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Qual è il contesto in cui si inserisce l’ETS europeo?

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Dato il periodo storico particolare, stiamo ricevendo molte domande sul mercato della CO2 e sulla sua relazione con il prezzo dell'energia. Abbiamo pensato di raccoglierne alcune nel nostro blog. Se dopo aver letto quest'articolo dovessi avere altri dubbi, ti invitiamo a leggere il nostro White Paper, "Capire il mercato della CO2 in 15 domande", che le raccoglie tutte.

Abbiamo parlato a più riprese di ETS, ma non abbiamo mai analizzato il contesto, in particolar modo legislativo, che ha spianato la strada all’attuale sistema per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra.

Protocollo di Kyoto

Il più famoso caposaldo della lotta al cambiamento climatico e dell’impegno per la riduzione delle emissioni è stato il Protocollo di Kyoto, nel 1997. Questo infatti è stato il primo trattato internazionale in cui sono stati stabiliti degli obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni per i Paesi industrializzati che lo hanno sottoscritto.

I Paesi considerati in via di sviluppo non sono stati coinvolti negli obiettivi di riduzione delle emissioni per evitare di rallentare la loro crescita economica e di dover sopportare ulteriori costi e oneri.

Sottoscritto poi da più di 190 Paesi, il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore nel 2005, quando anche la Russia l’ha ratificato, ottenendo così l’impegno vincolante dei 55 Stati che, nel 1990, erano responsabili di oltre il 55% delle emissioni di CO2 generate a livello aggregato dai Paesi industrializzati. Nel Protocollo di Kyoto sono stati stabiliti degli obiettivi di riduzione delle emissioni (rispetto all’anno 1990, utilizzato come benchmark) per il periodo 2008-2012.

Accordo di Parigi

Nel 2015, a Parigi, si è poi tenuta la Conferenza sul clima in cui è stato stipulato un nuovo accordo importantissimo, chiamato “Accordo di Parigi”.

In questo storico accordo viene sostanzialmente eliminata la differenza fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo, stabilendo così accordi giuridicamente vincolanti per tutti i Paesi che lo hanno ratificato (che rappresentano almeno il 55% delle emissioni globali).

Considerando che la taglia media di una centrale attiva in Francia è di oltre 800 MW, ogni manutenzione implica che vengano a mancare quote davvero consistenti di produzione elettrica e dunque le manutenzioni vengono organizzate a rotazione, per fare in modo che non ci sia mai una sovrapposizione non gestibile di manutenzioni contemporanee.

Gli obiettivi stabiliti sono il mantenimento del surriscaldamento globale al di sotto dei 2°C rispetto al periodo pre-industrializzazione e l’incremento degli sforzi per conseguire la riduzione delle emissioni, arrivando nella seconda metà di questo secolo alla carbon neutrality (equilibrio fra emissioni e assorbimenti). L’Unione Europea, nel quadro dell’Accordo di Parigi, aveva dichiarato il proprio obiettivo di contenimento delle emissioni al 2030 (-40% rispetto alle emissioni del 1990).

Green Deal

Nel 2020, in concomitanza con la revisione quinquennale degli obiettivi climatici stabiliti nell’ambito dell’Accordo di Parigi, l’Unione Europea ha presentato il cosiddetto “Green Deal” europeo, ovvero la strategia che si intende implementare per promuovere l’utilizzo razionale delle risorse, lo sviluppo di un’economia più sostenibile e la diminuzione delle emissioni di gas serra.

In questo piano di azione europeo sono contenute misure e obiettivi in ambito di energie rinnovabili, economia circolare, innovazione tecnologica e biodiversità volte a ridurre drasticamente l’inquinamento e le emissioni.

Il nuovo target di riduzione delle emissioni al 2030 è stato innalzato, dal -40% al -55% rispetto alle emissioni del 1990, per raggiungere entro il 2050 la neutralità.

Ma quali sono gli altri ETS oltre a quello europeo?

