Quali sono i driver del mercato energetico nel 2021
Inizia un nuovo anno: vediamo quali sono i temi caldi di questo primo trimestre del 2021. All’inizio del 2021 osserveremo la naturale evoluzione di alcuni grandi temi che hanno...
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Leggi di più >Inizia un nuovo anno: vediamo quali sono i temi caldi di questo primo trimestre del 2021.
All’inizio del 2021 osserveremo la naturale evoluzione di alcuni grandi temi che hanno caratterizzato l’anno appena passato ed in particolare gli ultimi due-tre mesi.
Dopo un periodo festivo decisamente singolare, fra lockdown, distanziamento e divieti alla libera circolazione, uno degli argomenti più di attualità resta senza dubbio lo svolgersi della campagna di vaccinazione legata al COVID-19 e l’effetto di quest’ultima, insieme alle misure di limitazione agli spostamenti, sulla curva dei contagi. Pur essendo ancora troppo presto per giudicare l’efficacia della campagna di vaccinazione, iniziata già in dicembre, cresce l’ottimismo sui mercati, soprattutto quelli azionari, che continuano ad apprezzarsi nonostante le condizioni poco incoraggianti dell’economia “reale”.
Anche i mercati energetici, dal petrolio al gas naturale e all’energia elettrica, di riflesso, sembrano beneficiare di questo mood positivo. Tuttavia, le ragioni dei rialzi recenti sono da ricercarsi anche in diversi altri fattori che hanno avuto, e continueranno ad avere, un forte impatto sui prezzi del comparto energy in Europa.
Come abbiamo spiegato anche nell’articolo investimenti LNG e conseguenze a lungo termine, uno dei fattori scatenanti del rally dei prezzi del gas di fine 2020 sono state le temperature asiatiche che, più rigide della norma, hanno comportato un violento aumento della domanda di gas, in particolare di LNG. I prezzi del gas in Giappone e Corea sono saliti al punto da attrarre buona parte delle navi di LNG disponibili, causando un minor afflusso di navi in Europa fra novembre e (in particolar modo) dicembre.
Questo tema di fine anno potrebbe protrarsi anche per i primi mesi del 2021, almeno fino ad una distensione della tensione in area asiatica che avverrà in concomitanza con l’arrivo di temperature più miti.
Anche per quanto riguarda l’energia elettrica il quadro di questo primo trimestre risulta complesso e legato a diversi fattori contingenti che incidono sia sui temi fondamentali che sull’attitudine degli operatori. In particolar modo, a causa dell’implementazione delle misure di contenimento della pandemia di Covid, un fattore determinante riguarda la situazione del parco di generazione nucleare francese.
Le manutenzioni delle centrali, ritardate durante l’anno scorso proprio a causa dei diversi lockdown, potrebbero incidere sulla disponibilità dell’output nucleare proprio in questi primi mesi dell’anno, quando temperature particolarmente rigide potrebbero causare un aumento consistente della domanda di energia elettrica.
Ad aggravare la situazione nucleare francese, inoltre, si aggiungono le agitazioni sindacali dei lavoratori delle centrali a seguito del piano di ristrutturazione del colosso nazionale EDF che prevederebbe una massiva campagna di licenziamenti.
Anche il prezzo della CO2, che ha risentito dell’ondata di positività dei mercati finanziari di fine anno, incide sulle dinamiche dei prezzi dell’energia elettrica, supportando i prezzi in una situazione di tensione generale.
Molti dei temi di attualità di questo inizio anno, dunque, sono legati al meteo e alle condizioni metereologiche, che saranno da monitorare almeno fino all’arrivo della primavera.
Anche la disponibilità di vento, e dunque di produzione rinnovabile, è un tema di questo primo trimestre. Infatti, proprio fra gennaio e marzo, tendenzialmente, la produzione eolica raggiunge il picco stagionale, in particolar modo in Germania. Qualora questa fosse in linea con le aspettative, potrebbe parzialmente sopperire alla scarsità di energia nucleare prevista in Francia, ma qualora non lo fosse, ovviamente, comporterebbe ulteriori tensioni sui prezzi spot dell’energia elettrica.
In generale, sia il sistema gas che il sistema elettrico europei presentano una riserva di flessibilità ed una capacità di adattamento alle contingenze molto più limitata rispetto all’anno scorso e il fattore meteo, nel caso in cui si presentino temperature particolarmente rigide, potrebbe portare ad un ulteriore salita dei prezzi futures, già apprezzatisi nell’ultimo trimestre proprio di riflesso al potenziale rischio insistente sulla seconda parte dell’inverno. Attenzione dunque al termometro e buon anno!
Il mese di dicembre ha visto un fermo recupero dei prezzi delle commodities e del mercato elettrico europeo, sostenuto dal rialzo di CO2, carbone e gas. Le quotazioni del Cal21...
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Il mese di dicembre ha visto un fermo recupero dei prezzi delle commodities e del mercato elettrico europeo, sostenuto dal rialzo di CO2, carbone e gas. Le quotazioni del Cal21 PSV sono passate da un valore medio a novembre di poco superiore a 14 €/MWh a un consuntivo prossimo a 16 €/MWh a dicembre, guadagnando quindi più del 10% su base mensile, mentre il prezzo elettrico forward Cal21 BL da una media per novembre di poco superiore a 47.5 €/MWh si è portato in prossimità dei 54 €/MWh in media a dicembre. Il gas europeo e, a cascata, quello italiano hanno beneficiato del forte recupero del mercato mondiale del GNL. Problemi in diversi siti di produzione e ritardi nei trasporti legati a congestioni nel canale di Panama e al conseguente cambiamento delle rotte dagli Stati Uniti verso l’Asia (via capo di Buona Speranza e canale di Suez) si sono combinati con la ripresa della domanda asiatica (grazie al fermo recupero dell’economia cinese, a previsioni di temperature inferiori alla norma e all’annuncio di una massiccia riduzione dell’uso del carbone per produzione termoelettrica in Sud Corea). Il rialzo dei prezzi forward gas, unito a quello del carbone e della CO2, si è riverberato sui prezzi forward elettrici.
Come avrai capito dal titolo questo articolo cerca di fare chiarezza sul gap tra i costi dell’energia verde e quelli dell’energia nera. Attribuire un colore, serve a rendere...
Leggi di più >Come avrai capito dal titolo questo articolo cerca di fare chiarezza sul gap tra i costi dell’energia verde e quelli dell’energia nera. Attribuire un colore, serve a rendere chiara la differenza della provenienza dell’energia.
Non a voler qualificare l’energia verde come positiva e quella nera come negativa. Per il momento sono necessarie entrambe, anche se come sappiamo è importante che una transizione energetica avvenga in tempi brevi. Ma cosa ostacola il passaggio all’energia green? E soprattutto perché costa di più dell’energia proveniente da fonti non rinnovabili?
L’energia verde è quella che proviene da Fonti Energetiche Rinnovabili dette anche FER (fotovoltaico, eolico, solare, etc.) mentre definiamo energia nera, quella che rilascia Co2 (fonti fossili, gas, petrolio, nucleare, etc.). Come abbiamo detto nel precedente articolo: “Greenwashing: come capire se un fornitore è realmente green?” lo storico gap tra il costo dell’energia verde e quello dell’energia nera sta diminuendo anno dopo anno.
