato su quotazioni medie mensili (es: PUN aritmetico Baseload o PSV Month Ahead), la modulazione del profilo di consumo (più o meno variabile) deve essere stimata, in termini di costi, ed inserita nel P0.
Quando il fornitore in sede di contrattualizzazione deve stabilire il prezzo per la sua offerta, deve valutare quanto la forma del profilo del cliente si discosti da un profilo standard (quotato sul mercato all’ingrosso) per poter stabilire un prezzo per tutte le ore/i giorni di consumo. Dovrà quindi calcolare quale differenza in termini di prezzo esista fra il prodotto baseload quotato di riferimento per la sua offerta e il profilo variabile del cliente.
Nel termine P0, dunque, verrà inserito il costo di modulazione, ovvero un valore in €/MWh o c€/Smc che consenta al fornitore di coprire la differenza fra il costo del consumo reale del cliente e il costo di un profilo standard. Questa voce può essere, in qualche raro caso, uno sconto e non un costo, quando il profilo di consumo si concentra in ore o giorni tendenzialmente meno costosi.
Ad esempio, per il power, se nel momento dell’offerta la media del prezzo nelle
ore di picco è 3€/MWh sopra la media del baseload ed il cliente consuma soprattutto nel picco, il fornitore inserirà un costo di modulazione che copra questo delta.
Un cliente con profilo di consumo molto piatto e costante sosterrà costi inferiori di modulazione rispetto ad un cliente con un profilo molto variabile e concentrato in specifici giorni/ore.
Qui è necessario fare una piccola specificazione: non stiamo parlando dei corrispettivi di trasporto e dispacciamento, stabiliti dall’ARERA e applicati in fattura alle voci “servizi di rete”, “dispacciamento” o “oneri di sistema”, ma di una voce di costo relativa alla materia prima, inclusa nel P0.
Il fornitore, quando acquista l’energia o il gas da consegnare al cliente, si basa su un profilo di consumo stimato fornitogli dal cliente stesso (può essere il profilo utilizzato per l’offerta di fornitura o un profilo di consumo più aggiornato fornito dal cliente).
Una volta acquistato dal fornitore l’energia o il gas necessari per coprire il fabbisogno stimato del cliente, però, può capitare che il cliente consumi di più o di meno di quanto stimato e acquistato dal fornitore. Questo squilibrio deve esser risolto in tempo reale, in modo che il cliente non subisca interruzioni nel consumo. Il cliente dunque preleva le quantità di gas o energia elettrica in più (o riconsegna le quantità che consuma in meno) direttamente dalla rete.
Il costo (o il ricavo) relativo a queste quantità viene fatturato al fornitore da Terna (per l’energia elettrica) o da Snam (per il gas). Nelle formule di indicizzazione che non prevedono il ribaltamento del costo di sbilanciamento in toto al cliente (tipico di alcune formule per clienti energivori), il fornitore inserisce nel P0 un costo stimato che lo copra dal rischio che il cliente consumi con un profilo talmente diverso da quanto preventivato che il costo sostenuto possa intaccare il margine previsto. Il P0, chiaramente, non varia nel corso della fornitura e solo a posteriori il fornitore potrà capire quanto lo sbilanciamento del cliente ha impattato sul suo margine.
Nei contratti a prezzo variabile il P0 è un termine separato dal Ppower o Pgas, mentre nei contratti a prezzo fisso i costi di modulazione, sbilanciamento e il margine del fornitore sono direttamente inclusi nel prezzo fisso applicato dal fornitore. Come abbiamo detto, il P0, così come il prezzo fisso, è un termine stabilito in sede contrattuale e fisso per tutta la durata della fornitura.
Nel tempo, però, è possibile contenere gli oneri relativi a modulazione e sbilanciamento con alcuni accorgimenti.
Innanzitutto, è fondamentale conoscere bene il proprio profilo di consumo e la propria flessibilità. In questo modo, è possibile seguire più fedelmente il profilo di consumo stimato (quello dato al fornitore per l’allestimento dell’offerta o un aggiornamento più recente), diminuendo l’onere di sbilanciamento.
Per quanto riguarda il costo di modulazione, invece, è possibile ridurlo solo se il proprio consumo è abbastanza flessibile da poter essere “appiattito” e reso più costante e pochi clienti hanno effettivamente la possibilità di “cambiare la forma” del proprio consumo per diminuire i costi di modulazione.
In ogni caso, questo tipo di valutazione deve incidere anche sulla scelta dell’indicizzazione della propria fornitura. I clienti che hanno capacità di essere flessibili e gestire attivamente il proprio consumo, potrebbero trarre maggior beneficio da formule orarie (per il power) o giornaliere (per il gas), diminuendo il costo di modulazione.
I clienti che conoscono meno il proprio profilo di consumo o non hanno flessibilità, invece, potrebbero preferire un costo di sbilanciamento e modulazione fisso (nel P0), delegando la gestione del rischio al fornitore.
Quando acquistiamo il gas o l’energia elettrica per la nostra abitazione difficilmente ci informiamo su quale sia il prezzo forward di uno o dell’altra per poter stimare la nostra...
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Quando acquistiamo il gas o l’energia elettrica per la nostra abitazione difficilmente ci informiamo su quale sia il prezzo forward di uno o dell’altra per poter stimare la nostra bolletta del mese o del trimestre prossimo. Quando si tratta di forniture per aziende, industrie e attività commerciali, invece, solitamente i consumi sono così importanti da non consentire il totale disinteresse per ciò che si riflette sui nostri costi, ovvero i prezzi del mercato all’ingrosso.
E così, periodicamente, ci informiamo su cosa succede sui mercati, magari leggiamo delle newsletter ad hoc o utilizziamo dei data provider appositi che ci consentano di avere un’idea delle dinamiche dei prezzi e cerchiamo di ottimizzare le forniture anche con un certo anticipo, utilizzando i fixing che il nostro contratto consente, per evitare di incorrere in costi imprevisti.
Questo è possibile perché esistono dei mercati all’ingrosso sui quali gli operatori del settore acquistano e vendono partite di gas o energia elettrica con diverse consegne, sia in termini di luogo che di momento in cui avverrà fisicamente la consegna.
Comprendere l’importanza del luogo di consegna è relativamente semplice, sui mercati all’ingrosso si consegna tendenzialmente su punti di scambio virtuali che identificano il perimetro dei diversi Paesi Europei (Italia, Germania, Francia, Olanda, …), il che significa che l’energia o il gas verrà consegnato sulla rete del paese scelto come luogo di consegna.
Per quanto riguarda il momento della consegna, invece, le cose possono sembrare più complicate. Ci sono operazioni di brevissimo termine, in cui la consegna del gas o dell’energia avviene oggi, domani, o la settimana prossima. E operazioni che invece prevedono la consegna dell’energia o del gas il mese prossimo, questo inverno, o negli anni a venire.
Quando si parla di gas, si utilizza per convenzione il giorno gas, che è composto dalle 24 ore nelle quali avverrà fisicamente la consegna del gas sulla rete di trasporto. Per l’energia elettrica, il giorno viene suddiviso sulle 24 ore, per le quali, volendo, si può stabilire quantità diverse. Quando si tratta di prodotti standard baseload, in ogni caso, la consegna è prevista flat su tutti i giorni o le ore del periodo considerato. Il prodotto baseload calendar 2021, ad esempio, prevede una quantità consegnata sempre uguale per tutte le ore (dalle 00 alle 24) o i giorni dell’anno 2021.
I prodotti all’ingrosso sono chiamati futures o forward, a seconda della modalità con cui sono negoziati. I futures sono trattati su mercati regolati, ai quali si accede tramite piattaforme automatiche e gli operatori acquistano o vendono i futures direttamente dal mercato, ovvero è il mercato stesso la controparte della transazione. I forward, invece, sono negoziati bilateralmente fra due operatori, con o senza l’agevolazione di un broker, senza passare dal mercato regolato. Va sottolineato che i prezzi delle contrattazioni bilaterali sono tendenzialmente allineati con i prezzi dei mercati futures, che fanno da riferimento ufficiale.
