CO2: cosa sta succedendo?
Uno dei fattori fondamentali che influisce sui prezzi di power e gas è la CO2 . L’abbiamo vista correre fino ai 30 EUR/tonnellata, raggiunti a fine luglio 2019, e l’abbiamo vista...
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Leggi di più >Uno dei fattori fondamentali che influisce sui prezzi di power e gas è la CO2 . L’abbiamo vista correre fino ai 30 EUR/tonnellata, raggiunti a fine luglio 2019, e l’abbiamo vista crollare nuovamente a quasi 15 a metà marzo 2020. E adesso cosa sta succedendo?
Il prezzo della CO2 è strettamente legato al consumo di combustibili fossili, soprattutto nell’ambito della generazione elettrica, poiché nel processo di produzione dell’elettricità da gas, carbone o oli combustibili, si produce CO2 e i produttori hanno l’obbligo di acquistare quote di emissione di CO2 per ripulire la propria produzione. Questo meccanismo durante il lockdown ha sofferto l’improvviso stop delle attività produttive europee, per più di due mesi i maggiori paesi del continente hanno fermato le industrie e i consumi, provocando di conseguenza un forte calo della domanda, e dunque dei prezzi, della CO2.
Con la graduale ripresa e il tanto atteso ritorno alla (quasi) normalità, i consumi stanno ricominciando a crescere, le imprese riaprono e la domanda di energia sta pian piano risalendo. La CO2 però, dopo il crollo fra il 15 e il 18 marzo in cui ha perso oltre 8,5 EUR/ton (passando dai 24 ai 15 EUR/tonnellata, - 37%), ha ricominciato la sua risalita, arrivando in questi giorni a sfiorare di poco i 30, ben al di sopra dei livelli pre-Covid.
Questo ritorno al di sopra dei 24 EUR/tonnellata sembra però esser spinto da fattori che poco hanno a che fare con i fondamentali del mercato, ovvero la domanda reale di quote.
Sebbene il meccanismo MSR (Market Stability Reserve) sia nato proprio per razionare l’offerta di titoli e di conseguenza mantenere alti i prezzi, è difficile credere che la domanda di titoli quest’anno possa giustificare i 28/29 EUR/tonnellata attuali, considerando che il coronavirus, sebbene il lockdown sia terminato, sta ancora influendo molto sulle abitudini di lavoro (lavoro da remoto, smartworking e similari) e consumo degli europei.
Inoltre, è strano pensare che i prezzi della CO2 abbiano ricominciato la loro risalita già da fine marzo, con l’intera Europa in pieno lockdown e il ritorno alla normalità ancora un lontano miraggio.
Alzando lo sguardo dal mondo energy e guardandosi intorno, però, si può notare come la CO2 abbia invece seguito l’andamento di alcuni indici normalmente poco correlati alla CO2, come ad esempio l’equity.
Negli ultimi anni i futures sulla CO2 sono diventati un prodotto molto appetito da banche e fondi di investimento che hanno ingenti capitali da riversare sui mercati finanziari più liquidi (e in questa fase di politiche monetarie espansive i capitali sono ancora maggiori).
Questa massiccia finanziarizzazione della CO2 ha dunque portato, fra i driver del prezzo, anche fattori esterni ai fondamentali (ovvero domanda e offerta delle quote di emissione fisiche). In alcuni periodi, come questo ultimo trimestre, infatti, le dinamiche del prezzo sono state guidate dalle aspettative degli investitori istituzionali più che dagli operatori del settore energy e per questo motivo la correlazione fra diversi indici finanziari e CO2 è aumentata.
Fra i motivi di questa ondata di ottimismo, oltre all’aumento dei capitali disponibili per gli investimenti, ci sono anche le attese degli operatori rispetto ad un inasprimento delle misure di sostegno al prezzo della CO2.
L’ormai noto Green Deal con il quale la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen punta ad innalzare del 40 o 50% i target di riduzione delle emissioni attualmente previsti per il 2030, insieme alla proposta di Francia e Germania di stabilire livello minimo di prezzo per i titoli di emissione (si parla di 25€/tonnellata) e alla revisione dell’MSR prevista per il 2021, hanno spinto gli speculatori ad investire in attesa del concretizzarsi di queste misure ambientali.
E’ evidente dunque che il reale equilibrio fra domanda offerta sia stato messo da parte rispetto alle attese degli speculatori, che hanno anticipato gli effetti delle misure green europee sui prezzi della CO2.
Se per produrre energia elettrica da gas naturale o altre fonti fossili i produttori devono acquistare quote di emissione di CO2, è chiaro che le dinamiche dei prezzi della CO2 abbiano un impatto diretto sui prezzi dell’energia elettrica. Infatti, sia il forte crollo di metà marzo che la continua risalita fino ad oggi delle quotazioni della CO2 sono stati replicati dal power, che si trova oggi ai livelli pre lockdon, nonostante i prezzi del gas siano ancora ben al di sotto di quanto non fossero a fine inverno.
Non è facile dire quale pattern verrà seguito dalla CO2 nei prossimi mesi, ma è chiaro che per il raggiungimento degli obiettivi europei il prezzo delle quote di emissione dovrà essere sufficientemente alto da rendere non profittevole la produzione di energia elettrica da fonti molto inquinanti come il carbone e la lignite.
È possibile dunque che, nonostante la volatilità dovuta all’alta finanziarizzazione del mercato CO2, nel medio termine le politiche di razionamento dell’offerta di titoli unite ad ulteriori azioni di sostegno dei prezzi, possano spingere i prezzi della CO2 ben al di sopra dei 30 €/tonnellata, influenzando di conseguenza anche i prezzi del power.