I dati dello studio di Greenpeace mostrano che tra il 2009 e il 2015 i costi di produzione dell’eolico sono scesi dell’80%, mentre per il solare la diminuzione è stata del 40% su base mondiale.
Inoltre, prendendo in considerazione i dati Terna, il gestore della rete elettrica nazionale, il 36% dei consumi di energia elettrica di settembre 2020 derivano da rinnovabile.
Un dato che mostra una domanda in crescita, anche se non vertiginosa, tenendo conto che lo scorso anno nello stesso periodo ci si aggirava attorno al 33%.
C’è da riconoscere il merito dello sforzo fatto fino ad ora, sia per quanto riguarda imprese che consumatori, nel porre sempre più maggiore attenzione alla provenienza delle fonti di energia.
Ma un ruolo fondamentale lo hanno giocato anche le istituzioni politiche e le varie associazioni, sia nazionali che europee, nel cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di seguire una roadmap comune per poter realizzare la transazione energetica.
L’anno scorso, il costo dell’energia generata dal sole in tutto il mondo è sceso del 17%, per quanto riguarda l’eolica onshore i costi sono diminuiti del 18%, e i costi dell’energia eolica offshore sono diminuiti del 28%. Questi sono alcuni dati citati nello studio della Finnish Lappeenranta University of Technology, commissionato da Greenpeace.
“Non ci possono essere più scuse”, ammonisce Tobias Austrup, energy expert per Greenpeace, “la protezione del clima ha sempre più senso dal punto di vista economico, in tutti i paesi del G20, poiché l’energia rinnovabile diventa più economica del carbone sporco e del nucleare”.
Sapendo che i costi dell’energia green stanno calando e che i nuovi impianti riescono ad immagazzinare e produrre quantità sempre maggiori di energia, ci si domanda: perché l’energia proveniente da fonti rinnovabili ancora oggi stenta ad essere quella più diffusa sul mercato?
I costi dell’energia pulita sono più alti in confronto alle fonti fossili per ragioni differenti. Una delle principali è l’intermittenza della produzione. La forza del vento o il calore del sole non sono costanti, nel senso che non offrono un apporto identico di energia durante tutto l’arco dell’anno.
Motivo per cui la produzione di energia green non può essere programmabile perché strettamente dipendente dalle condizioni metereologiche.
Quindi, per poter immagazzinare la componente energetica, gli impianti necessitano di batterie e sistemi di backup, che consentono di accumulare l’energia prodotta. Però questi impianti hanno un costo molto elevato, che si va ad aggiungere alle spese necessarie per l’adeguamento del sistema elettrico e ai costi di trasporto di energia green.
Oltre a questi elementi, ad incidere sul prezzo finale, c’è anche la minore densità prodotta dalle fonti rinnovabili. Difatti le fonti non rinnovabili hanno una densità energetica centinaia di volte superiore rispetto alle fonti rinnovabili. Ciò significa che per stoccare l’energia verde, occorrono impianti più spaziosi. Un fattore che necessariamente incide anche sul costo finale.
Come abbiamo visto, ci sono dei fattori che ad oggi pesano sul prezzo dell’energia green, anche se i costi stanno decrescendo.
Ci si domanda a questo punto, quali potranno essere i tempi necessari perché avvenga una transizione energetica? Proprio su questo quesito si formano due fronti: uno ottimista e uno più pessimista. Secondo lo studio The power to change: Solar and Wind Cost Reduction Potential to 2025 condotto da IRENA (Agenzia internazionale per le energie rinnovabili):
la “riduzione dei costi sarà guidata dalle crescenti economie di scala, da supply chain sempre più competitive e da una serie di miglioramenti tecnologici che consentiranno un aumento della capacità e una riduzione dei costi di installazione.”
Nello studio sono presenti alcune previsioni riguardo i costi dell’energia green: entro il 2025 potranno diminuire i costi per l’eolico a terra del 26% e del 35% per l’eolico in mare (offshore), del 43% per il solare a concentrazione e del 59% per il fotovoltaico. Il costo medio globale dell’elettricità da fotovoltaico ed eolico onshore, si legge, nel 2025 sarà di 5-6 centesimi di dollaro per chilowattora.
“In anni recenti abbiamo già visto riduzioni drammatiche dei costi di solare ed eolico”,
Afferma il direttore generale di Irena, Adnan Z. Amin.
“Questo rapporto mostra che i prezzi continueranno a scendere, grazie a diversi driver tecnologici e di mercato. Solare ed eolico sono già le fonti più economiche per nuove installazioni in molti mercati mondiali; l’ulteriore riduzione dei costi amplierà questo trend e spingerà il passaggio dalle fonti fossili alle rinnovabili”
Secondo Amin, i prezzi non costituiscono più una “barriera” alla svolta verso le energie green.
Ciò nonostante, ci sono altre voci che si distaccano dal coro, come scritto da Raffaele Perfetto in un articolo pubblicato sul Sole24ore:
“Sembra che il mondo si divida tra chi vuole la transizione come una rivoluzione e chi preferisce un’evoluzione.”
L’articolo pone l’attenzione sullo studio dell’Oxford Institute for Energy Studies, in cui viene spiegato perché le sole energie rinnovabili non possono rappresentare l’unica soluzione:
“Nel 2018 il vento e il solare hanno prodotto 1.850 TWh (Terawatt all’ora). “I loro tassi di crescita annua della capacità erano di circa 270 TWh all’anno: ci sarebbero voluti più di 180 anni per arrivare a 50.000 TWh all’anno, equivalenti a circa il 50% del mercato energetico del 2050 (100.000 TWH / anno).”
Il rapporto dimostra che anche se il tasso di investimento triplicasse per le energie rinnovabili (a 1 trilione di dollari l’anno), ci vorranno “ancora 55 anni perché l’energia eolica e solare raggiunga il 50% del mix energetico globale.”
Il dibattito resta aperto. Certamente la transizione energetica è necessaria, ed è importante che avvenga il prima possibile. Ma non ci si dimentichi del peso economico che questo cambiamento porta con sé.
Certamente non sarà solo il progresso tecnologico, le politiche nazionali e sovranazionali a fare la differenza sui tempi.
La transazione energetica è una diretta conseguenza anche della maggiore consapevolezza e delle scelte sia degli industriali che dei cittadini.
Da ormai 20 anni è iniziato il percorso dell’Unione Europea verso lo sviluppo e l’incremento del parco di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Ma qual è la...
Leggi di più >Da ormai 20 anni è iniziato il percorso dell’Unione Europea verso lo sviluppo e l’incremento del parco di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Ma qual è la situazione ad oggi e come l’incidenza della produzione rinnovabile ha modificato (e modificherà) le dinamiche della generazione elettrica in Europa?
Guardando ai dati (la cui fonte sono i TSO nazionali) della produzione elettrica del 2019 di alcuni fra i principali paesi europei (Italia – Francia – Germania – Spagna), si possono capire alcuni elementi fondamentali che caratterizzano i diversi mercati e le dinamiche che si riscontrano sui prezzi.