Sia i prodotti future che i forward, comunque, sono delle partite di energia elettrica o gas naturale che hanno caratteristica di luogo (es. mercato Italia) e tempo di consegna (es. calendar 2021) standard e possono esser comprate e vendute più e più volte prima dell’inizio della consegna fisica. L’aumento o la diminuzione dei prezzi forward è un riflesso delle aspettative degli operatori ed è influenzato da molti fattori, sia speculativi che di origine fondamentale.
I prezzi forward sono un riferimento per stimare i propri costi di fornitura per il prossimo futuro. Sulla base di questi prezzi, infatti, vengono fatte le offerte di prezzo fisso o fixing dai fornitori, consentendo ai clienti di bloccare il costo della propria energia o gas naturale per un determinato periodo di tempo nel futuro.
I prezzi forward, però, non sempre corrispondono al prezzo che ci si trova a pagare una volta consumato il gas o l’energia elettrica, a meno di avere un contratto a prezzo fisso o un fixing con il proprio fornitore. Infatti, quando il contratto di fornitura è a prezzo variabile, il prezzo che si paga per il proprio consumo è il prezzo spot, ovvero (semplificando un poco) il prezzo che si forma il giorno prima (l’ultimo giorno disponibile) per la consegna di gas o energia elettrica del giorno dopo.
Così il prezzo spot per l’energia elettrica è il PUN e per il PSV è il cosiddetto day ahead. I prezzi spot sono influenzati soprattutto dal vero bilanciamento fra domanda e offerta fisica del gas o dell’energia in un determinato giorno o ora. Tanta energia elettrica è presente sulla rete, tanta è disponibile per essere consumata.
Grazie alle continue operazioni degli operatori sui mercati all’ingrosso, si formano dunque i prezzi di gas ed energia elettrica previsti, ad oggi, per le consegne da oggi in poi, fino a diversi anni in avanti. Mettendo in un grafico i prezzi dell’energia elettrica o del gas con consegna via via più lontana nel tempo, otteniamo ciò che è chiamato curva forward, ovvero una stima del prezzo da oggi al futuro dell’energia o del gas consegnati in Italia.
Si può dire che la curva forward rappresenti l’aspettativa che oggi hanno gli operatori dei prezzi PUN e PSV day ahead per le prossime settimane, per i prossimi mesi, trimestri o anni.
Per concludere, è importante sapere che i prezzi forward sono la migliore approssimazione delle previsioni degli operatori per i prezzi spot che si riscontreranno nel periodo in questione. Se, ad esempio, il prezzo forward dell’energia elettrica in Italia con consegna l’anno 2021 è 47.90 €/MWh (prezzo che si forma oggi sui mercati all’ingrosso), significa che gli operatori si aspettano che il PUN dell’anno 2021 sarà, in media, 47.90. Un cliente che oggi voglia fissare il prezzo del suo contratto per il 2021, otterrà un pricing basato proprio sul prezzo forward di oggi per il prodotto calendar 2021, ovvero 47.90. Dare uno sguardo anche ai mercati all’ingrosso, dunque, aiuta ad ottimizzare i propri costi.
Uno dei fattori fondamentali che influisce sui prezzi di power e gas è la CO2 . L’abbiamo vista correre fino ai 30 EUR/tonnellata, raggiunti a fine luglio 2019, e l’abbiamo vista...
Leggi di più >Uno dei fattori fondamentali che influisce sui prezzi di power e gas è la CO2 . L’abbiamo vista correre fino ai 30 EUR/tonnellata, raggiunti a fine luglio 2019, e l’abbiamo vista crollare nuovamente a quasi 15 a metà marzo 2020. E adesso cosa sta succedendo?
Il prezzo della CO2 è strettamente legato al consumo di combustibili fossili, soprattutto nell’ambito della generazione elettrica, poiché nel processo di produzione dell’elettricità da gas, carbone o oli combustibili, si produce CO2 e i produttori hanno l’obbligo di acquistare quote di emissione di CO2 per ripulire la propria produzione. Questo meccanismo durante il lockdown ha sofferto l’improvviso stop delle attività produttive europee, per più di due mesi i maggiori paesi del continente hanno fermato le industrie e i consumi, provocando di conseguenza un forte calo della domanda, e dunque dei prezzi, della CO2.
Con la graduale ripresa e il tanto atteso ritorno alla (quasi) normalità, i consumi stanno ricominciando a crescere, le imprese riaprono e la domanda di energia sta pian piano risalendo. La CO2 però, dopo il crollo fra il 15 e il 18 marzo in cui ha perso oltre 8,5 EUR/ton (passando dai 24 ai 15 EUR/tonnellata, - 37%), ha ricominciato la sua risalita, arrivando in questi giorni a sfiorare di poco i 30, ben al di sopra dei livelli pre-Covid.
Questo ritorno al di sopra dei 24 EUR/tonnellata sembra però esser spinto da fattori che poco hanno a che fare con i fondamentali del mercato, ovvero la domanda reale di quote.
Sebbene il meccanismo MSR (Market Stability Reserve) sia nato proprio per razionare l’offerta di titoli e di conseguenza mantenere alti i prezzi, è difficile credere che la domanda di titoli quest’anno possa giustificare i 28/29 EUR/tonnellata attuali, considerando che il coronavirus, sebbene il lockdown sia terminato, sta ancora influendo molto sulle abitudini di lavoro (lavoro da remoto, smartworking e similari) e consumo degli europei.
Inoltre, è strano pensare che i prezzi della CO2 abbiano ricominciato la loro risalita già da fine marzo, con l’intera Europa in pieno lockdown e il ritorno alla normalità ancora un lontano miraggio.
Alzando lo sguardo dal mondo energy e guardandosi intorno, però, si può notare come la CO2 abbia invece seguito l’andamento di alcuni indici normalmente poco correlati alla CO2, come ad esempio l’equity.
Negli ultimi anni i futures sulla CO2 sono diventati un prodotto molto appetito da banche e fondi di investimento che hanno ingenti capitali da riversare sui mercati finanziari più liquidi (e in questa fase di politiche monetarie espansive i capitali sono ancora maggiori).
Questa massiccia finanziarizzazione della CO2 ha dunque portato, fra i driver del prezzo, anche fattori esterni ai fondamentali (ovvero domanda e offerta delle quote di emissione fisiche). In alcuni periodi, come questo ultimo trimestre, infatti, le dinamiche del prezzo sono state guidate dalle aspettative degli investitori istituzionali più che dagli operatori del settore energy e per questo motivo la correlazione fra diversi indici finanziari e CO2 è aumentata.
Fra i motivi di questa ondata di ottimismo, oltre all’aumento dei capitali disponibili per gli investimenti, ci sono anche le attese degli operatori rispetto ad un inasprimento delle misure di sostegno al prezzo della CO2.
L’ormai noto Green Deal con il quale la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen punta ad innalzare del 40 o 50% i target di riduzione delle emissioni attualmente previsti per il 2030, insieme alla proposta di Francia e Germania di stabilire livello minimo di prezzo per i titoli di emissione (si parla di 25€/tonnellata) e alla revisione dell’MSR prevista per il 2021, hanno spinto gli speculatori ad investire in attesa del concretizzarsi di queste misure ambientali.
E’ evidente dunque che il reale equilibrio fra domanda offerta sia stato messo da parte rispetto alle attese degli speculatori, che hanno anticipato gli effetti delle misure green europee sui prezzi della CO2.
Se per produrre energia elettrica da gas naturale o altre fonti fossili i produttori devono acquistare quote di emissione di CO2, è chiaro che le dinamiche dei prezzi della CO2 abbiano un impatto diretto sui prezzi dell’energia elettrica. Infatti, sia il forte crollo di metà marzo che la continua risalita fino ad oggi delle quotazioni della CO2 sono stati replicati dal power, che si trova oggi ai livelli pre lockdon, nonostante i prezzi del gas siano ancora ben al di sotto di quanto non fossero a fine inverno.
Non è facile dire quale pattern verrà seguito dalla CO2 nei prossimi mesi, ma è chiaro che per il raggiungimento degli obiettivi europei il prezzo delle quote di emissione dovrà essere sufficientemente alto da rendere non profittevole la produzione di energia elettrica da fonti molto inquinanti come il carbone e la lignite.