La svolta fondamentale è fissata per il primo gennaio 2022, con il passaggio, per tutti, e per tutte le aziende, dal mercato dell'energia – luce e gas – regolato, cioè con prezzi...
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La svolta fondamentale è fissata per il primo gennaio 2022, con il passaggio, per tutti, e per tutte le aziende, dal mercato dell'energia – luce e gas – regolato, cioè con prezzi fissi aggiornati ogni tre mesi dall'Autorità di Regolamentazione per Energia Reti e Ambiente (Arera), al mercato libero, con prezzi diversi offerti da tanti fornitori diversi.
Sembra un giro di boa ancora distante, ma per le strategie e le prospettive di un'impresa – e ancora di più per l'importanza della posta in gioco, la fornitura di energia a condizioni nuove, e più vantaggiose –, è una questione essenziale che è meglio affrontare subito o quanto prima.
E l'andamento del mercato, le nuove condizioni – a partire dai prezzi –, determinate dai cambiamenti in atto, e in prospettiva, interessano non solo chi deve ancora passare al mercato libero, ma anche chi questa scelta l'ha già fatta, e sta usando energia a prezzi variabili.
Il passaggio al mercato libero è un percorso iniziato oltre 20 anni fa, con la riforma Bersani sulla concorrenza del 1999. Dal luglio 2007 il mercato dell'energia in Italia è liberalizzato, ogni fornitore cioè può decidere di entrare sul mercato in qualsiasi momento e gli utenti possono liberamente decidere a quale fornitore rivolgersi.
La fine del mercato regolato era prima stata fissata per giugno 2019, data poi posticipata a giugno 2020 e ulteriormente posticipata a gennaio 2022. Ma ormai l'epilogo è sempre più vicino. È quindi importante informarsi per tempo su novità previste e opportunità possibili.
Secondo i dati dell'Arera riferiti al 2019, circa il 46% degli utenti luce e il 50% di quelli gas (utenze sia domestiche che aziendali) non sono ancora passati al mercato libero, con le piccole imprese che dimostrano una migliore capacità nel confrontarsi con le offerte in concorrenza tra loro: il 20% delle Pmi ha già cambiato almeno una volta fornitore, contro il 14% dei clienti domestici.
Con la liberalizzazione del mercato dell’energia, tutti i clienti possono selezionare l'offerta luce e gas che preferiscono, scegliendo tra prezzi e offerte di un vasto ventaglio di fornitori. Con un contratto e un prezzo di fornitura fisso o variabile, a seconda delle condizioni e dei vantaggi ottenuti attraverso la contrattazione con i fornitori.
Esistono infatti offerte a prezzo fisso (per uno, due o anche tre anni), per mettersi al riparo dalle variazioni di prezzo del mercato, e a prezzo variabile, per poter invece godere dei vantaggi degli abbassamenti di prezzo dovuti all'incontro tra domanda e offerta nel libero mercato.
La convenienza per il consumatore al passaggio al libero mercato è la possibilità di confrontare i prezzi e scegliere quello più conveniente oppure con servizi aggiuntivi migliori e più competitivi. Ecco perché prima di sottoscrivere un nuovo contratto con il fornitore è opportuno guardarsi (molto bene) intorno.
A differenza del mercato regolamentato, il mercato libero è poco concentrato ed è caratterizzato da un buon livello di concorrenza. Nel mercato libero Enel è il fornitore che detiene la quota di mercato più alta (35%), è seguito da Edison (5%), Eni (4,3%).
Gli altri operatori, tra cui ad esempio A2A, Acea, Sorgenia, Hera, E.On, Gala, e moltissimi altri, hanno quote di mercato variabili non più alte del 4%. Una grossa fetta del mercato energetico, pari a circa il 37% del totale, è gestita da altri operatori, rispetto a quelli principali. E la bassa concentrazione che caratterizza il mercato libero garantisce concorrenza e prezzi sempre più competitivi.
Il servizio di maggior tutela, nel mercato energetico italiano, è quell'opzione – prevista appunto fino alla fine del 2021 –, che garantisce all’utente e consumatore finale l'erogazione di energia elettrica e gas alle condizioni economiche e contrattuali stabilite dall’Arera, il che si traduce in pratica nel fatto che la tariffa all'utente finale varia secondo le fluttuazioni di prezzo stabilite di volta in volta dall’Autorità nazionale.
Il servizio di maggior tutela si contrappone alle tariffe del mercato libero, che non sono agganciate a quelle previste dall'Arera, e quindi i fornitori del libero mercato spesso offrono piani tariffari che prevedono il prezzo bloccato per un periodo di tempo determinato: il che può tradursi in un vantaggio per il consumatore, nel caso che le tariffe dell'Arera tendano al rialzo, o in uno svantaggio nel caso opposto.
Con il completamento di questa riforma del sistema, lo Stato esce dal mercato dell'energia, non ci sarà più un prezzo di riferimento, non ci sarà più il prezzo fissato dall'Autorità di regolamentazione, come faro del mercato. Tutto ciò porterà ancora più incertezza – e fluttuazione – sui prezzi dell'energia. In questi decenni si è visto che i prezzi dell'energia sono legati al prezzo delle materie prime, del petrolio, e al Trend dei consumi e quindi all'andamento dell'economia: nelle fasi di crisi i consumi scendono, e anche i prezzi, per poi aumentare di nuovo nelle fasi successive.
Tutto ciò significa nuove opportunità per chi saprà coglierle, avvalendosi delle competenze e degli strumenti (tecnologici) giusti. Ma può anche significare nuovi rischi e nuovi costi, spese più alte, per ch
i non è in grado di seguire in maniera adeguata l'andamento del mercato, dei prezzi, delle offerte.