Italia: la fonte prevalente per la produzione elettrica è il gas naturale (oltre il 45%), le rinnovabili e l’idroelettrico producono quasi il 40% dell’energia totale e il carbone ha un ruolo limitato a meno del 10%.
Francia: oltre il 70% è prodotto dal nucleare, rinnovabili e idroelettrico cubano quasi il 20%, mentre il rimanente è prodotto da gas o altri combustibili.
Germania: oltre il 40% è stato prodotto da rinnovabili e idroelettrico, il carbone ha il ruolo di fonte fossile primaria (quasi il 35%), poi nucleare e gas.
Spagna: rinnovabili e idroelettrico coprono quasi il 40% del totale, seguite da gas (oltre il 30%) e nucleare (poco più del 20%), mentre il carbone e altri combustibili hanno un ruolo marginale.
Dai grafici qui sopra possiamo notare come la quota di produzione elettrica da fonti rinnovabili sia rilevante (vicino al 40%) in tutti i Paesi considerati, eccezion fatta per la Francia, dove le politiche nazionali volte a massimizzare i profitti del nucleare non hanno ancora permesso alla quota verde di oltrepassare il 20%.
In un parco di generazione così ricco di fonti rinnovabili non programmabili (in particolare fotovoltaico ed eolico), però, non è possibile ipotizzare, nel breve periodo, una completa dismissione delle centrali a combustibile tradizionale.
A causa della non programmabilità e della frequente oscillazione dell’output rinnovabile, infatti, è necessario affiancare alle rinnovabili delle centrali di produzione programmabili e flessibili, per sopperire alla domanda nei momenti in cui il sole o il vento non fossero disponibili. Proprio per questo motivo, il gas naturale risulta essere la fonte di generazione termoelettrica preferibile, sia per la maggiore flessibilità che offre rispetto ad esempio al carbone, sia per la minor quantità di emissioni prodotte nel processo di combustione.
L’elevata quota di rinnovabili nel mix di generazione, oltre a necessitare di risorse flessibili ad integrazione, ha altri risvolti meno evidenti. Se con gas e carbone l’impatto del fattore meteo è poco rilevante rispetto alla produzione, con le rinnovabili questo assume una importanza cruciale. Sole o nuvole, vento forte o leggero, pioggia o siccità.
Questi elementi diventano più importanti con il progredire della penetrazione delle rinnovabili nel mix di produzione elettrica e per questo motivo il fattore meteo entra ancor più prepotentemente fra gli elementi che determinano i prezzi nel breve termine.
La spinta green dell’Unione Europea ha visto diversi paesi, prima fra tutti la Germania, pianificare una uscita imminente dalla produzione elettrica da carbone/lignite (combustibili particolarmente nocivi dal punto di vista delle emissioni) e l’Italia stessa ha dichiarato il medesimo obiettivo, pianificando la riconversione di alcune grosse centrali a carbone per sfruttare come combustibile il gas naturale.
Gli investimenti in rinnovabili sono stati pianificati e sostenuti nel tempo per poter sopperire in buona parte a questa futura minore produzione da fonti fossili e per consentire la riduzione delle emissioni, in particolare di CO2, in accordo anche agli obiettivi dell’EU al 2030.
Negli ultimi anni gli incentivi alle rinnovabili, dapprima implementati dai governi dei diversi paesi attraverso forme di sostegno dei ricavi della vendita dell’energia prodotta, sono stati sostituiti progressivamente da incentivi indiretti, più concentrati sul disincentivo economico delle fonti fossili più inquinanti (il sostegno ai prezzi della CO2 ne è un esempio). L’obiettivo è la grid parity, ovvero la convenienza economica di investimenti in rinnovabili senza necessità di un supporto governativo per garantirne l’appetibilità e questo traguardo sembra sempre più vicino.
La spinta verso l’energia pulita, però, non è solo un impulso che proviene dalle politiche europee o nazionali, ma sta diventando negli ultimi anni un bisogno espresso da molti consumatori. La maggior sensibilità al tema del futuro sostenibile ha fatto sì che una quota sempre più rilevante di clienti, sia civili che industriali, richieda specificatamente contratti di fornitura con certificazione della provenienza rinnovabile dell’energia.
Chi non ha la possibilità di installare fisicamente pannelli fotovoltaici o pale eoliche per autoprodurre l’energia rinnovabile di cui ha bisogno, infatti, può richiedere al proprio fornitore di acquistare energia prodotta al 100% da fonti rinnovabili, la cui certificazione è costituita dalle garanzie d’origine, ovvero delle “etichette” che assicurano la provenienza dell’energia da uno specifico impianto rinnovabile.
Il futuro appare, dunque, sempre più sospinto verso l’energia pulita, le scelte sostenibili, l’efficienza energetica e l’attenzione all’ambiente. Anche se non potremo fare a meno di tecnologie convenzionali nel breve termine, assisteremo nei prossimi 10-20 anni all’evoluzione del mix energetico, allo sviluppo di sistemi di stoccaggio dell’energia rinnovabile e all’introduzione di nuove tecnologie a minor impatto ambientale come l’idrogeno.
In Italia la chiamiamo “sostenibilità”, ma conviene utilizzare il termine inglese “sustainability” perché esprime un concetto essenziale, una necessità imprescindibile che non ha...
Leggi di più >In Italia la chiamiamo “sostenibilità”, ma conviene utilizzare il termine inglese “sustainability” perché esprime un concetto essenziale, una necessità imprescindibile che non ha confini e di cui si parla in tutto il mondo.
Sulla spinta di un’informazione ormai capillare sul tema, la sensibilità verso le soluzioni più rispettose dell’ambiente si moltiplicano a tutti i livelli. I consumatori preferiscono con sempre maggior frequenza prodotti e marchi green, tenendo in grande considerazione le iniziative di responsabilità sociale delle aziende.
Se parliamo di energia il concetto di sustainability risulta amplificato. Da qualche anno è iniziata una vera e propria “transizione energetica” che porterà, secondo le intenzioni dell’Unione Europea il PNIEC.
Aumentare la quota di energia da fonti rinnovabili, a svantaggio di quella tradizionale da fonti fossili, è ancora solo un’opzione, ma presto diventerà un vero dovere. Conviene portarsi avanti.
Tuttavia, come fare a scegliere, in fase di gara, un’utility o una multiutility con un mix di energia che premi le forti rinnovabili?
Come può un Energy Manager conoscere e comparare le percentuali del mix, averne certezza e sfruttare a vantaggio dell’azienda la scelta fatta?
Quali sono i vantaggi di scegliere un energy green, oltre la comunicazione ? E come la green energy incide sul prezzo della fornitura?
I dubbi sull’argomento, effettivamente, sono tanti. La green energy è un campo relativamente recente anche per chi opera da tanto tempo nel mercato delle materie prime.
Pertanto, di risposte certe se ne trovano poche e tutte avvolte dalla fitta nebbia del “non detto”. Tutte, a parte una: Yem marketplace, il tool digitale di YEM che aiuta gli utenti nella scelta della giusta fornitura, tenendo conto, oggi, anche degli aspetti green.