È possibile dunque che, nonostante la volatilità dovuta all’alta finanziarizzazione del mercato CO2, nel medio termine le politiche di razionamento dell’offerta di titoli unite ad ulteriori azioni di sostegno dei prezzi, possano spingere i prezzi della CO2 ben al di sopra dei 30 €/tonnellata, influenzando di conseguenza anche i prezzi del power.
Come per il power, anche per il gas, una volta optato per un contratto a prezzo variabile, è fondamentale scegliere la formula di indicizzazione che fa al caso nostro. Indici gas...
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Come per il power, anche per il gas, una volta optato per un contratto a prezzo variabile, è fondamentale scegliere la formula di indicizzazione che fa al caso nostro.
Prima di tutto, è necessario scegliere il mercato di riferimento per l’indicizzazione. Tendenzialmente è possibile scegliere fra formule con indicizzazione al PSV o al TTF. Il PSV (Punto di Scambio Virtuale) è il prezzo di riferimento del gas sul mercato all’ingrosso italiano. Il TTF (Title Transfer Facility) è invece il prezzo del gas all’ingrosso in Olanda, nonché principale mercato di riferimento per il gas in Europa.
Ma come mai nei contratti gas in Italia è così comune l’indicizzazione al mercato olandese? La domanda sorge spontanea, in effetti!
Innanzitutto, va considerato che l’Olanda, grazie ai suoi ricchi giacimenti, ha utilizzato il gas come principale combustibile sia domestico che industriale prima di tutti gli altri paesi europei, sviluppando per prima un vero e proprio mercato all’ingrosso.
Questo, unito alla posizione geografica centrale fra Norvegia (con giacimenti di petrolio e gas nel Mare del Nord) e l’area centro-europea (Germania, Francia e Gran Bretagna), ha consentito ai Paesi Bassi di svilupparsi come snodo centrale dei transiti gas via pipeline fra i principali paesi europei. Il TTF è dunque diventato il mercato gas più sviluppato d’Europa nonché principale benchmark di prezzo per i mercati limitrofi o ad esso collegati, come l’Italia.
Le dinamiche di mercato che impattano sui prezzi del TTF si ripercuotono sul PSV e, come si può vedere dal grafico (qui sotto) delle quotazioni del calendar 2021 degli ultimi sei mesi, l’andamento dei due mercati evidenzia una correlazione molto alta.
In sede di contrattualizzazione della fornitura a TTF viene fissato anche lo spread (differenza) fra PSV e TTF del momento e, ovviamente, nel momento della stipula del contratto PSV e TTF + SPREAD si equivalgono:
La componente di spread PSV – TTF viene inserita fra i costi nel P0.
Dopo la scelta del mercato di riferimento dell’indicizzazione (al TTF o al PSV), il passo successivo è la scelta della formula di prezzo per la propria fornitura. Le formule standard (sia per una indicizzazione a TTF che a PSV) prevedono una struttura semplice del prezzo applicato al gas consumato ogni mese:
Dove:
Pb : è il prezzo base del mese in cui avviene il consumo, applicato poi ai consumi mensili (in c€/Smc)
Pgas: rappresenta il prezzo che la formula scelta assume rispetto ai prezzi di mercato (trasformata da €/MWh, unità di misura dei mercati all’ingrosso europei, a c€/Smc)
P0: è la componente fissa stabilita dal fornitore che include i costi di modulazione del profilo, lo spread fra PSV e TTF (nel caso di una indicizzazione al TTF), e il margine del fornitore (in c€/Smc). Il P0 è un termine stabilito in sede di contrattualizzazione e rimane invariato per tutta la durata contrattuale.
Per poter comparare fra loro offerte di fornitori diversi, paragonare i diversi valori del P0, a parità di formula scelta, consente di capire quale fornitore applica il costo minore.
Fra le diverse formule di indicizzazione per determinare il Pgas, le più comuni sono le formule Month Ahead (MA) e le formule Day Ahead (DA).
Month Ahead (MA)
Nella sua versione più semplice (ce ne sono diverse!) il Pgas è calcolato come media aritmetica delle quotazioni Bid e Ask del prodotto Month Ahead pubblicate in tutti i giorni del mese precedente a quello di prelievo dal data provider più utilizzato nel mondo gas europeo, ovvero ICIS Heren.
Potrebbe sembrare complicato (Bid/Ask, Month Ahead, mese precedente… aiuto!), facciamo un esempio:
Il prezzo Pgas del mese di maggio 2020 è calcolato come segue:
ogni giorno lavorativo del mese di aprile 2020, ICIS Heren ha pubblicato per il prodotto Month Ahead, ovvero il “mese avanti” rispetto al mese di aprile (e quindi maggio!), un valore di Bid (prezzo di acquisto) e Ask (prezzo di vendita) medi per le transazioni avvenute sul mercato in quel giorno. Ogni giorno di aprile, dunque, è possibile calcolare un valore medio per il prezzo del prodotto Month Ahead (maggio), facendo una semplice media fra Bid e Ask.
Al termine dell’ultimo giorno lavorativo del mese di aprile avremo dunque tutti i prezzi medi giornalieri del prodotto Month Ahead (maggio) pubblicati da ICIS Heren.
Il prezzo Pgas MA sarà dunque la media aritmetica di questi prezzi medi giornalieri della quotazione Month Ahead.
Il Pgas viene poi moltiplicato per il consumo totale del mese di consumo. Con questa formula, il prezzo è noto già l’ultimo giorno lavorativo del mese precedente
Day Ahead (DA)
Nella formula a DA il prezzo Pgas è dato dalla media dei prezzi Day Ahead (giornalieri) di ogni giorno del mese pesata per il consumo giornaliero di gas. Anche in questo caso, la quotazione del P_DAgiornaliero è data dalla media fra Bid e Ask del prodotto Day Ahead pubblicata da ICIS Heren.
Il prezzo Pgas da applicare al consumo di gas mensile è dunque data dalla somma (Σ) del prodotto fra prezzo giornaliero DA e consumo dello stesso giorno, il tutto diviso per il totale del consumo mensile (media pesata rispetto ai consumi).
Si paga dunque, in ogni giorno di consumo, il prezzo Day Ahead di quel giorno; il prezzo del gas consumato è noto solo all’ultimo giorno del mese di consumo.
N.B. per il week end ed i giorni festivi contigui al week end viene utilizzata la quotazione del prodotto Week End.
Anche per il gas è possibile fare alcune considerazioni di carattere pratico che possano aiutare nella scelta della propria indicizzazione.
Per quanto una indicizzazione al PSV possa sembrare più immediata (se compro gas in Italia indicizzo al gas italiano), le formule di pricing indicizzate al TTF traggono vantaggio dall’alta liquidità di questo mercato, che agevola le operazioni di copertura dei fornitori e ne limita i costi (implicitamente) ribaltati sul prezzo al cliente in sede di fixing.
Quindi, se il cliente desidera fare diversi fixing nel corso della durata contrattuale, potrebbe esser più vantaggiosa una indicizzazione al TTF.
Viceversa, se la preferenza del cliente è verso un prodotto puramente variabile, l’indicizzazione al PSV risulta più immediata.
Rispetto alla scelta di un prodotto MA o DA, la formula MA offre la possibilità di programmare il fabbisogno di cassa necessario a coprire i costi della fornitura, poiché il prezzo del gas consumato è noto alla fine del mese precedente rispetto al mese di consumo.
La formula DA invece, può risultare vantaggiosa per chi ha consumi flessibili, che consentano di modulare il profilo nei giorni/periodi meno costosi (es: week end o giorni freschi d’estate/tiepidi d’inverno). L’impatto delle temperature sui prezzi rimane in ogni caso una variabile da gestire accuratamente.
Come per il power, anche per il gas la conoscenza del proprio profilo di consumo e della propria flessibilità è fondamentale per poter scegliere al meglio la propria indicizzazione.
Oltre al noto dilemma fra fisso o variabile , un altro quesito decisamente non trascurabile riguarda la formula di indicizzazione da scegliere nel momento in cui si...