Cogliere le occasioni – e spendere meno – in un mercato libero significa conoscerlo bene, essere in grado di paragonare le diverse offerte, cambiare strategia quando serve. Tutto il contrario dell'immobilismo e dello Status quo a cui ci ha abituato il mercato regolato. E per chi desidera cogliere tutte le nuove opportunità che si presentano, non deve certo attendere la scadenza del gennaio 2022: si può – e se si lavora bene, conviene, quindi si deve – anticipare il mercato libero.
Con le giuste mosse: tecnologie e servizi all'avanguardia, piattaforme digitali specializzate, che uniscono algoritmi e intelligenza artificiale con il contributo 'umano' e in carne e ossa di consulenti altamente specializzati. Strumenti Hi-tech, cervelli 'artificiali' e umani insieme, che permettono di mettere in concorrenza i (tantissimi) fornitori in pochi click sul computer, per poi definire, e seguire nel tempo, la strategia migliore per la propria azienda.
La convenienza aumenta poi in base al prezzo iniziale e ai consumi.
La ripresa delle attività ha comportato una parallela ripresa dei consumi elettrici nel corso del mese di giugno e a un lieve recupero del PUN, che comunque sta trattando oltre 20...
Leggi di più >La ripresa delle attività ha comportato una parallela ripresa dei consumi elettrici nel corso del mese di giugno e a un lieve recupero del PUN, che comunque sta trattando oltre 20 €/MWh al di sotto dei prezzi dell’anno scorso.
La domanda di gas ha a sua volta ripreso, con la forte competitività dei cicli combinati rispetto al carbone che ne hanno favorito il consumo, e nelle ultime settimane anche i prezzi spot al PSV hanno accennato a una timida ripresa. Il mercato del gas internazionale resta comunque sotto pressione con prezzi spot NBP e TTF ancora inferiori all’Henry Hub e i livelli di riempimento degli stoccaggi in Europa sono in media prossimi al 80%. I prezzi forward sul mercato elettrico hanno recuperato terreno seppur lentamente (il BL Italia Cal +1 ha registrato un guadagno di circa il 4%), scontando un ribilanciamento del mercato a partire dalla fine di quest’anno, mentre il mercato forward gas è rimasto stabile, con i livelli elevati di stoccaggio e l’abbondante offerta di GNL a basso costo che ne hanno limitato le possibilità di recupero.
Come per il power, anche per il gas, una volta optato per un contratto a prezzo variabile, è fondamentale scegliere la formula di indicizzazione che fa al caso nostro. Indici gas...
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Come per il power, anche per il gas, una volta optato per un contratto a prezzo variabile, è fondamentale scegliere la formula di indicizzazione che fa al caso nostro.
Prima di tutto, è necessario scegliere il mercato di riferimento per l’indicizzazione. Tendenzialmente è possibile scegliere fra formule con indicizzazione al PSV o al TTF. Il PSV (Punto di Scambio Virtuale) è il prezzo di riferimento del gas sul mercato all’ingrosso italiano. Il TTF (Title Transfer Facility) è invece il prezzo del gas all’ingrosso in Olanda, nonché principale mercato di riferimento per il gas in Europa.
Ma come mai nei contratti gas in Italia è così comune l’indicizzazione al mercato olandese? La domanda sorge spontanea, in effetti!
Innanzitutto, va considerato che l’Olanda, grazie ai suoi ricchi giacimenti, ha utilizzato il gas come principale combustibile sia domestico che industriale prima di tutti gli altri paesi europei, sviluppando per prima un vero e proprio mercato all’ingrosso.
Questo, unito alla posizione geografica centrale fra Norvegia (con giacimenti di petrolio e gas nel Mare del Nord) e l’area centro-europea (Germania, Francia e Gran Bretagna), ha consentito ai Paesi Bassi di svilupparsi come snodo centrale dei transiti gas via pipeline fra i principali paesi europei. Il TTF è dunque diventato il mercato gas più sviluppato d’Europa nonché principale benchmark di prezzo per i mercati limitrofi o ad esso collegati, come l’Italia.
Le dinamiche di mercato che impattano sui prezzi del TTF si ripercuotono sul PSV e, come si può vedere dal grafico (qui sotto) delle quotazioni del calendar 2021 degli ultimi sei mesi, l’andamento dei due mercati evidenzia una correlazione molto alta.
In sede di contrattualizzazione della fornitura a TTF viene fissato anche lo spread (differenza) fra PSV e TTF del momento e, ovviamente, nel momento della stipula del contratto PSV e TTF + SPREAD si equivalgono:
La componente di spread PSV – TTF viene inserita fra i costi nel P0.
Dopo la scelta del mercato di riferimento dell’indicizzazione (al TTF o al PSV), il passo successivo è la scelta della formula di prezzo per la propria fornitura. Le formule standard (sia per una indicizzazione a TTF che a PSV) prevedono una struttura semplice del prezzo applicato al gas consumato ogni mese:
Dove:
Pb : è il prezzo base del mese in cui avviene il consumo, applicato poi ai consumi mensili (in c€/Smc)
Pgas: rappresenta il prezzo che la formula scelta assume rispetto ai prezzi di mercato (trasformata da €/MWh, unità di misura dei mercati all’ingrosso europei, a c€/Smc)
P0: è la componente fissa stabilita dal fornitore che include i costi di modulazione del profilo, lo spread fra PSV e TTF (nel caso di una indicizzazione al TTF), e il margine del fornitore (in c€/Smc). Il P0 è un termine stabilito in sede di contrattualizzazione e rimane invariato per tutta la durata contrattuale.