Le spinte verso le scelte di sustainability arrivano indistintamente dall’alto, delle Istituzioni, e dal basso, dal mercato. Soprattutto ora che il Covid19 ha distrutto la quotidianità, gli obiettivi e le speranze di milioni di persone e aziende nel mondo, come una gigantesca colata di lava.
Ma anche su un suolo apparentemente inerte c’è vita, infatti, poco dopo, le ginestre spuntano sulle pendici dei vulcani. Allo stesso modo, l’Unione Europea intende risorgere attraverso una politica incentrata proprio sull’ambiente: economia circolare e fonti rinnovabili traineranno il nuovo sviluppo finanziario.
Il Green Deal Europeo varato nel novembre 2019 a Bruxelles e il piano di sostengono: l’attuale strategia europea per la ripresa, rispondono al movimento globale ecologista che ha animato i consumatori in tutto il mondo.
Alla luce di questi elementi, perseverare con la scelta di energia esclusivamente da fonti fossili risulta:
-poco lungimirante;
-distante dal mercato e dalle linee guida europee;
-sintomo di una staticità strategica aziendale che fa a botte con il concetto di competitività.
Organizzare una gara green, al contrario, ha un impatto enorme dal punto di vista della comunicazione aziendale. Le fonti rinnovabili producono una materia prima un po’ più costosa, in verità, ma assumersi la responsabilità sociale e farlo sapere al proprio pubblico migliora la propria brand reputation. Il bilancio economico rimane comunque positivo.
In estrema sintesi, organizzare una gara green può portare a grandi vantaggi!
Fatta la scelta di orientarsi su un fornitore green, l’Energy Manager può trovare la risposta ai suoi numerosi dubbi e/o difficoltà (elencati nel primo paragrafo) affidandosi alla piattaforma digitale YEM.
Capace di gestire in pochi click una gara per un contratto realmente su misura, il tool YEM marketplace da gennaio si tinge di verde.
Trovare un fornitore affidabile e solido nella giungla degli oltre 500 operatori attivi in Italia è impresa ardua senza il supporto del digitale; a maggior ragione lo è se si cerca anche un fornitore con “orientamento green dimostrabile”. Chi garantisce all’Energy Manager la veridicità delle affermazioni del fornitore?
E se dichiarare l’approvvigionamento di materia prima da fonti rinnovabili fosse solo un richiamo per allodole? Ebbene, YEM risolve il dilemma attraverso la nuova funzionalità dello strumento: la classifica dei fornitori green.
Grazie a YEM marketplace diventa semplice confrontare i fornitori green e le loro percentuali di fuel mix. Ma non solo. Infatti, è anche possibile vedere se negli ultimi anni il fornitore ha aumentato la percentuale green, premiando una reale policy green dei fornitori.
La soluzione YEM Marketplace, già di per sé unica sul mercato, si rivela ancora più completa ed efficiente, grazie al suo orientamento sui bisogni dei propri utenti e sulla sustainability.
Che cosa è il greenwashing? Per greenwashing si intende ecologismo di facciata, ovvero: "costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto...
Leggi di più >Per greenwashing si intende ecologismo di facciata, ovvero: "costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale."
Il termine deriva da un neologismo inglese e sta ad indicare un fenomeno che riguarda imprese, organizzazioni ed anche enti pubblici. Chiunque si dica ecosostenibile per ottenere maggior profitto, nascondendo la realtà dei fatti: ovvero che la propria attività possa compromettere l'ambiente.
L’attuale obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra fissato dall’UE per il 2030 è del 60% rispetto ai livelli registrati nel 1990.
Da quando la salvaguardia dell’ambiente è diventata una priorità sulle agende globali, sia consumatori che imprese hanno iniziato a domandarsi: quanto inquinanti siano i prodotti messi in commercio?
Questo è accaduto anche per quanto riguarda il mondo dell’energia. Oggi è una rarità navigare sul Web, imbattersi in pubblicità o siti web di fornitori di energia, senza trovare nessun riferimento all’energia ecosostenibile, la "green power". Ma dietro la strategia di mostrare “il pollice verde più grande che ci sia”, cosa si nasconde?
Ad oggi il vero problema sta nella difficoltà di comprendere quanto grande sia la portata del fenomeno. Nel caso dei fornitori di energia, esiste la possibilità di acquisire delle certificazioni che attestino la provenienza del prodotto erogato, come la Garanzia d’origine (o Go) rilasciata dal GSE, il Gestore Servizi energetici. Quest’ultima nasce con lo scopo di incentivare la produzione di energia proveniente da fonti rinnovabili.
Ma nella realtà dei fatti, la direttiva 2009/28/CE consente ai fornitori di proporre anche offerte di energia non provenienti da fonti rinnovabili, oppure offerte di energia che sono green solo in minima percentuale. Infatti sono tanti i casi in cui i fornitori sfruttano questi certificati per “ripulire” volumi di energia erogata da fonti fossili.
Il gap tra il costo dell'energia verde e quella proveniente da fonti non rinnovabili sta diminuendo, come riportato nello studio di Greenpeace. Basta pensare che tra il 2009 e il 2015 i costi di produzione dell’eolico sono scesi dell’80%, mentre per il solare la diminuzione si è attestata al 40% su base mondiale.
Eppure l'energia "nera", quella che rilascia emissioni di Co2, viene ancora molto venduta. Il motivo è semplice: per produrla occorrono minori investimenti in tecnologia e processi, di conseguenza ha un costo di mercato inferiore. Però un costo di cui bisogna considerare anche le esternalità negative: l'energia nera è nociva per il pianeta terra.
Quindi la sola garanzia di origine spesso è come un lascia passare per la vendita di energia “nera” confusa per “proveniente da fonti rinnovabili”. Questo a discapito degli sforzi compiuti in Italia negli ultimi anni. Secondo il più recente rapporto fornito dal GSE sulle fonti rinnovabili in Italia e in Europa del 2018, il 17% di energia consumata nel nostro Paese, proviene da fonti di energia rinnovabili dette FER. Un risultato poco distante dalla media UE: intorno al 18%.
Ma ciò non è ancora sufficiente, per realizzare davvero “Il Green new deal”, ovvero la tabella di marcia che dovrebbe portare l'Europa a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Per perseguire questo risultato saranno necessari maggiore trasparenza da parte dei fornitori riguardo le offerte Green e maggiore attenzione da parte degli industriali nel seguire politiche aziendali ecosostenibili.
Un modo esiste, come previsto dal GSE: i fornitori di energia sono tenuti a rendere pubblici i dati relativi ai “Fuel mix”. Cioè sui volumi di energia venduti, quanti di questi in percentuale sono provenienti da fonti rinnovabili e quanti no.
Queste informazioni sono presenti nella fatturazione e sui portali Web dei fornitori, anche se bene camuffate.
Accertarsi di questo dato, consente agli industriali di sapere se il fornitore a cui ci si rivolge è realmente green e in quanta percentuale l’energia acquistata proviene da fonti rinnovabili.