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Oltre al noto dilemma fra fisso o variabile , un altro quesito decisamente non trascurabile riguarda la formula di indicizzazione da scegliere nel momento in cui si contrattualizza con il proprio fornitore. Facciamo un po’ di chiarezza!
Generalmente la struttura delle formule power indicizzate risulta la seguente:
Pb = Ppower + P0
Dove:
Pb è il prezzo del mese in cui avviene il consumo (in €/MWh)
Ppower rappresenta il prezzo che la formula scelta assume rispetto ai prezzi di mercato (in €/MWh)
P0 è la componente fissa stabilita dal fornitore che include i costi di modulazione del profilo, i costi di sbilanciamento, eventualmente altri costi, come le garanzie di origine, e il margine del fornitore (in €/MWh). Il P0 è un termine stabilito in sede di contrattualizzazione e rimane invariato per tutta la durata contrattuale.
Quando si richiede un’offerta a diversi fornitori, paragonare i diversi valori del P0, a parità di formula scelta, consente di capire quale fornitore applica il costo minore.
Le formule di indicizzazione sono le più svariate ma, volendo citare qualche esempio, le formule più note sono forse quelle a PUN orario e a PUN medio baseload (o PUN aritmetico baseload).
Ppower = (PUN orario x consumo orario) : consumo totale del mese
Ppower = media aritmetica PUN orario
In linea teorica, alla stipula del contratto, le due indicizzazioni trattate si equivalgono, ovvero nel P0 (uno per ogni fascia F1-F2-F3) della formula a PUNaBL dovrebbe esser inserito il costo della modulazione che nella formula a PUNh è invece prezzata nel Ppower.
Poi, nel mese di consumo, il delta fra i prezzi nelle diverse fasi (F1-F2-F3) può allargarsi o restringersi, favorendo le formule a PUNaBL, nel primo caso, e a PUNh nel secondo. È dunque impossibile, a priori, dire quale delle due indicizzazioni sia migliore.
In generale, si può dire che maggiore è la conoscenza del proprio profilo di consumo e meglio si può stimare il proprio “rischio modulazione”.
I clienti più grandi o con un dipartimento di energy management preposto, solitamente sono in grado di rispettare i programmi di consumo e di gestire il rischio modulazione e, dunque, dovrebbero trarre maggior beneficio da una formula a PUNh. Con questa formula, inoltre, i clienti che hanno la capacità di modulare con flessibilità il proprio consumo possono concentrare il fabbisogno energetico nelle ore/fasce a costo minore, risparmiando notevolmente.
Al contrario, per i clienti che hanno minor capacità di stimare con precisione il proprio profilo di consumo e che non hanno flessibilità, la scelta migliore è la formula PUNaBL, che permette di delegare il rischio modulazione al fornitore pagando semplicemente un P0 tendenzialmente più alto. Questa formula, inoltre, risulta molto conveniente anche per profili di consumo molto variabili e di difficile previsione.
Va ricordato, infine, che per ottimizzare i costi di fornitura e gestire al meglio il proprio approvvigionamento è bene inserire nel contratto la possibilità di fare dei fixing, a prescindere dalla formula di indicizzazione scelta.
MEMORANDUM:
BASELOAD: fascia che include tutte le 24 ore del giorno, tutti i giorni della settimana, sia feriali che festivi.
F1 (ore di punta): dalle ore 8:00 di mattina alle 19:00, dal lunedì al venerdì, esclusi i festivi.
F2 (ore intermedie o di spalla): da lunedì al venerdì, dalle ore 07:00 alle 08:00 di mattina, dalle 19:00 alle 23:00 la sera + sabato dalle ore 07:00 alle 23:00. Festivi esclusi.
F3 (ore fuori punta): dal lunedì al sabato, dalle ore 00:00 alle 07:00 e dalle 23:00 alle 24:00 + tutte le ore della giornata di domenica e giorni festivi.
“Fisso o variabile? Questo è il problema!” Il grande dilemma torna periodicamente a dare il tarlo ai clienti. Alcuni clienti o i loro energy manager, consulenti o responsabili...
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“Fisso o variabile? Questo è il problema!” Il grande dilemma torna periodicamente a dare il tarlo ai clienti. Alcuni clienti o i loro energy manager, consulenti o responsabili dell’approvvigionamento, preferiscono il prezzo fisso per la sensazione di sicurezza che dà (più di così non posso spendere!), altri invece preferiscono l’indicizzato per non dover scegliere a fine anno il prezzo per tutto l’anno successivo (magari posso spendere meno!). Cosa scegliere?
Acquistare energia elettrica o gas a prezzo fisso significa bloccare in sede di stipula del contratto il prezzo della propria fornitura per tutta la durata del periodo considerato, definendo le cifre del proprio budget ma rinunciando alla possibilità di ulteriore risparmio.
Stipulare un contratto a prezzo variabile (o indicizzato, che dir si voglia), invece, consente di approfittare di eventuali ribassi nel corso del periodo di fornitura, rimanendo però esposti al rischio che i prezzi salgano. In un contratto a prezzo variabile, inoltre, è possibile fissare il prezzo di una parte della propria fornitura nel corso dell’anno, attraverso i fixing, che possono esser diluiti nel tempo e su porzioni di consumo (un mese/trimestre, solo una porzione del consumo o il 100%, più tranche in momenti diversi).
Nel momento della stipula del contratto, il prezzo fisso e il prezzo indicizzato (di qualunque formula si tratti) si equivalgono, ovvero numericamente la formula ha esattamente lo stesso valore del prezzo di mercato (a meno del margine del fornitore). Nel corso del contratto, poi, il prezzo indicizzato si allontana dal prezzo fisso, seguendo l’andamento del mercato e solo ex post è possibile capire se sarebbe stato più conveniente uno o l’altro.
Il Sig. Rossi, ogni anno, il giorno 8 di maggio acquista la sua energia per il Q3 (luglio-settembre) a prezzo fisso.
Sia nel 2018 che nel 2019, quando ha acquistato la sua energia, il Sig. Rossi è riuscito ad ottenere un prezzo fisso di 62 €/MWh.
Nel 2018 il prezzo medio del PUN del trimestre è stato 68,82 €/MWh e il Sig. Rossi, che ha pagato 62, ha potuto ottenere un enorme risparmio grazie al suo prezzo fisso.
Nel 2019, invece, il prezzo medio del PUN del trimestre è stato 51,01 €/MWh e il Sig. Rossi, che ha pagato 62, ha sostenuto un costo molto più elevato rispetto a quanto avrebbe pagato se avesse avuto un contratto a prezzo variabile.
Al di là delle inevitabili riflessioni ex post (Ho fatto bene a fissare il prezzo della fornitura? Avrei potuto risparmiare con un contratto diverso?), ciò che è importante nel momento della contrattualizzazione, è la scelta della flessibilità.
Prediligere una fornitura a prezzo indicizzato con la possibilità di fixing offre maggiori opportunità di ottimizzazione rispetto alla scelta di una fornitura a prezzo fisso per tutta la durata contrattuale.
Innanzitutto, perché un contratto indicizzato può facilmente esser tramutato, attraverso i fixing, in un contratto a prezzo fisso per una parte o per il totale del profilo di consumo, limitando il rischio che il mercato salga e i costi di approvvigionamento diventino troppo onerosi.
Inoltre, e soprattutto, perché la scelta di fissare il prezzo in più tranche, in momenti diversi e per porzioni di consumo (mesi/trimestri e/o percentuali) consente di seguire maggiormente il mercato e di gestire attivamente il proprio costo di approvvigionamento, diminuendo il rischio di compiere una scelta definitiva in un solo momento dell’anno.
Scegliere di essere flessibili con un contratto indicizzato, dunque, consente di ottenere i vantaggi di un contratto a prezzo fisso (grazie ai fixing) e di poter scegliere il giusto timing per bloccare il prezzo per le diverse porzioni del proprio profilo, diversificando il rischio e approfittando di eventuali discese dei prezzi.
I movimenti dei prezzi di gas ed elettricità nel corso dell’anno possono essere importanti e la volatilità che ne consegue può esser percepita come un rischio o, viceversa, come...