Per poter comparare fra loro offerte di fornitori diversi, paragonare i diversi valori del P0, a parità di formula scelta, consente di capire quale fornitore applica il costo minore.
Fra le diverse formule di indicizzazione per determinare il Pgas, le più comuni sono le formule Month Ahead (MA) e le formule Day Ahead (DA).
Month Ahead (MA)
Nella sua versione più semplice (ce ne sono diverse!) il Pgas è calcolato come media aritmetica delle quotazioni Bid e Ask del prodotto Month Ahead pubblicate in tutti i giorni del mese precedente a quello di prelievo dal data provider più utilizzato nel mondo gas europeo, ovvero ICIS Heren.
Potrebbe sembrare complicato (Bid/Ask, Month Ahead, mese precedente… aiuto!), facciamo un esempio:
Il prezzo Pgas del mese di maggio 2020 è calcolato come segue:
ogni giorno lavorativo del mese di aprile 2020, ICIS Heren ha pubblicato per il prodotto Month Ahead, ovvero il “mese avanti” rispetto al mese di aprile (e quindi maggio!), un valore di Bid (prezzo di acquisto) e Ask (prezzo di vendita) medi per le transazioni avvenute sul mercato in quel giorno. Ogni giorno di aprile, dunque, è possibile calcolare un valore medio per il prezzo del prodotto Month Ahead (maggio), facendo una semplice media fra Bid e Ask.
Al termine dell’ultimo giorno lavorativo del mese di aprile avremo dunque tutti i prezzi medi giornalieri del prodotto Month Ahead (maggio) pubblicati da ICIS Heren.
Il prezzo Pgas MA sarà dunque la media aritmetica di questi prezzi medi giornalieri della quotazione Month Ahead.
Il Pgas viene poi moltiplicato per il consumo totale del mese di consumo. Con questa formula, il prezzo è noto già l’ultimo giorno lavorativo del mese precedente
Day Ahead (DA)
Nella formula a DA il prezzo Pgas è dato dalla media dei prezzi Day Ahead (giornalieri) di ogni giorno del mese pesata per il consumo giornaliero di gas. Anche in questo caso, la quotazione del P_DAgiornaliero è data dalla media fra Bid e Ask del prodotto Day Ahead pubblicata da ICIS Heren.
Il prezzo Pgas da applicare al consumo di gas mensile è dunque data dalla somma (Σ) del prodotto fra prezzo giornaliero DA e consumo dello stesso giorno, il tutto diviso per il totale del consumo mensile (media pesata rispetto ai consumi).
Si paga dunque, in ogni giorno di consumo, il prezzo Day Ahead di quel giorno; il prezzo del gas consumato è noto solo all’ultimo giorno del mese di consumo.
N.B. per il week end ed i giorni festivi contigui al week end viene utilizzata la quotazione del prodotto Week End.
Anche per il gas è possibile fare alcune considerazioni di carattere pratico che possano aiutare nella scelta della propria indicizzazione.
Per quanto una indicizzazione al PSV possa sembrare più immediata (se compro gas in Italia indicizzo al gas italiano), le formule di pricing indicizzate al TTF traggono vantaggio dall’alta liquidità di questo mercato, che agevola le operazioni di copertura dei fornitori e ne limita i costi (implicitamente) ribaltati sul prezzo al cliente in sede di fixing.
Quindi, se il cliente desidera fare diversi fixing nel corso della durata contrattuale, potrebbe esser più vantaggiosa una indicizzazione al TTF.
Viceversa, se la preferenza del cliente è verso un prodotto puramente variabile, l’indicizzazione al PSV risulta più immediata.
Rispetto alla scelta di un prodotto MA o DA, la formula MA offre la possibilità di programmare il fabbisogno di cassa necessario a coprire i costi della fornitura, poiché il prezzo del gas consumato è noto alla fine del mese precedente rispetto al mese di consumo.
La formula DA invece, può risultare vantaggiosa per chi ha consumi flessibili, che consentano di modulare il profilo nei giorni/periodi meno costosi (es: week end o giorni freschi d’estate/tiepidi d’inverno). L’impatto delle temperature sui prezzi rimane in ogni caso una variabile da gestire accuratamente.
Come per il power, anche per il gas la conoscenza del proprio profilo di consumo e della propria flessibilità è fondamentale per poter scegliere al meglio la propria indicizzazione.
“Fisso o variabile? Questo è il problema!” Il grande dilemma torna periodicamente a dare il tarlo ai clienti. Alcuni clienti o i loro energy manager, consulenti o responsabili...
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“Fisso o variabile? Questo è il problema!” Il grande dilemma torna periodicamente a dare il tarlo ai clienti. Alcuni clienti o i loro energy manager, consulenti o responsabili dell’approvvigionamento, preferiscono il prezzo fisso per la sensazione di sicurezza che dà (più di così non posso spendere!), altri invece preferiscono l’indicizzato per non dover scegliere a fine anno il prezzo per tutto l’anno successivo (magari posso spendere meno!). Cosa scegliere?
Acquistare energia elettrica o gas a prezzo fisso significa bloccare in sede di stipula del contratto il prezzo della propria fornitura per tutta la durata del periodo considerato, definendo le cifre del proprio budget ma rinunciando alla possibilità di ulteriore risparmio.
Stipulare un contratto a prezzo variabile (o indicizzato, che dir si voglia), invece, consente di approfittare di eventuali ribassi nel corso del periodo di fornitura, rimanendo però esposti al rischio che i prezzi salgano. In un contratto a prezzo variabile, inoltre, è possibile fissare il prezzo di una parte della propria fornitura nel corso dell’anno, attraverso i fixing, che possono esser diluiti nel tempo e su porzioni di consumo (un mese/trimestre, solo una porzione del consumo o il 100%, più tranche in momenti diversi).