Una soluzione viene dal digitale: oggi per chi si occupa di energy management è possibile affidarsi a strumenti che permettono di visionare e confrontare i Fuel mix (e anche l'evoluzione di essi) di ogni fornitore, così diventa più semplice non cadere nel tranello di chi è green, ma solo a parole.
Cercare una nuova fornitura di gas ed energia elettrica non può prescindere dall’impatto che il Covid19 ha sul business e sulla percezione profonda della vita da parte di ogni...
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Cercare una nuova fornitura di gas ed energia elettrica non può prescindere dall’impatto che il Covid19 ha sul business e sulla percezione profonda della vita da parte di ogni singolo individuo.
I due ambiti potrebbero sembrare lontani anni luce l’uno dall’altro, se non fosse per l’ovvia realtà che oggi molte aziende hanno una minore disponibilità economica a causa della pandemia, dunque devono tentare di risparmiare su tutto, anche sulle scelte energetiche.
La necessità di tagliare i costi però non è una novità, mentre altri aspetti del tutto nuovi, dovrebbero allertare ogni attento energy manager e spingerlo verso valutazioni molto più contemporanee e lungimiranti.
In particolare, le attuali scelte energetiche devono tenere conto:
• delle difficoltà finanziarie e dei probabili fallimenti di tanti player del settore energia a causa del Covid-19;
• delle probabili e grandi opportunità date dalla fluttuazione dei prezzi delle materie prime;
• della tendenza/necessità di green energy;
• del digitale, che ha cambiato il modo di relazionarsi con il mondo e di lavorare.
Queste quattro circostanze sono divenute veri e propri driver nelle scelte energetiche aziendali: tenerne conto contribuisce a raggiungere il massimo livello di risparmio sulle forniture. Vediamo perché.
Il prossimo primo gennaio 2021 le aziende di medie e piccole dimensioni dovranno passare necessariamente al libero mercato energetico. Ad attendere la data con interesse vi sono 723 fornitori che operano sul mercato italiano. Un vero esercito di player che cresce da anni, in vista di questa scadenza, tra i quali vi sono anche veri campioni di pratiche scorrette e truffaldine.
Il tema è sotto la lente delle istituzioni, anche perché l’elenco dei venditori previsto per legge (EVE) non è mai stato pubblicato (fonte Senato.it).
Tra le fila degli operatori, inoltre, ve ne sono di solidi e strutturati, ma anche di fragili e potenzialmente fallimentari. Si tratta di aziende che non sono in grado di assicurare un buon livello di servizi né la propria solidità finanziaria, e che per vendere energia puntano solo sul prezzo.
Il Covid, che ha colpito duramente tutte le aziende, non può che aver ulteriormente messo in difficoltà questi player, ai quali non è davvero il caso di affidarsi.
Le crisi amplificano le fluttuazioni di prezzo delle materie prime. Durante il primo lockdown i prezzi dell’energia elettrica e del gas sono precipitati, a causa della flessione inaspettata della domanda. Le aziende che in quel periodo hanno contrattualizzato una fornitura per gli anni futuri si sono assicurati materia energetica a prezzi molto bassi.
Il Covid ha cambiato radicalmente l’economia e ha messo tutti di fronte al concetto di imprevisto. Sono tante le ragioni che possono far fluttuare i prezzi del gas e dell’energia elettrica: vale la pena cogliere le opportunità di risparmio quando si presentano.
Green energy, fonti rinnovabili, sostenibilità, decarbonizzazione, economia circolare…questi sono i concetti sui quali si fonda la strategia di ripresa economica a livello europeo.
L’incalcolabile danno provocato dalla pandemia ha acceso il faro sulle problematiche ambientali e oggi nessuna azienda può permettersi di rimanere insensibile al tema. Dal punto di vista delle scelte energetiche, ciò equivale a preferire i fornitori di energia elettrica che spingono maggiormente verso fonti energetiche più green.
Contribuire anzitempo al raggiungimento degli obiettivi europei di decarbonizzazione (fonti EC.Europa.eu, Parlamento Europeo ) è un impegno che si traduce facilmente in maggiori guadagni: i consumatori, infatti, gradiscono molto le assunzioni di responsabilità sociale e orientano di conseguenza le proprie scelte d’acquisto.
Guardando all’Italia intera, l’alfabetizzazione digitale è indiscutibilmente aumentata e il “digital divide” si sta riducendo. Anche queste sono conseguenze inaspettate del Covid.
Il massiccio ricorso allo smart working e alla didattica a distanza hanno sdoganato l’uso del digitale in ogni circostanza.
Anche l’Energy manager può avvantaggiarsi attraverso l’utilizzo di una piattaforma digitale che consenta:
- di scegliere il giusto fornitore in pochi click, scongiurando il pericolo di incappare in scelte fallimentari e/o pericolose;
- di gestire un contratto a prezzo variabile, senza dover ricorrere a un consulente esterno.
Il Coronavirus ha provocato un disastro dal punto di vista sanitario ed economico, ma sta creando una nuova normalità fatta di occasioni da cogliere e ambiti di business da esplorare. Per le scelte energetiche servirà una visione ancora più ampia e un buon supporto digitale che ne semplifichi l’interpretazione.
Dopo i minimi marcati a inizio mese sia dal mercato future gas che elettrico, le quotazioni del Cal21 PSV hanno avuto un andamento sostanzialmente laterale, con il recupero degli...
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Dopo i minimi marcati a inizio mese sia dal mercato future gas che elettrico, le quotazioni del Cal21 PSV hanno avuto un andamento sostanzialmente laterale, con il recupero degli ultimi giorni che porta ad un bilancio per il mese modestamente positivo (+3% da fine ottobre). Il Cal21 Power Italia ha messo a segno un recupero del 8% leggermente più significativo del PSV, aiutato dal fermo recupero della CO2. I mercati finanziari, a cui la CO2 è strettamente correlata, hanno infatti iniziato a scontare un ritorno alla normalità e una conseguente ripresa della domanda in tempi più brevi di quanto precedentemente atteso, dopo gli ottimistici annunci di Pfizer e Moderna sul vaccino. Sul mercato gas, più legato a dinamiche fisiche soprattutto nei mesi invernali, hanno invece pesato, limitando lo spazio al rialzo, la riduzione della tensione sull’offerta in Europa, grazie alla normalizzazione dei flussi dalla Norvegia e all’incremento degli arrivi di GNL (+40% rispetto a ottobre), oltre a temperature superiori alla media stagionale e livelli delle scorte ancora in prossimità dei massimi.
Se il 2020 è stato un anno sotto molti (troppi) aspetti turbolento, il 2021, almeno per quanto riguarda il mercato della CO2 e, a cascata, quelli di power e gas europei, sembra...
Leggi di più >Se il 2020 è stato un anno sotto molti (troppi) aspetti turbolento, il 2021, almeno per quanto riguarda il mercato della CO2 e, a cascata, quelli di power e gas europei, sembra prospettarsi altrettanto impegnativo.
Dopo la proposta della presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen che durante l’estate ha spinto l’ormai noto Green Deal per l’innalzamento dei target di riduzione delle emissioni al 2030, nel mese di ottobre il Parlamento Europeo ha iniziato l’iter burocratico di votazioni, modifiche e approvazioni che dovrebbe portare entro il 2030 il target di riduzione delle emissioni di gas serra (inclusa quindi la CO2) dall’attuale 40% al 60% rispetto ai valori del 1990.