Leggi di più >I movimenti dei prezzi di gas ed elettricità nel corso dell’anno possono essere importanti e la volatilità che ne consegue può esser percepita come un rischio o, viceversa, come un’opportunità.
Riuscire a ottenere un guadagno o un risparmio nelle diverse situazioni è possibile grazie a strumenti e analisi che, pur derivate dal trading, consentono di migliorare la gestione dell’approvvigionamento lungo tutta la filiera.
Con il termine trading si intende l’attività di compravendita di beni fisici o strumenti finanziari con lo scopo di realizzare profitti acquistando a prezzo più basso e vendendo a prezzo più alto. Anche sui mercati all’ingrosso di energia elettrica e gas il trading è molto diffuso e gli operatori attivi in questo settore sono diverse centinaia in tutta l’Europa.
Seguendo l’andamento dei mercati, studiando la situazione dei drivers (ovvero quei fattori che influenzano il prezzo) e facendo analisi, i trader possono anticipare (e contribuire) all’evoluzione dei prezzi e acquistare o vendere partite di gas o energia elettrica per realizzare un profitto.
L’attività di trading può essere vista come attività speculativa o come attività di ottimizzazione, a seconda che sia associata o meno ad un portafoglio di produzione o consumo.
Il trading speculativo è un’attività separata dalle altre aree aziendali, con un suo budget e dei suoi limiti operativi, un capitale di rischio a disposizione (un capitale, cioè, che in casi estremi può andar perso) e uno stringente controllo da parte del risk management. L’obiettivo è realizzare dei guadagni sfruttando i movimenti dei mercati.
ESEMPIO: il trader, a seguito di analisi e considerazioni, pensa che il prezzo del power per quest’estate possa salire. Per questo motivo prenderà una posizione in acquisto sul prodotto Q3 in attesa di poter vendere lo stesso ad un prezzo più alto.
L’ottimizzazione, invece, pur basandosi sostanzialmente sulla stessa attività (compro e vendo), ha come scopo l’individuazione dei trend di mercato e dei periodi migliori per vendere o acquistare energia elettrica o gas per il proprio portafoglio, realizzando un maggior profitto rispetto ad una gestione passiva.
ESEMPIO: il portfolio manager di una società di vendita di energia elettrica ha molti clienti che hanno acquistato da lui energia elettrica a prezzo variabile (es. PUN) ma pensa che il prezzo dell’energia elettrica durante il Q3 possa salire. Per questo motivo decide di acquistare il Q3, fissando il proprio prezzo di approvvigionamento, per migliorare il proprio guadagno (prezzo di vendita ai clienti – prezzo di approvvigionamento) qualora il prezzo salisse.
Fino a qualche anno fa le attività di trading e ottimizzazione erano prerogativa delle società medio/grandi attive nel mondo energy.
Recentemente però, con l’accentuarsi della crisi e la diminuzione dei margini, l’ottimizzazione è diventata una prassi anche più a valle nella filiera e sono moltissimi i clienti che, grazie a risorse interne o esterne, perseguono l’aumento dei margini, o, per meglio dire, la diminuzione dei costi, attraverso una miglior gestione dei propri approvvigionamenti.
La figura dell’energy manager nelle società che consumano molto gas o energia elettrica è infatti una figura chiave, che consente di ottimizzare le forniture, fissando o meno il prezzo in base alle aspettative dei movimenti di mercato, consentendo alla sua azienda di mantenere bassi i costi ed essere più competitiva.
ESEMPIO: l’energy manager di una industria, grazie ad analisi e strumenti a sua disposizione, ritiene che il prezzo dell’energia elettrica nel terzo trimestre potrebbe salire rispetto ai valori attuali.
Decide così di fissare alcune tranche della propria fornitura richiedendo al proprio fornitore un fixing, che gli consenta di approfittare dei prezzi bassi offerti oggi dal mercato per non rischiare di affrontare un costo eccessivo durante l’estate.
Capire i mercati e utilizzare strumenti adeguati per ottimizzare la propria fornitura consente, dunque, di migliorare la competitività delle aziende energivore e di diminuire il rischio di brutte sorprese in bolletta.
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Il prezzo del gas è influenzato da molti fattori, il cui contributo modifica l’equilibrio di domanda e offerta. La disponibilità di materia prima che può essere...
Leggi di più >L’Europa produce circa il 18% del gas che annualmente viene immesso nel sistema (ci riferiamo al 2019 e nel conto è inclusa anche UK). I principali siti di estrazione si trovano nel territorio del Regno Unito (e dal 2020 risulteranno essere giacimenti extra EU) e in Olanda (il famoso sito di Groningen che si avvia pian piano a fine vita). Interruzioni nelle attività estrattive o delle pipeline che trasportano il gas hanno un impatto rilevante sul prezzo del gas, soprattutto sul breve termine.
La quota di gas proveniente da paesi extra EU tramite l’import è l’82% del totale del gas annualmente immesso nel sistema gas europeo. Di questo l’import tradizionale, ovvero via pipeline, copre circa il 60% e le principali direttrici di import collegano l’Europa alla Russia, alla Norvegia e al Nord Africa. Nuove tratte collegheranno ulteriormente l’Europa ai Paesi limitrofi nel prossimo futuro (es. Nord Stream II), aumentando la capacità di import attuale.
All’import tradizionale via pipeline si è affiancato negli ultimi anni l’import di gas naturale liquefatto (GNL o LNG), che nel 2019 è arrivato a pesare il 22% del totale del gas immesso nel sistema gas europeo. Il gas non arriva più solo da Paesi prossimi all’Europa, ma anche da Qatar, USA, Nigeria e altri.
Ai tradizionali rapporti fra Paesi Europei e Paesi produttori di gas si sono affiancate dunque nuove relazioni commerciali che portano con sé, oltre ad una sana diversificazione delle fonti, anche nuove influenze geopolitiche. Se fino a poco tempo fa erano tristemente note le vicende legate alle continue diatribe tra Russia e Ucraina, oggi nuovi attori entrano sulla scena energetica europea, cambiando gli equilibri e modificando quote di mercato da tempo consolidate.
Un ulteriore fattore che influenza la disponibilità di gas è la quantità di gas presente negli stoccaggi. Quando durante la stagione calda la domanda di gas è inferiore, il gas viene immagazzinato in stoccaggi dai quali viene estratto durante l’inverno. Il livello degli stoccaggi è un indicatore della possibilità di far fronte a improvvisi aumenti della domanda a cui l’aumento di import non può fisiologicamente sopperire. In inverni miti, come quello appena terminato, i bassi consumi di gas naturale (ulteriormente ridotti per effetto del coronavirus) provocano un surplus di gas in stoccaggio (+30% rispetto all’anno scorso) che si riflettono in una maggior disponibilità di gas e dunque in un effetto ribassista sui prezzi.
Conoscere i fattori che determinano la disponibilità di gas consente di prevedere le conseguenze degli equilibri di domanda/offerta sul prezzo della materia prima. Un conflitto in Paesi da cui l’Europa importa (es: Russia o Qatar) può avere un forte impatto sul sistema del gas europeo, così come un problema ad un grosso tubo o livelli di gas in stoccaggio molto superiori/inferiori alla media stagionale e non di rado proprio questi temi risultano centrali per i movimenti dei prezzi del gas in Europa.
La forte diminuzione dei prezzi del gas degli ultimi mesi è stata infatti dovuta proprio ad un mix di questi fattori: livello degli stoccaggi molto più alto del normale, gas importato via nave ai massimi livelli storici e import via pipeline a regime hanno causato una sovrabbondanza di offerta di materia prima che ha, di fatto, provocato un rally al ribasso in tutti i mercati gas europei.
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Abbiamo di recente assistito ad un crollo dei prezzi sul mercato energetico, dovuto ad un calo repentinio della domanda di energia. Sono stati questi gli effetti della chiusura...
Leggi di più >Abbiamo di recente assistito ad un crollo dei prezzi sul mercato energetico, dovuto ad un calo repentinio della domanda di energia. Sono stati questi gli effetti della chiusura delle attività produttive non essenziali, con l'entrata in vigore delle misure di distanziamento sociale.