Nel momento della stipula del contratto, il prezzo fisso e il prezzo indicizzato (di qualunque formula si tratti) si equivalgono, ovvero numericamente la formula ha esattamente lo stesso valore del prezzo di mercato (a meno del margine del fornitore). Nel corso del contratto, poi, il prezzo indicizzato si allontana dal prezzo fisso, seguendo l’andamento del mercato e solo ex post è possibile capire se sarebbe stato più conveniente uno o l’altro.
Il Sig. Rossi, ogni anno, il giorno 8 di maggio acquista la sua energia per il Q3 (luglio-settembre) a prezzo fisso.
Sia nel 2018 che nel 2019, quando ha acquistato la sua energia, il Sig. Rossi è riuscito ad ottenere un prezzo fisso di 62 €/MWh.
Nel 2018 il prezzo medio del PUN del trimestre è stato 68,82 €/MWh e il Sig. Rossi, che ha pagato 62, ha potuto ottenere un enorme risparmio grazie al suo prezzo fisso.
Nel 2019, invece, il prezzo medio del PUN del trimestre è stato 51,01 €/MWh e il Sig. Rossi, che ha pagato 62, ha sostenuto un costo molto più elevato rispetto a quanto avrebbe pagato se avesse avuto un contratto a prezzo variabile.
Al di là delle inevitabili riflessioni ex post (Ho fatto bene a fissare il prezzo della fornitura? Avrei potuto risparmiare con un contratto diverso?), ciò che è importante nel momento della contrattualizzazione, è la scelta della flessibilità.
Prediligere una fornitura a prezzo indicizzato con la possibilità di fixing offre maggiori opportunità di ottimizzazione rispetto alla scelta di una fornitura a prezzo fisso per tutta la durata contrattuale.
Innanzitutto, perché un contratto indicizzato può facilmente esser tramutato, attraverso i fixing, in un contratto a prezzo fisso per una parte o per il totale del profilo di consumo, limitando il rischio che il mercato salga e i costi di approvvigionamento diventino troppo onerosi.
Inoltre, e soprattutto, perché la scelta di fissare il prezzo in più tranche, in momenti diversi e per porzioni di consumo (mesi/trimestri e/o percentuali) consente di seguire maggiormente il mercato e di gestire attivamente il proprio costo di approvvigionamento, diminuendo il rischio di compiere una scelta definitiva in un solo momento dell’anno.
Scegliere di essere flessibili con un contratto indicizzato, dunque, consente di ottenere i vantaggi di un contratto a prezzo fisso (grazie ai fixing) e di poter scegliere il giusto timing per bloccare il prezzo per le diverse porzioni del proprio profilo, diversificando il rischio e approfittando di eventuali discese dei prezzi.
Nonostante la ripresa delle attività, nel corso del mese di maggio le dinamiche dei prezzi spot sono rimaste negative sia per il gas che per l’elettrico, con il PUN che da fine...
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Nonostante la ripresa delle attività, nel corso del mese di maggio le dinamiche dei prezzi spot sono rimaste negative sia per il gas che per l’elettrico, con il PUN che da fine aprile a fine maggio ha perso più del 30% e il PSV d+1 circa il 25%. Il mercato del gas internazionale sta assistendo alla discesa dei prezzi spot al di sotto di livelli considerati fino a pochi mesi fa invalicabili, con quotazioni NBP e TTF per la prima volta inferiori all’Henry Hub. La disponibilità di GNL a basso costo e livelli di riempimento degli stoccaggi in Europa in media superiori al 70% sono tra le cause principali della discesa dei prezzi gas e a cascata di quelli elettrici in un contesto di domanda ancora inferiore alle medie stagionali e di una primavera mite. In questo contesto, la tenuta dei prezzi forward (sia il BL Italia Cal +1 che il PSV Cal +1 registrano una variazione mensile positiva poco inferiore al 1%) è da ricondurre all’aspettativa di una ripresa della domanda e di un ribilanciamento del mercato a partire dalla fine di quest’anno.
La strategia di contenimento del Covid-19 ha portato ad una significativa riduzione dei consumi sia di elettricità che di gas naturale, con un calo nel mese di aprile (consuntivo...
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La strategia di contenimento del Covid-19 ha portato ad una significativa riduzione dei consumi sia di elettricità che di gas naturale, con un calo nel mese di aprile (consuntivo al 26) rispetto al 2019 del 10% per l’elettrico e del 9% per il gas.
Il forte shock sulla domanda ha aggravato un quadro già ribassista a inizio 2020, caratterizzato da scorte di gas superiori alla media stagionale, abbondante offerta di GNL e di gas naturale via pipeline a basso costo.
Il mercato petrolifero è rimasto a sua volta debole, con la forte incertezza sulla possibilità di una ripresa consistente della domanda nel 2020, l’abbondanza dell’offerta e gli alti costi di stoccaggio che hanno pesato sulle quotazioni, nonostante la recente ricomposizione dell’OPEC Plus e la contestuale decisione di ridurre la produzione per maggio e giugno di 9.7 mln di barili al giorno.
Nel corso del mese di aprile il prezzo gas Cal21 al PSV ha toccato un minimo a 13.95 €/MWh, mentre sul mercato elettrico il minimo di aprile per il Cal21 BL è stato a 43.90 €/MWh.
Il prezzo del gas è influenzato da molti fattori, il cui contributo modifica l’equilibrio di domanda e offerta. La disponibilità di materia prima che può essere...