Ancora non è stata ratificata la legge europea di approvazione di questo nuovo target, ma tutto sembra indicare che il -60% sia l’obiettivo generalmente condiviso dai Paesi Europei, con l’eccezione di Polonia e Slovacchia, i quali hanno richiesto alcune modifiche al testo originale.
Se questo target dovesse essere definitivamente approvato, i Paesi Europei dovranno fare sforzi importanti per diminuire le emissioni, non escludendo anche l’introduzione di un prezzo minimo per la CO2 che sia, da un lato, sufficientemente alto da spingere i soggetti emittenti a compiere investimenti, ma, dall’altro, che non spinga le industrie europee verso la delocalizzazione in Paesi extra EU.
Inoltre, la riduzione di emissioni verrà probabilmente estesa anche a settori che ad oggi non sono soggetti, come i trasporti marittimi e terrestri (i trasporti aerei sono già soggetti all’obbligo).
Se la Legge Europea sul clima porterà degli effetti di mercato nel medio-lungo termine, non escludendo rialzi psicologici e speculativi nel breve termine, di più immediato impatto sono il tema Brexit e la fase 4 del sistema ETS.
Sono ancora in una zona grigia molti aspetti legati alla Brexit, fra cui anche le modalità di gestione delle emissioni di UK che al 31/12/2020 uscirà definitivamente dal sistema ETS europeo.
Nonostante le dichiarate intenzioni dei britannici di voler costituire un sistema ETS UK allineato con quello europeo, ancora è incerta la situazione che si verificherà a partire dal 1° gennaio. Se UK non fosse pronta per avviare il proprio mercato ETS, armonizzandolo con quello europeo, potrebbe essere introdotta una carbon tax che porterebbe con sé un forte disallineamento dei prezzi fra UK e continente.
È di questi giorni la notizia che la Commissione Europea ha pubblicato le quote di emissioni che verranno sottratte dal mercato ETS europeo (come riserva del meccanismo MSR) nel 2021, includendo nei calcoli fatti per la valutazione della riserva anche il nuovo assetto del sistema senza UK. In ogni caso si attende una decisione da parte di UK riguardo l’armonizzazione dei due sistemi per valutarne le conseguenze sul sistema europeo.
Da gennaio, inoltre, si entra nella cosiddetta FASE 4 del sistema ETS europeo, la quale prevede, fra le altre cose, l’incremento del fattore lineare di riduzione (FLR) dall’1,74% al 2,2%. In altre parole, si abbassa il tetto delle emissioni “accettabili”, nell’ottica di raggiungimento dei target europei al 2030.
Questa riduzione, decisa anni fa, era calibrata per arrivare al 2030 con una riduzione del 40% di emissioni rispetto al 1990, ma potrebbe essere soggetta ad una ulteriore modifica al rialzo, se venisse ratificato dell’EU l’accordo sul clima con il target al 60%.
Nella fase 4, inoltre, diminuiranno le quote di emissione assegnate a titolo gratuito ai soggetti industriali europei, andando a diminuire il numero di soggetti che ne potranno usufruire e obbligando, di fatto, le realtà che ne saranno escluse ad acquistare una parte consistente delle proprie quote di emissione a prezzi di mercato. Anche questo fattore potrebbe portare ad un aumento di domanda con conseguente impatto rialzista sui prezzi.
Infine, nel 2021 è prevista una revisione del sistema di Market Stability Reserve, ovvero del sistema di sottrazione di quote di emissione dal mercato per diminuire l’offerta e spingere i soggetti obbligati ad investire in opere di riduzione delle emissioni. È possibile che per allinearsi alla legge sul clima europea, l’MSR debba aumentare le quote da sottrarre di anno in anno, provocando ulteriore diminuzione di titoli disponibili.
La CO2 è uno degli elementi che maggiormente influenza il prezzo dell’energia elettrica e un driver importante anche in relazione al gas naturale.
A seguito degli sviluppi relativi alle tematiche sopracitate, nel 2021 potremmo assistere a sviluppi regolatori/politici di forte impatto sul mercato della CO2 e di conseguenza anche sul mercato di gas e power.
L’alta volatilità nei periodi rilevanti rispetto alle date chiave farà da contraltare ad un clima di generale attesa rialzista sui mercati. L’incognita coronavirus rende il quadro suscettibile di ulteriori incertezze, soprattutto sul lato della domanda di titoli, ma potrebbe rimanere una parentesi temporale limitata rispetto allo sviluppo dei temi regolatori di più lungo termine.
Gas Naturale liquefatto: Come abbiamo detto nell’articolo “Gas: quali sono i 3 fattori principali che incidono sul prezzo?”, del gas annualmente immesso nel sistema europeo più...
Leggi di più >Come abbiamo detto nell’articolo “Gas: quali sono i 3 fattori principali che incidono sul prezzo?”, del gas annualmente immesso nel sistema europeo più dell’80% è gas importato dall’estero, in parte via tubo dai paesi adiacenti (Russia, Norvegia e Nord Africa) e in parte via nave da paesi esportatori anche abbastanza lontani dall’Europa (come Qatar, USA e Nigeria).
Poiché gli ultimi anni hanno visto un incremento importante dei carichi di LNG diretti verso le coste europee, fino a pesare più del 20% del totale del gas importato, è importante comprendere i risvolti che l’approvvigionamento del gas naturale liquefatto porta con sé.
Innanzitutto, la peculiarità dell’LNG (o GNL) è la sua dimensione globale. Non si tratta più infatti di gas proveniente da paesi limitrofi, confinanti o collegati da tubo, ma di gas che viene esportato da paesi spesso geograficamente distanti.
Ciò che guida i flussi di LNG non è dunque la prossimità o il fatto di aver investito in gasdotti per garantire flussi decennali di gas, come è tipico del gas importato tradizionalmente via pipeline, ma la convenienza economica.
Se il prezzo del gas che viene pagato in Europa è sufficientemente alto da coprire il costo della materia prima, le fee di liquefazione e rigassificazione e i costi del trasporto via nave (tendenzialmente sia l’andata che il ritorno), l’LNG viene venduto in Europa. Viene dunque liquefatto nel paese esportatore, caricato su una nave metaniera che lo mantiene a pressione costante e ad una temperatura inferiore ai -160°C e trasportato a destinazione, dove verrà immesso in un impianto di rigassificazione e successivamente immesso nelle reti di trasporto europee.
Una seconda caratteristica importante dell’LNG è la sua flessibilità, sia come fonte di approvvigionamento addizionale nel momento in cui è necessario immettere maggiori quantità di gas nel sistema europeo, sia come varietà delle fonti e delle tratte di provenienza geografica.
Infatti, il gas trasportato via nave può aggirare aree di tensioni geopolitiche, assicurando così l’approvvigionamento nonostante guerre o inasprimenti di conflitti di lunga data, diversamente dal gas importato tradizionalmente via pipeline (sono negli annali le tensioni fra Russia e Ucraina che hanno spesso comportato ripercussioni sugli approvvigionamenti di gas europei provenienti da quell’area).