Non sono solo i prezzi attuali ad essere caduti, anche quelli futuri sono in calo. Questa è la conseguenza diretta del periodo di forte incertezza che stanno vivendo i mercati, si pensa infatti che l'attuale crisi di domanda possa avere ancora degli effetti importanti sul futuro.
Siamo andati a chiedere a Luca Rizzitelli, il CEO di Bros Energy per quanto tempo il mercato dell'energia verrà condizionato dai fattori esterni determinati dal Covid, e se ci sono delle strategie da mettere in atto per gestire al meglio lo schock attuale.
"Per dare una risposta compiuta a questa domanda giova ricapitolare brevemente quanto è accaduto in questo ultimo periodo di grande incertezza: dall'inizio dello scorso mese abbiamo assistito ad un crollo dei prezzi di mercato dovuto al repentino calo della domanda causato dalle misure intraprese un po' in tutta Europa per limitare la diffusione del coronavirus.
Il consistente ribasso ha interessato sia i prezzi spot che i prezzi futures. Ma mentre nel primo caso il calo dei prezzi ha poggiato su ragioni "fondamentali", appunto il reale calo di domanda, nel caso dei prezzi futuri il calo è stato spinto per lo più dal timore che il termine della crisi dei consumi possa riverberarsi anche sulla domanda futura.
Inoltre l'ottimismo che ha investito il mercato nell'ultima settimana, consentendo alle quotazioni di recuperare parte del valore perduto, è a mio avviso ancora prematuro.
La migliore strategia al momento, visto l'incertezza sul momento esatto di uscita dalla crisi "coronavirus", potrebbe essere una suddivisione degli acquisti a prezzo fisso relativi al proprio consumo su un orizzonte temporale che non vada oltre l'inizio di settembre.
Il livello relativamente ancora basso dei prezzi dell'energia elettrica e del gas naturale a partire dal calendar 2021, per esempio, è coerente a mio avviso con l'adozione di una strategia di parzializzazione e di differimento dei volumi in acquisto a prezzo fisso, ovvero distribuire le partite in acquisto sul periodo tra aprile e l'inizio di settembre."
"L'andamento dei prezzi del gas naturale e dell'energia elettrica resterà a mio avviso depresso almeno fino a quando non dovessero essere più limitate le attività produttive ovvero fino a quando non si produca un vaccino efficace. Idealmente, anche osservando la curva di evoluzione dei contagi da coronavirus in Asia, potremmo attenderci un ritorno alla normalità gia da fine agosto."
Quali sono i segni positivi inediti che la pandemia produrrà nel nostro settore?
"Come in tutti i momenti difficili ritengo che al termine della crisi ci ritroveremo con un sistema elettrico piu solido e resiliente che sarà frutto di una "selezione naturale" in cui molti operatori, poco innovativi o con il fardello di qualche difficoltà finanziaria pregressa, periranno o verranno riassorbiti dai più forti. La prova a cui gli eventi ci hanno esposto alla fine spingerà il settore ad essere più aperto all'innovazione e a premiare la flessibilità sia dei consumi che delle formule di offerta. Durante la auspicabile fase di ripresa nuovi modelli di business con un alto contenuto innovativo potranno avere spazio libero e crescere anche grazie alla consapevolezza che nulla è scontato, neanche nel mondo dell'energia."
Uno dei fattori che più ha influenzato il prezzo dell’energia elettrica, sia in Italia che nel resto d’Europa, negli ultimi due anni è stata la CO2. Ma come si lega il prezzo...
Leggi di più >Uno dei fattori che più ha influenzato il prezzo dell’energia elettrica, sia in Italia che nel resto d’Europa, negli ultimi due anni è stata la CO2. Ma come si lega il prezzo della CO2 a quello dell’energia elettrica?
Per incentivare le attività che maggiormente emettono CO2 (ed il settore energetico è in prima linea) ad investire in tecnologie green e a minor impatto di carbonio, l’Unione Europea ha creato, ormai 15 anni fa, il cosiddetto Emission Trading Scheme (ETS), ovvero un sistema che obbliga i soggetti che emettono troppa CO2 a pagare per le proprie emissioni.
L’obbligo di acquistare ogni anno i permessi di emissione (EUA = Emission Unit Allowances) corrispondenti alla CO2 prodotta fa sì che la CO2 rappresenti una voce di costo reale per il soggetto che la produce.
Poiché il prezzo della CO2 fino ad un paio di anni fa è stato troppo basso per poter esser considerato un vero deterrente alle emissioni (in questo stesso periodo, nell’aprile del 2018 la CO2 era quotata 12/13 €/tonnellata), l’Unione Europea ha dato il via al cosiddetto MSR (Market Stability Reserve).
Questo è un meccanismo che, attraverso la sottrazione di quote di emissione dal mercato, mira a diminuire l’offerta di titoli, facendo aumentare il prezzo della CO2 per incentivare i soggetti emittenti a compiere investimenti corposi nell’abbattimento delle emissioni.
L’MSR, partito a gennaio 2019, ha in breve tempo portato i prezzi della CO2 vicino alla soglia dei 30 €/tonnellata (qualcuno ricorderà il picco dei prezzi dell’estate scorsa), ma dallo scorso inverno i prezzi si sono assestati fra i 23,5 e i 26,5 €/tonnellata.
La recente epidemia di coronavirus, che ha bloccato quasi totalmente le attività produttive sia in Italia che in Europa, ha avuto come immediato risultato un calo sensibile delle emissioni e, di conseguenza, la domanda di titoli è crollata.
Con la domanda sono crollate, chiaramente, anche le quotazioni della CO2 (più del 35%), arrivando a toccare minimi di 16/17 €/tonnellata (mai così basse dal 2018), per poi stabilizzarsi intorno ai 20. Insieme alla quotazione della CO2 è sceso anche il prezzo dell’energia elettrica, già spinto al ribasso dal gas naturale.
Il prezzo dell’energia elettrica, come dicevamo, viene fortemente influenzato dal prezzo della CO2, che entra in gioco come voce di costo per la produzione di energia elettrica da combustibili fossili, come il gas naturale.
Un impianto termoelettrico che utilizza gas naturale per produrre energia elettrica, per ogni MWh di energia prodotto consuma circa 2 MWh di gas naturale, ovvero circa 189 Sm3 (considerando una efficienza media convenzionale del 50%), ed emette circa 0,35 tonnellate di CO2.
Dunque, un incremento (o diminuzione) del prezzo della CO2 pari a 1 €/tonnellata dovrebbe provocare un incremento (o diminuzione) di 0,35 €/MWh del prezzo dell’energia elettrica.
È vero però che in Italia non tutta l’energia elettrica viene prodotta da gas naturale, che è forte anche l’influenza dei mercati esteri che hanno dinamiche differenti e che la presenza sul mercato di operatori speculativi può amplificare le reazioni del prezzo del power rispetto ai movimenti della CO2.
Per questo motivo non è facile riscontrare nella pratica il rapporto 1 : 0,35 appena descritto, ma ciò non toglie che la CO2 sia uno fra i principali driver del prezzo dell’energia elettrica.
In questo periodo infatti, le quotazioni del power hanno avuto un ribasso importante grazie all’effetto combinato della discesa dei prezzi del gas e della forte diminuzione delle quotazioni della CO2, arrivando a minimi (e parliamo ad esempio del calendar) mai toccati dopo la metà del 2017.
Ultimamente si sente spesso dire che il prezzo dell’energia elettrica in Italia è diminuito a causa di una forte diminuzione del prezzo del gas. Ma come mai il prezzo dell’energia...
Leggi di più >Ultimamente si sente spesso dire che il prezzo dell’energia elettrica in Italia è diminuito a causa di una forte diminuzione del prezzo del gas. Ma come mai il prezzo dell’energia elettrica e quello del gas sono così legati?
Il prezzo dell’energia elettrica (e parliamo della sola “quota energia”) in Italia è influenzato da diversi fattori, come la domanda, la stagione, le temperature, ma una componente fondamentale del prezzo è il costo per la produzione dell’energia stessa.
L’energia elettrica in Italia viene prodotta ancora per lo più da fonti tradizionali - nel 2019: gas quasi il 45% e carbone poco più del 6% - , con la quota rinnovabili in rapido aumento nel corso degli ultimi anni - più del 18% idroelettrico e circa il 20% solare ed eolico.