Leggi di più >L’Europa produce circa il 18% del gas che annualmente viene immesso nel sistema (ci riferiamo al 2019 e nel conto è inclusa anche UK). I principali siti di estrazione si trovano nel territorio del Regno Unito (e dal 2020 risulteranno essere giacimenti extra EU) e in Olanda (il famoso sito di Groningen che si avvia pian piano a fine vita). Interruzioni nelle attività estrattive o delle pipeline che trasportano il gas hanno un impatto rilevante sul prezzo del gas, soprattutto sul breve termine.
La quota di gas proveniente da paesi extra EU tramite l’import è l’82% del totale del gas annualmente immesso nel sistema gas europeo. Di questo l’import tradizionale, ovvero via pipeline, copre circa il 60% e le principali direttrici di import collegano l’Europa alla Russia, alla Norvegia e al Nord Africa. Nuove tratte collegheranno ulteriormente l’Europa ai Paesi limitrofi nel prossimo futuro (es. Nord Stream II), aumentando la capacità di import attuale.
All’import tradizionale via pipeline si è affiancato negli ultimi anni l’import di gas naturale liquefatto (GNL o LNG), che nel 2019 è arrivato a pesare il 22% del totale del gas immesso nel sistema gas europeo. Il gas non arriva più solo da Paesi prossimi all’Europa, ma anche da Qatar, USA, Nigeria e altri.
Ai tradizionali rapporti fra Paesi Europei e Paesi produttori di gas si sono affiancate dunque nuove relazioni commerciali che portano con sé, oltre ad una sana diversificazione delle fonti, anche nuove influenze geopolitiche. Se fino a poco tempo fa erano tristemente note le vicende legate alle continue diatribe tra Russia e Ucraina, oggi nuovi attori entrano sulla scena energetica europea, cambiando gli equilibri e modificando quote di mercato da tempo consolidate.
Un ulteriore fattore che influenza la disponibilità di gas è la quantità di gas presente negli stoccaggi. Quando durante la stagione calda la domanda di gas è inferiore, il gas viene immagazzinato in stoccaggi dai quali viene estratto durante l’inverno. Il livello degli stoccaggi è un indicatore della possibilità di far fronte a improvvisi aumenti della domanda a cui l’aumento di import non può fisiologicamente sopperire. In inverni miti, come quello appena terminato, i bassi consumi di gas naturale (ulteriormente ridotti per effetto del coronavirus) provocano un surplus di gas in stoccaggio (+30% rispetto all’anno scorso) che si riflettono in una maggior disponibilità di gas e dunque in un effetto ribassista sui prezzi.
Conoscere i fattori che determinano la disponibilità di gas consente di prevedere le conseguenze degli equilibri di domanda/offerta sul prezzo della materia prima. Un conflitto in Paesi da cui l’Europa importa (es: Russia o Qatar) può avere un forte impatto sul sistema del gas europeo, così come un problema ad un grosso tubo o livelli di gas in stoccaggio molto superiori/inferiori alla media stagionale e non di rado proprio questi temi risultano centrali per i movimenti dei prezzi del gas in Europa.
La forte diminuzione dei prezzi del gas degli ultimi mesi è stata infatti dovuta proprio ad un mix di questi fattori: livello degli stoccaggi molto più alto del normale, gas importato via nave ai massimi livelli storici e import via pipeline a regime hanno causato una sovrabbondanza di offerta di materia prima che ha, di fatto, provocato un rally al ribasso in tutti i mercati gas europei.
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Uno dei fattori che più ha influenzato il prezzo dell’energia elettrica, sia in Italia che nel resto d’Europa, negli ultimi due anni è stata la CO2. Ma come si lega il prezzo...
Leggi di più >Uno dei fattori che più ha influenzato il prezzo dell’energia elettrica, sia in Italia che nel resto d’Europa, negli ultimi due anni è stata la CO2. Ma come si lega il prezzo della CO2 a quello dell’energia elettrica?
Per incentivare le attività che maggiormente emettono CO2 (ed il settore energetico è in prima linea) ad investire in tecnologie green e a minor impatto di carbonio, l’Unione Europea ha creato, ormai 15 anni fa, il cosiddetto Emission Trading Scheme (ETS), ovvero un sistema che obbliga i soggetti che emettono troppa CO2 a pagare per le proprie emissioni.
L’obbligo di acquistare ogni anno i permessi di emissione (EUA = Emission Unit Allowances) corrispondenti alla CO2 prodotta fa sì che la CO2 rappresenti una voce di costo reale per il soggetto che la produce.
Poiché il prezzo della CO2 fino ad un paio di anni fa è stato troppo basso per poter esser considerato un vero deterrente alle emissioni (in questo stesso periodo, nell’aprile del 2018 la CO2 era quotata 12/13 €/tonnellata), l’Unione Europea ha dato il via al cosiddetto MSR (Market Stability Reserve).
Questo è un meccanismo che, attraverso la sottrazione di quote di emissione dal mercato, mira a diminuire l’offerta di titoli, facendo aumentare il prezzo della CO2 per incentivare i soggetti emittenti a compiere investimenti corposi nell’abbattimento delle emissioni.
L’MSR, partito a gennaio 2019, ha in breve tempo portato i prezzi della CO2 vicino alla soglia dei 30 €/tonnellata (qualcuno ricorderà il picco dei prezzi dell’estate scorsa), ma dallo scorso inverno i prezzi si sono assestati fra i 23,5 e i 26,5 €/tonnellata.
La recente epidemia di coronavirus, che ha bloccato quasi totalmente le attività produttive sia in Italia che in Europa, ha avuto come immediato risultato un calo sensibile delle emissioni e, di conseguenza, la domanda di titoli è crollata.