Altrettanto importante è l’impatto dell’LNG sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento e, dunque, sulla riduzione dalla storica dipendenza dell’Europa dal gas russo.
L’industria dell’LNG ha visto un exploit negli ultimi anni, non solo in Europa, come abbiamo appena detto, ma anche a livello globale. Notevoli sono stati gli sforzi, sia da parte dei paesi produttori, che hanno investito molto in impianti di liquefazione e hanno così trovato nuovi sbocchi per vendere il proprio gas, sia da parte dei paesi importatori che hanno intrapreso una massiccia opera di costruzione di infrastrutture aumentando la capacità di rigassificazione un po' su tutte le coste.
Questa nuova dimensione globale del mercato del gas, oltre agli evidenti vantaggi, porta con sé anche delle implicazioni di carattere economico e politico. Nel momento in cui la domanda di gas di un’area del globo fosse così alta da far aumentare i prezzi locali, i carichi di LNG verrebbero dirottati su quell’area, garantendo ritorni maggiori, a scapito dell’approvvigionamento di altri mercati più economici e dunque meno redditizi.
È questo spesso ciò che si verifica in alcuni periodi dell’anno e che vede coinvolte l’area asiatica (Cina, Giappone e Corea del Sud) e l’Europa. È capitato (ad esempio nell’estate del 2018), e capiterà ancora, che la domanda asiatica fosse così alta da attrarre numerosi carichi originariamente destinati al mercato europeo, drenando gas addirittura già immesso nel sistema europeo e provocando una carenza di offerta e un conseguente rialzo dei prezzi locali.
Inoltre, in un mercato più globale, anche elementi di origine geopolitica o macroeconomica lontani dai nostri confini riescono a filtrare ed avere risvolti sui prezzi del gas europeo. Se, ad esempio, si dovesse verificare un evento imprevisto che coinvolge un paese esportatore o una traiettoria di passaggio per le navi di gas, questo potrebbe provocare un impatto sui prezzi europei. Un esempio di questa dinamica è abbastanza recente, si parla del 2019, quando è stata attaccata una petroliera nello stretto di Hormuz, rotta principale delle navi di LNG che dal Qatar navigano verso i porti europei.
L’impatto dell’LNG sui mercati gas europei è dunque sempre maggiore e gli investimenti in questo ambito sono stati ingenti, fino a poco tempo fa. L’unica incognita nell’evoluzione futura dell’LNG rimane la scarsità di nuovi investimenti a causa di un’annata 2020 ricca di incognite.
Quest’anno, infatti, con l’epidemia di Covid e i prezzi del gas generalmente molto bassi, l’attrattività di nuovi investimenti è stata frenata da prospettive di ritorno più lunghe, provocando una battuta di arresto nello sviluppo di nuove infrastrutture (si parla di impianti previsti o prevedibili per i prossimi 5-10 anni).
Solo un rialzo sostanziale e sano dei prezzi e, in generale, una ripresa dell’economia convinta potrà ridare una spinta ulteriore agli investimenti per i prossimi anni.
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Questa serie di white paper si propone di aiutarvi a comprendere: le basi del mercato dell'energia, i prezzi dell'energia e la gestione dei vostri contratti energetici B2B, per...
Leggi di più >Questa serie di white paper si propone di aiutarvi a comprendere: le basi del mercato dell'energia, i prezzi dell'energia e la gestione dei vostri contratti energetici B2B, per permettervi di ottimizzare i vostri costi energetici.
Negli ultimi mesi del 2021 abbiamo assistito a un rally dei prezzi del gas e dell’energia elettrica senza precedenti e sebbene i prezzi da gennaio a oggi siano lontani dal picco...
Leggi di più >Negli ultimi mesi del 2021 abbiamo assistito a un rally dei prezzi del gas e dell’energia elettrica senza precedenti e sebbene i prezzi da gennaio a oggi siano lontani dal picco di fine dicembre, il valore assoluto rimane piuttosto elevato.
Insieme ai prezzi, anche la volatilità è aumentata nel corso dell’anno scorso e, se a inizio anno si potevano avere oscillazioni di 1, 2, massimo 3 €/MWh al giorno, alla fine 2021 i 10, i 20 o addirittura i 30 €/MWh di differenza fra un giorno e l’altro erano oscillazioni considerate quasi normali.
L’intera filiera del gas e dell’energia elettrica ha subito l’impatto di queste dinamiche, che hanno avuto conseguenze importanti a tutti i livelli e i cui strascichi hanno probabilmente cambiato l’assetto di un intero settore.
Per quanto riguarda il settore della vendita di energia e gas, sia i fornitori che i clienti hanno dovuto affrontare delle conseguenze di quanto successo sui mercati all’ingrosso.
Risulta dunque estremamente critica la gestione di un portafoglio di vendita in condizioni di mercato come quelle viste negli ultimi mesi. Il problema non sono i margini, ovvero i guadagni dati dall’attività di vendita, ma la sostenibilità in termini di cassa, finanza e rischi che devono sopportare i fornitori per poter svolgere l’attività.
i fixing basate su prezzi storici confrontano i prezzi futures in quel momento con quelli di periodi simili in altri momenti. Anche con l'incertezza vissuta nello scorso periodo, il tool è in grado di determinare che i prezzi stanno aumentando e, anche se non sono prezzi bassi (dato che la situazione era quella che era), l'opzione migliore era comunque quella di eseguire fixing per mitigare l'impatto della volatilità che sarebbe arrivata. Queste raccomandazioni arrivano proprio nel momento peggiore, da maggio 2021 e per tutto l'anno rimanente.
Sia per i fornitori che per i clienti l’aumento dei prezzi e della volatilità ha provocato criticità delle quali ancora non è ancora del tutto espresso l’effetto.
Per il 2022, è possibile aspettarsi alcune conseguenze di questa situazione, prima fra tutti la diminuzione del numero di operatori attivi nella vendita di energia elettrica e gas. Diverse società, sia in Italia che in Europa, hanno dovuto tirare i remi in barca e sospendere l’attività a causa delle difficoltà finanziarie ed è probabile che il numero degli operatori costretti a ritirarsi possa aumentare nel corso di quest’anno.
D’altra parte, l’alta volatilità che dovrebbe caratterizzare i mercati ancora per diverso tempo potrebbe offrire non solo criticità, ma anche occasioni di ottimizzazione, a prescindere dal trend dei prezzi che si verificherà nel corso dell’anno.
E’ probabile che dopo un 2021 così estremo, un maggior numero di clienti industriali sarà interessato alla gestione attiva della propria fornitura (prezzo variabile con fixing), che si è dimostrata una formula flessibile e capace di ottimizzare i costi, se correttamente impostata. Poter approfittare di un mercato al ribasso ma avere la possibilità di tutelarsi in caso di rialzi, risulta un modello utile per affrontare i mercati energetici sempre più volatili.