*Secondo la classificazione utilizzata da ENTSOE in “altro” sono inclusi per lo più impianti a cogenerazione e cicli combinati
Il gas è effettivamente il combustibile più utilizzato per la produzione elettrica in Italia, soprattutto in questi ultimi anni in cui le politiche green hanno spinto sempre più per la chiusura delle centrali a carbone, ed è dunque facilmente intuibile come il prezzo dell’energia elettrica sia strettamente legato a quello della principale materia prima utilizzata per produrla.
Lo stretto legame fra power e gas non è dato solo dalla quantità di energia prodotta attraverso l’impiego del gas, ma anche dal ruolo che questo ha nell’algoritmo di formazione del prezzo nel mercato del giorno prima (MGP).
Infatti, le diverse tipologie di centrali, avendo differenti caratteristiche tecnologiche, producono con programmi e costi diversi e, dunque, influenzano il prezzo in modo diverso.
La produzione da fonti rinnovabili, essendo intermittente e non programmabile, ha la priorità nella vendita a mercato, ma è il gas la risorsa che copre il fabbisogno residuo, determinando quindi molto spesso il prezzo marginale.
Inoltre, va menzionato che con l’aumentare della produzione rinnovabile non programmabile, sia in Italia che all’estero, il gas ha (e continuerà ad avere) il ruolo del jolly.
Quando manca il vento, quando il cielo è coperto, quando c’è poca acqua nei bacini è il gas che interviene per “colmare i buchi”, almeno fino a quando non ci saranno tecnologie flessibili e abbastanza economiche (possibilmente un po’ più green) per farne a meno.
La discesa dei prezzi del power a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi è dunque dovuta proprio alla discesa dei prezzi del gas in tutta Europa, confermando la forte correlazione fra di essi.
Tuttavia, la dinamica dei prezzi del power ha subito anche l’influenza della CO2, che, grazie ai meccanismi europei di limitazione dell’offerta (MSR), ha negli ultimi anni avuto un peso (e un costo) sempre maggiore.
Per questo motivo, mentre il gas in questi giorni ha toccato i livelli più bassi di sempre, il prezzo del power non ha raggiunto i minimi toccati nel 2016 (quando la CO2 costava solo 5 €/ton).
È impossibile, nelle ultime settimane, non aver sentito parlare del Coronavirus e della rapida diffusione che sta avendo in Europa ma anche in tutto il mondo. Ma come questa...
Leggi di più >È impossibile, nelle ultime settimane, non aver sentito parlare del Coronavirus e della rapida diffusione che sta avendo in Europa ma anche in tutto il mondo. Ma come questa epidemia sta influenzando i mercati delle commodities, e specialmente quello?
L’epidemia di Coronavirus, da pochi giorni estesasi all’Europa e agli USA, come è noto, ha avuto origine in Cina.
Quella Cina che da sola costituisce il maggior importatore di petrolio e gas naturale al mondo, la stessa Cina che in queste ultime settimane ha bloccato un gran numero di industrie e fabbriche per arginare la diffusione del virus, lasciando a casa i cittadini, fermando gli aeroporti e le stazioni ferroviarie e bloccando di fatto tutte le attività non indispensabili alla sopravvivenza.
La buona notizia è che uno stop quasi totale dei veicoli e delle industrie cinesi provocherà un crollo nelle emissioni di CO2 del Paese, quella brutta è che la domanda di petrolio e gas naturale è drasticamente diminuita (per il petrolio circa -3 milioni di barili al giorno, pari a quasi il 20% della domanda), al punto che i membri dell’Opec+ come misura di emergenza potrebbero applicare ulteriori tagli alla produzione di greggio per sostenerne i prezzi (-0,6 milioni di barili al giorno, circa l’1,5% dell’output attuale).
La domanda di petrolio e materie prime, già messa in pericolo dalla recessione dell’economia globale e dalla guerra commerciale fra USA e Cina, rischia di diminuire non solo in Cina e nei Paesi limitrofi (la Corea del Sud è già in piena emergenza), ma anche in Europa e USA, appena sfiorati fino ad ora dall’epidemia.
Il blocco totale o parziale delle attività produttive e dei trasporti causa una diminuzione della domanda di combustibili, petrolio e gas naturale in primis. Anche il gas naturale infatti sta soffrendo della ridotta domanda della Cina, che ha notevolmente diminuito l’import di gas naturale liquefatto (LNG), spesso invocando la forza maggiore (si stima una diminuzione del 23% da gennaio rispetto all’anno precedente).
Il minor appetito di LNG nell’area asiatica ha incentivato le navi a dirigersi verso destinazioni alternative, come ad esempio l’Europa, già inondata da un surplus di gas naturale senza precedenti, provocando una ulteriore discesa dei prezzi.
Di conseguenza il prezzo dell’energia elettrica in Europa, e soprattutto in Italia, è diminuito, a causa della discesa dei prezzi dei combustibili (primo fra tutti il gas, ma anche il carbone) utilizzati per produrla.
Photo: © Markus Spiske Unsplash
L'unica newsletter che ti dà le chiavi per gestire facilmente il tuo contratto energia.
Questa serie di white paper si propone di aiutarvi a comprendere: le basi del mercato dell'energia, i prezzi dell'energia e la gestione dei vostri contratti energetici B2B, per...
Leggi di più >Questa serie di white paper si propone di aiutarvi a comprendere: le basi del mercato dell'energia, i prezzi dell'energia e la gestione dei vostri contratti energetici B2B, per permettervi di ottimizzare i vostri costi energetici.
Negli ultimi mesi del 2021 abbiamo assistito a un rally dei prezzi del gas e dell’energia elettrica senza precedenti e sebbene i prezzi da gennaio a oggi siano lontani dal picco...
Leggi di più >Negli ultimi mesi del 2021 abbiamo assistito a un rally dei prezzi del gas e dell’energia elettrica senza precedenti e sebbene i prezzi da gennaio a oggi siano lontani dal picco di fine dicembre, il valore assoluto rimane piuttosto elevato.
Insieme ai prezzi, anche la volatilità è aumentata nel corso dell’anno scorso e, se a inizio anno si potevano avere oscillazioni di 1, 2, massimo 3 €/MWh al giorno, alla fine 2021 i 10, i 20 o addirittura i 30 €/MWh di differenza fra un giorno e l’altro erano oscillazioni considerate quasi normali.
L’intera filiera del gas e dell’energia elettrica ha subito l’impatto di queste dinamiche, che hanno avuto conseguenze importanti a tutti i livelli e i cui strascichi hanno probabilmente cambiato l’assetto di un intero settore.
Per quanto riguarda il settore della vendita di energia e gas, sia i fornitori che i clienti hanno dovuto affrontare delle conseguenze di quanto successo sui mercati all’ingrosso.
Risulta dunque estremamente critica la gestione di un portafoglio di vendita in condizioni di mercato come quelle viste negli ultimi mesi. Il problema non sono i margini, ovvero i guadagni dati dall’attività di vendita, ma la sostenibilità in termini di cassa, finanza e rischi che devono sopportare i fornitori per poter svolgere l’attività.
i fixing basate su prezzi storici confrontano i prezzi futures in quel momento con quelli di periodi simili in altri momenti. Anche con l'incertezza vissuta nello scorso periodo, il tool è in grado di determinare che i prezzi stanno aumentando e, anche se non sono prezzi bassi (dato che la situazione era quella che era), l'opzione migliore era comunque quella di eseguire fixing per mitigare l'impatto della volatilità che sarebbe arrivata. Queste raccomandazioni arrivano proprio nel momento peggiore, da maggio 2021 e per tutto l'anno rimanente.
Sia per i fornitori che per i clienti l’aumento dei prezzi e della volatilità ha provocato criticità delle quali ancora non è ancora del tutto espresso l’effetto.
Per il 2022, è possibile aspettarsi alcune conseguenze di questa situazione, prima fra tutti la diminuzione del numero di operatori attivi nella vendita di energia elettrica e gas. Diverse società, sia in Italia che in Europa, hanno dovuto tirare i remi in barca e sospendere l’attività a causa delle difficoltà finanziarie ed è probabile che il numero degli operatori costretti a ritirarsi possa aumentare nel corso di quest’anno.