Con la domanda sono crollate, chiaramente, anche le quotazioni della CO2 (più del 35%), arrivando a toccare minimi di 16/17 €/tonnellata (mai così basse dal 2018), per poi stabilizzarsi intorno ai 20. Insieme alla quotazione della CO2 è sceso anche il prezzo dell’energia elettrica, già spinto al ribasso dal gas naturale.
Il prezzo dell’energia elettrica, come dicevamo, viene fortemente influenzato dal prezzo della CO2, che entra in gioco come voce di costo per la produzione di energia elettrica da combustibili fossili, come il gas naturale.
Un impianto termoelettrico che utilizza gas naturale per produrre energia elettrica, per ogni MWh di energia prodotto consuma circa 2 MWh di gas naturale, ovvero circa 189 Sm3 (considerando una efficienza media convenzionale del 50%), ed emette circa 0,35 tonnellate di CO2.
Dunque, un incremento (o diminuzione) del prezzo della CO2 pari a 1 €/tonnellata dovrebbe provocare un incremento (o diminuzione) di 0,35 €/MWh del prezzo dell’energia elettrica.
È vero però che in Italia non tutta l’energia elettrica viene prodotta da gas naturale, che è forte anche l’influenza dei mercati esteri che hanno dinamiche differenti e che la presenza sul mercato di operatori speculativi può amplificare le reazioni del prezzo del power rispetto ai movimenti della CO2.
Per questo motivo non è facile riscontrare nella pratica il rapporto 1 : 0,35 appena descritto, ma ciò non toglie che la CO2 sia uno fra i principali driver del prezzo dell’energia elettrica.
In questo periodo infatti, le quotazioni del power hanno avuto un ribasso importante grazie all’effetto combinato della discesa dei prezzi del gas e della forte diminuzione delle quotazioni della CO2, arrivando a minimi (e parliamo ad esempio del calendar) mai toccati dopo la metà del 2017.
La strategia di contenimento del Covid-19 comporta la sospensione del 60% delle attività produttive e commerciali e limita i trasferimenti delle persone, con significativo impatto...
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La strategia di contenimento del Covid-19 comporta la sospensione del 60% delle attività produttive e commerciali e limita i trasferimenti delle persone, con significativo impatto sui consumi. Il conseguente forte shock sulla domanda aggrava il quadro già ribassista a inizio 2020.
Scorte di gas particolarmente alte, l’abbondante offerta di GNL e di gas naturale via pipeline a basso costo e la debolezza del mercato petrolifero avevano spinto il prezzo del Cal21 al PSV sotto i 17 €/MWh. Le misure restrittive imposte a marzo hanno comportato ulteriori significative perdite, con il Cal21 ora in area 14.0 €/MWh. Sul mercato elettrico, il Cal21 BL ha mantenuto un andamento coerente con quello del PSV e con i prezzi forward europei, testando quindi area 50 €/Mwh ai primi di febbraio e accelerando bruscamente al ribasso in concomitanza con la crisi sanitaria, per arrivare a toccare un minimo a 42.7 €/MWh il 23 di marzo.
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Questa serie di white paper si propone di aiutarvi a comprendere: le basi del mercato dell'energia, i prezzi dell'energia e la gestione dei vostri contratti energetici B2B, per...
Leggi di più >Questa serie di white paper si propone di aiutarvi a comprendere: le basi del mercato dell'energia, i prezzi dell'energia e la gestione dei vostri contratti energetici B2B, per permettervi di ottimizzare i vostri costi energetici.
Negli ultimi mesi del 2021 abbiamo assistito a un rally dei prezzi del gas e dell’energia elettrica senza precedenti e sebbene i prezzi da gennaio a oggi siano lontani dal picco...
Leggi di più >Negli ultimi mesi del 2021 abbiamo assistito a un rally dei prezzi del gas e dell’energia elettrica senza precedenti e sebbene i prezzi da gennaio a oggi siano lontani dal picco di fine dicembre, il valore assoluto rimane piuttosto elevato.
Insieme ai prezzi, anche la volatilità è aumentata nel corso dell’anno scorso e, se a inizio anno si potevano avere oscillazioni di 1, 2, massimo 3 €/MWh al giorno, alla fine 2021 i 10, i 20 o addirittura i 30 €/MWh di differenza fra un giorno e l’altro erano oscillazioni considerate quasi normali.
L’intera filiera del gas e dell’energia elettrica ha subito l’impatto di queste dinamiche, che hanno avuto conseguenze importanti a tutti i livelli e i cui strascichi hanno probabilmente cambiato l’assetto di un intero settore.
Per quanto riguarda il settore della vendita di energia e gas, sia i fornitori che i clienti hanno dovuto affrontare delle conseguenze di quanto successo sui mercati all’ingrosso.
Risulta dunque estremamente critica la gestione di un portafoglio di vendita in condizioni di mercato come quelle viste negli ultimi mesi. Il problema non sono i margini, ovvero i guadagni dati dall’attività di vendita, ma la sostenibilità in termini di cassa, finanza e rischi che devono sopportare i fornitori per poter svolgere l’attività.
i fixing basate su prezzi storici confrontano i prezzi futures in quel momento con quelli di periodi simili in altri momenti. Anche con l'incertezza vissuta nello scorso periodo, il tool è in grado di determinare che i prezzi stanno aumentando e, anche se non sono prezzi bassi (dato che la situazione era quella che era), l'opzione migliore era comunque quella di eseguire fixing per mitigare l'impatto della volatilità che sarebbe arrivata. Queste raccomandazioni arrivano proprio nel momento peggiore, da maggio 2021 e per tutto l'anno rimanente.