Gran Bretagna

Con la brexit, la Gran Bretagna, che era uno dei Paesi partecipanti dell’ETS europeo, ha dovuto avviare un ETS a sé stante (ETS UK), attivo da gennaio del 2021 e ad oggi strutturato in maniera similare all’ETS europeo.

L’ETS UK copre circa un terzo delle emissioni totali della Gran Bretagna e coinvolge le industrie energy-intensive, il settore della generazione elettrica e l’aviazione (all’interno di UK e dell’area Economica Europea).

L’ETS UK potrebbe essere allineato a breve con l’ETS EU per garantire ai settori coinvolti di non essere penalizzati o favoriti dal collocarsi a nord o a sud del Canale della Manica.

Svizzera

La Svizzera, ad esempio, dal 2008 ha istituito un sistema ETS, dal 2013 non più volontario ma obbligatorio, sostanzialmente allineato a quello europeo e che copre circa il 10% delle emissioni locali. Nel 2017 ha sottoscritto un accordo con l’UE per collegare i due ETS a partire da gennaio 2020.

Sono dunque riconosciuti reciprocamente i titoli di emissione delle due parti, che possono essere scambiati fra i registri. Questo accordo risulta utile per armonizzare i prezzi, conferendo maggiore liquidità e stabilità al mercato, oltre ad evitare la rilocalizzazione delle emissioni e la distorsione della concorrenza fra le due aree.

Cina

Nonostante già da alcuni anni fossero stati lanciati diversi progetti pilota di ETS regionali, solo nel 2021 è stato dato l’avvio al primo ETS nazionale cinese. Questo copre circa il 40% delle emissioni nazionali (oltre 4000 miliardi di tonnellate di CO2), interessando inizialmente circa 2.200 industrie attive nel settore della produzione elettrica e del calore e che emettono ciascuna più di 26mila tonnellate di CO2 all’anno.

Poiché questo meccanismo ha visto la luce solo recentemente, l’assetto attuale dovrà essere modificato per estendere gli obblighi di compliance ad almeno altri 7 settori altamente emissivi in Cina, ovvero petrolchimico, chimico, materiali da costruzione, acciaio, metalli non ferrosi, carta e aviazione nazionale. Oltre all’ampliamento del perimetro è previsto un progressivo aumento degli oneri e l’integrazione degli ETS regionali nell’ETS nazionale.

Resto del mondo

Nel resto del mondo sono diversi i sistemi ETS già funzionanti da tempo. Fra questi, ad esempio, troviamo ben due ETS in Canada, uno per il Québec, uno per la Nuova Scozia, entrambi basati su un meccanismo cap and trade che copre circa l’80% delle emissioni delle due province.

Anche negli USA sono attivi e in fase di avviamento diversi ETS a livello dei singoli stati della confederazione (es. California). Un sistema ETS obbligatorio attivo da anni è quello dell’area metropolitana di Tokyo, in Giappone, dove sono attivi anche altri ETS locali, ed è basato su un sistema cap and trade che impone a industrie, fabbriche, grandi palazzi e ad altre tipologie di soggetti che consumano ingenti quantità di combustibili fossili di ridurre progressivamente le loro emissioni al di sotto di determinati benchmark.

Restando nell’Area asiatica, anche la Corea del Sud si è dotata di un ETS da gennaio 2015, il primo meccanismo obbligatorio su scala nazionale nel continente e, fino a poco tempo fa, il secondo maggior mercato delle emissioni per dimensioni mondiali.

Molti altri ETS sono in via di valutazione nel mondo. L’Accordo di Parigi ha posto le basi per lo sviluppo dei mercati internazionali dei titoli di emissione e di un sostanzioso set di regole per contabilizzare le emissioni, motivo per cui in futuro è probabile che in tutti i Paesi aderenti all’Accordo si sviluppino delle forme di mercato delle emissioni per riuscire a raggiungere i target di riduzione prefissati.