D’altra parte, l’alta volatilità che dovrebbe caratterizzare i mercati ancora per diverso tempo potrebbe offrire non solo criticità, ma anche occasioni di ottimizzazione, a prescindere dal trend dei prezzi che si verificherà nel corso dell’anno.
E’ probabile che dopo un 2021 così estremo, un maggior numero di clienti industriali sarà interessato alla gestione attiva della propria fornitura (prezzo variabile con fixing), che si è dimostrata una formula flessibile e capace di ottimizzare i costi, se correttamente impostata. Poter approfittare di un mercato al ribasso ma avere la possibilità di tutelarsi in caso di rialzi, risulta un modello utile per affrontare i mercati energetici sempre più volatili.
Questo, unito alla diffusa attenzione anche mediatica suscitata dall’escalation dei prezzi degli ultimi mesi, creerà un generale aumento della curiosità e della necessità di informazioni sulle dinamiche dei mercati. Non sarà più solo il prezzo, probabilmente, a convincere i clienti, ma la capacità di offrire un supporto strutturato alle scelte, fornendo le informazioni rilevanti e la competenza sui mercati energetici che consentano ai clienti di gestire al meglio la propria fornitura in tutte le situazioni di mercato.
Insomma, il rally dei mercati del 2021 avrà un impatto notevole anche per il prossimo futuro.
E’ ormai fatto noto che ci sia una vera e propria crisi energetica in atto. I prezzi del gas e dell’elettricità hanno concluso un primo trimestre record, in continuità con i...
Leggi di più >E’ ormai fatto noto che ci sia una vera e propria crisi energetica in atto. I prezzi del gas e dell’elettricità hanno concluso un primo trimestre record, in continuità con i pesanti aumenti avvenuti a fine 2021. Basti pensare che il PUN (Prezzo Unico Nazionale) ha consolidato un Q1-2022 di poco inferiore ai 250 €/MWh, mentre per il gas naturale PSV i primi tre mesi di consegne spot (Day Ahead) si sono attestati poco sotto ai 100 €/MWh.
Gli effetti di questi aumenti si stanno sentendo pesantemente su tutti i fronti e pesano in particolar modo sui consumatori finali, che si trovano a far fronte a costi energetici sempre più insostenibili. Anche se sono entrate in vigore alcune misure per il contenimento dei costi, come l’azzeramento di alcune voci della fattura energetica (gli oneri generali di sistema) o la riduzione dell’IVA su alcune tipologie di fornitura, con il prezzo della materia prima di 3 o 4 o addirittura 5 volte maggiore rispetto a un anno fa, il costo energetico complessivo è comunque lievitato.
Non solo i clienti finali sono in grave difficoltà, ma nella filiera energetica una posizione piuttosto delicata (per usare un eufemismo) oggi tocca ai fornitori. Le aziende attive nel settore della vendita di energia elettrica e gas naturale si trovano ad affrontare delle difficoltà senza precedenti (come abbiamo detto anche nell’articolo Fornitori e clienti: conseguenze dei prezzi di mercato alle stelle). L’aumento dei prezzi e della volatilità sui mercati all’ingrosso ha comportato, ormai da mesi a questa parte, un aumento dei costi legati all’approvvigionamento e alle coperture del rischio del portafoglio, entrambi elementi strettamente legati al prezzo.
Non solo aumento dei costi, a fronte spesso di margini fissati contrattualmente in periodo pre-crisi, ma anche aumento delle necessità finanziarie e di liquidità legate all’attività di compravendita di energia o gas, anch’esse proporzionali rispetto ai prezzi e alla volatilità dei mercati. Per acquistare gas o energia elettrica, infatti, gli operatori devono fornire garanzie finanziarie o liquidità a copertura dei loro acquisti e nella maggior parte dei casi si tratta di incrementi di garanzie da 5 a 10 volte i valori precedenti.
Per non parlare dello squilibrio di cassa, strutturale e naturale per una società di vendita, che paga l’energia o il gas acquistato (e gli oneri di sistema relativi) con 1-2-3 mesi di anticipo rispetto al momento dell’incasso da parte dei clienti. Con l’aumento dei prezzi e il protrarsi di questa alterazione del mercato, il disallineamento fra entrate ed uscite si è fatto a dir poco difficoltoso, per qualcuno addirittura fatale.
Tutto questo ha danneggiato in modo importante la situazione finanziaria ed economica delle società del settore, alcune delle quali hanno dovuto sospendere l’attività di vendita di energia o gas.
Ma il peggio, probabilmente, deve ancora venire, ovvero il momento in cui sui fornitori peserà a pieno anche l’effetto delle rateizzazioni delle bollette concesse ai consumatori domestici o alle imprese, a cui si andrà a sommare l’aumento della morosità dei clienti di fronte agli aumenti degli ultimi mesi. Le società del settore, aziende fino a sei mesi fa per lo più sane e ben gestite, potrebbero trovarsi impossibilitate a sopportare il protrarsi di queste condizioni di mercato a causa di una situazione finanziaria così difficilmente gestibile.
La gravità della situazione non è passata inosservata e molte sono state le richieste di supporto rivolte dalle associazioni di operatori del settore alle autorità competenti, sia in Italia che all’estero. La difficoltà di accesso alla finanza e alla liquidità in un momento grave e particolare come l’attuale è uno dei nodi dei diversi appelli degli ultimi mesi.
Anche da parte della European Federation of Energy Traders, primaria associazione europea di operatori del settore, è stata sottolineata la necessità di un supporto di emergenza di liquidità e finanza che consenta agli operatori di sopravvivere e ai mercati energetici di continuare a funzionare. Già, perché una ulteriore conseguenza dei prezzi così alti è il crollo della liquidità sui mercati, a causa del fatto che sempre meno operatori hanno la finanza necessaria per negoziare i prodotti della curva forward sui mercati organizzati.
La mancanza di un mercato liquido potrebbe impedire agli operatori di effettuare le operazioni di copertura non solo dei proprio portafogli di vendita ai clienti finali, ma anche del gas importato dall’estero o iniettato in stoccaggio, così come dell’energia elettrica prodotta dalle centrali. Insomma, il crollo della liquidità potrebbe impedire il regolare funzionamento dei mercati energetici e minare alla base l’esistenza di un mercato libero.
Ad essere onesti, è difficile anche per l’EU riuscire ad intervenire con manovre centralizzate che non penalizzino gli sviluppi futuri del settore e il raggiungimento degli obiettivi di lungo periodo in termini di mix energetico e emissioni. La tutela del consumatore finale è una contingenza assolutamente necessaria, ma è necessario anche salvaguardare la salute del settore nel medio/lungo termine.
Ad esempio, modificare la remunerazione degli impianti rinnovabili non incentivati mettendo un tetto massimo al prezzo per l’energia prodotta potrebbe provocare non solo gravi danni economici per le società interessate (che magari non hanno approfittato dell’aumento dei prezzi perché avevano effettuato coperture di lungo periodo a prezzi inferiori), ma anche portare al calo dell’appetito degli investitori del settore e questo, a sua volta, comprometterebbe il percorso di decarbonizzazione stabilito per i prossimi decenni.
Ugualmente, l’introduzione di un massimale al prezzo di gas o energia elettrica o una modifica del meccanismo di formazione dei prezzi spot a livello locale introdurrebbe distorsioni che avrebbero un impatto anche sulla curva forward e che, nel lungo periodo, potrebbero influenzare negativamente l’integrazione fra i mercati europei, così come lo sviluppo di investimenti in produzione rinnovabile o risparmio energetico.
Insomma, sembra sempre più difficile riuscire a salvare, come si suol dire, “capra e cavoli”. Solo una rapida risoluzione della situazione in Ucraina potrebbe, forse, riuscire a riportare i mercati verso una condizione di stabilità ed è piuttosto probabile che un ritorno alla “normalità” non avvenga, in ogni caso, in tempi brevi, né per quanto riguarda il livello dei prezzi, né per lo stato di salute del settore.
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