Questo, unito alla diffusa attenzione anche mediatica suscitata dall’escalation dei prezzi degli ultimi mesi, creerà un generale aumento della curiosità e della necessità di informazioni sulle dinamiche dei mercati. Non sarà più solo il prezzo, probabilmente, a convincere i clienti, ma la capacità di offrire un supporto strutturato alle scelte, fornendo le informazioni rilevanti e la competenza sui mercati energetici che consentano ai clienti di gestire al meglio la propria fornitura in tutte le situazioni di mercato.
Insomma, il rally dei mercati del 2021 avrà un impatto notevole anche per il prossimo futuro.
E’ ormai fatto noto che ci sia una vera e propria crisi energetica in atto. I prezzi del gas e dell’elettricità hanno concluso un primo trimestre record, in continuità con i...
Leggi di più >E’ ormai fatto noto che ci sia una vera e propria crisi energetica in atto. I prezzi del gas e dell’elettricità hanno concluso un primo trimestre record, in continuità con i pesanti aumenti avvenuti a fine 2021. Basti pensare che il PUN (Prezzo Unico Nazionale) ha consolidato un Q1-2022 di poco inferiore ai 250 €/MWh, mentre per il gas naturale PSV i primi tre mesi di consegne spot (Day Ahead) si sono attestati poco sotto ai 100 €/MWh.
Gli effetti di questi aumenti si stanno sentendo pesantemente su tutti i fronti e pesano in particolar modo sui consumatori finali, che si trovano a far fronte a costi energetici sempre più insostenibili. Anche se sono entrate in vigore alcune misure per il contenimento dei costi, come l’azzeramento di alcune voci della fattura energetica (gli oneri generali di sistema) o la riduzione dell’IVA su alcune tipologie di fornitura, con il prezzo della materia prima di 3 o 4 o addirittura 5 volte maggiore rispetto a un anno fa, il costo energetico complessivo è comunque lievitato.
Non solo i clienti finali sono in grave difficoltà, ma nella filiera energetica una posizione piuttosto delicata (per usare un eufemismo) oggi tocca ai fornitori. Le aziende attive nel settore della vendita di energia elettrica e gas naturale si trovano ad affrontare delle difficoltà senza precedenti (come abbiamo detto anche nell’articolo Fornitori e clienti: conseguenze dei prezzi di mercato alle stelle). L’aumento dei prezzi e della volatilità sui mercati all’ingrosso ha comportato, ormai da mesi a questa parte, un aumento dei costi legati all’approvvigionamento e alle coperture del rischio del portafoglio, entrambi elementi strettamente legati al prezzo.
Non solo aumento dei costi, a fronte spesso di margini fissati contrattualmente in periodo pre-crisi, ma anche aumento delle necessità finanziarie e di liquidità legate all’attività di compravendita di energia o gas, anch’esse proporzionali rispetto ai prezzi e alla volatilità dei mercati. Per acquistare gas o energia elettrica, infatti, gli operatori devono fornire garanzie finanziarie o liquidità a copertura dei loro acquisti e nella maggior parte dei casi si tratta di incrementi di garanzie da 5 a 10 volte i valori precedenti.
Per non parlare dello squilibrio di cassa, strutturale e naturale per una società di vendita, che paga l’energia o il gas acquistato (e gli oneri di sistema relativi) con 1-2-3 mesi di anticipo rispetto al momento dell’incasso da parte dei clienti. Con l’aumento dei prezzi e il protrarsi di questa alterazione del mercato, il disallineamento fra entrate ed uscite si è fatto a dir poco difficoltoso, per qualcuno addirittura fatale.
Tutto questo ha danneggiato in modo importante la situazione finanziaria ed economica delle società del settore, alcune delle quali hanno dovuto sospendere l’attività di vendita di energia o gas.
Ma il peggio, probabilmente, deve ancora venire, ovvero il momento in cui sui fornitori peserà a pieno anche l’effetto delle rateizzazioni delle bollette concesse ai consumatori domestici o alle imprese, a cui si andrà a sommare l’aumento della morosità dei clienti di fronte agli aumenti degli ultimi mesi. Le società del settore, aziende fino a sei mesi fa per lo più sane e ben gestite, potrebbero trovarsi impossibilitate a sopportare il protrarsi di queste condizioni di mercato a causa di una situazione finanziaria così difficilmente gestibile.
La gravità della situazione non è passata inosservata e molte sono state le richieste di supporto rivolte dalle associazioni di operatori del settore alle autorità competenti, sia in Italia che all’estero. La difficoltà di accesso alla finanza e alla liquidità in un momento grave e particolare come l’attuale è uno dei nodi dei diversi appelli degli ultimi mesi.
Anche da parte della European Federation of Energy Traders, primaria associazione europea di operatori del settore, è stata sottolineata la necessità di un supporto di emergenza di liquidità e finanza che consenta agli operatori di sopravvivere e ai mercati energetici di continuare a funzionare. Già, perché una ulteriore conseguenza dei prezzi così alti è il crollo della liquidità sui mercati, a causa del fatto che sempre meno operatori hanno la finanza necessaria per negoziare i prodotti della curva forward sui mercati organizzati.
La mancanza di un mercato liquido potrebbe impedire agli operatori di effettuare le operazioni di copertura non solo dei proprio portafogli di vendita ai clienti finali, ma anche del gas importato dall’estero o iniettato in stoccaggio, così come dell’energia elettrica prodotta dalle centrali. Insomma, il crollo della liquidità potrebbe impedire il regolare funzionamento dei mercati energetici e minare alla base l’esistenza di un mercato libero.
Ad essere onesti, è difficile anche per l’EU riuscire ad intervenire con manovre centralizzate che non penalizzino gli sviluppi futuri del settore e il raggiungimento degli obiettivi di lungo periodo in termini di mix energetico e emissioni. La tutela del consumatore finale è una contingenza assolutamente necessaria, ma è necessario anche salvaguardare la salute del settore nel medio/lungo termine.
Ad esempio, modificare la remunerazione degli impianti rinnovabili non incentivati mettendo un tetto massimo al prezzo per l’energia prodotta potrebbe provocare non solo gravi danni economici per le società interessate (che magari non hanno approfittato dell’aumento dei prezzi perché avevano effettuato coperture di lungo periodo a prezzi inferiori), ma anche portare al calo dell’appetito degli investitori del settore e questo, a sua volta, comprometterebbe il percorso di decarbonizzazione stabilito per i prossimi decenni.
Ugualmente, l’introduzione di un massimale al prezzo di gas o energia elettrica o una modifica del meccanismo di formazione dei prezzi spot a livello locale introdurrebbe distorsioni che avrebbero un impatto anche sulla curva forward e che, nel lungo periodo, potrebbero influenzare negativamente l’integrazione fra i mercati europei, così come lo sviluppo di investimenti in produzione rinnovabile o risparmio energetico.
Insomma, sembra sempre più difficile riuscire a salvare, come si suol dire, “capra e cavoli”. Solo una rapida risoluzione della situazione in Ucraina potrebbe, forse, riuscire a riportare i mercati verso una condizione di stabilità ed è piuttosto probabile che un ritorno alla “normalità” non avvenga, in ogni caso, in tempi brevi, né per quanto riguarda il livello dei prezzi, né per lo stato di salute del settore.
Rimani aggiornato con le informazioni sulla gestione dei contratti di fornitura energetica B2B.
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