Sia per i fornitori che per i clienti l’aumento dei prezzi e della volatilità ha provocato criticità delle quali ancora non è ancora del tutto espresso l’effetto.
Per il 2022, è possibile aspettarsi alcune conseguenze di questa situazione, prima fra tutti la diminuzione del numero di operatori attivi nella vendita di energia elettrica e gas. Diverse società, sia in Italia che in Europa, hanno dovuto tirare i remi in barca e sospendere l’attività a causa delle difficoltà finanziarie ed è probabile che il numero degli operatori costretti a ritirarsi possa aumentare nel corso di quest’anno.
D’altra parte, l’alta volatilità che dovrebbe caratterizzare i mercati ancora per diverso tempo potrebbe offrire non solo criticità, ma anche occasioni di ottimizzazione, a prescindere dal trend dei prezzi che si verificherà nel corso dell’anno.
E’ probabile che dopo un 2021 così estremo, un maggior numero di clienti industriali sarà interessato alla gestione attiva della propria fornitura (prezzo variabile con fixing), che si è dimostrata una formula flessibile e capace di ottimizzare i costi, se correttamente impostata. Poter approfittare di un mercato al ribasso ma avere la possibilità di tutelarsi in caso di rialzi, risulta un modello utile per affrontare i mercati energetici sempre più volatili.
Questo, unito alla diffusa attenzione anche mediatica suscitata dall’escalation dei prezzi degli ultimi mesi, creerà un generale aumento della curiosità e della necessità di informazioni sulle dinamiche dei mercati. Non sarà più solo il prezzo, probabilmente, a convincere i clienti, ma la capacità di offrire un supporto strutturato alle scelte, fornendo le informazioni rilevanti e la competenza sui mercati energetici che consentano ai clienti di gestire al meglio la propria fornitura in tutte le situazioni di mercato.
Insomma, il rally dei mercati del 2021 avrà un impatto notevole anche per il prossimo futuro.
E’ ormai fatto noto che ci sia una vera e propria crisi energetica in atto. I prezzi del gas e dell’elettricità hanno concluso un primo trimestre record, in continuità con i...
Leggi di più >E’ ormai fatto noto che ci sia una vera e propria crisi energetica in atto. I prezzi del gas e dell’elettricità hanno concluso un primo trimestre record, in continuità con i pesanti aumenti avvenuti a fine 2021. Basti pensare che il PUN (Prezzo Unico Nazionale) ha consolidato un Q1-2022 di poco inferiore ai 250 €/MWh, mentre per il gas naturale PSV i primi tre mesi di consegne spot (Day Ahead) si sono attestati poco sotto ai 100 €/MWh.
Gli effetti di questi aumenti si stanno sentendo pesantemente su tutti i fronti e pesano in particolar modo sui consumatori finali, che si trovano a far fronte a costi energetici sempre più insostenibili. Anche se sono entrate in vigore alcune misure per il contenimento dei costi, come l’azzeramento di alcune voci della fattura energetica (gli oneri generali di sistema) o la riduzione dell’IVA su alcune tipologie di fornitura, con il prezzo della materia prima di 3 o 4 o addirittura 5 volte maggiore rispetto a un anno fa, il costo energetico complessivo è comunque lievitato.
Non solo i clienti finali sono in grave difficoltà, ma nella filiera energetica una posizione piuttosto delicata (per usare un eufemismo) oggi tocca ai fornitori. Le aziende attive nel settore della vendita di energia elettrica e gas naturale si trovano ad affrontare delle difficoltà senza precedenti (come abbiamo detto anche nell’articolo Fornitori e clienti: conseguenze dei prezzi di mercato alle stelle). L’aumento dei prezzi e della volatilità sui mercati all’ingrosso ha comportato, ormai da mesi a questa parte, un aumento dei costi legati all’approvvigionamento e alle coperture del rischio del portafoglio, entrambi elementi strettamente legati al prezzo.
Non solo aumento dei costi, a fronte spesso di margini fissati contrattualmente in periodo pre-crisi, ma anche aumento delle necessità finanziarie e di liquidità legate all’attività di compravendita di energia o gas, anch’esse proporzionali rispetto ai prezzi e alla volatilità dei mercati. Per acquistare gas o energia elettrica, infatti, gli operatori devono fornire garanzie finanziarie o liquidità a copertura dei loro acquisti e nella maggior parte dei casi si tratta di incrementi di garanzie da 5 a 10 volte i valori precedenti.
Per non parlare dello squilibrio di cassa, strutturale e naturale per una società di vendita, che paga l’energia o il gas acquistato (e gli oneri di sistema relativi) con 1-2-3 mesi di anticipo rispetto al momento dell’incasso da parte dei clienti. Con l’aumento dei prezzi e il protrarsi di questa alterazione del mercato, il disallineamento fra entrate ed uscite si è fatto a dir poco difficoltoso, per qualcuno addirittura fatale.
Tutto questo ha danneggiato in modo importante la situazione finanziaria ed economica delle società del settore, alcune delle quali hanno dovuto sospendere l’attività di vendita di energia o gas.
Ma il peggio, probabilmente, deve ancora venire, ovvero il momento in cui sui fornitori peserà a pieno anche l’effetto delle rateizzazioni delle bollette concesse ai consumatori domestici o alle imprese, a cui si andrà a sommare l’aumento della morosità dei clienti di fronte agli aumenti degli ultimi mesi. Le società del settore, aziende fino a sei mesi fa per lo più sane e ben gestite, potrebbero trovarsi impossibilitate a sopportare il protrarsi di queste condizioni di mercato a causa di una situazione finanziaria così difficilmente gestibile.
La gravità della situazione non è passata inosservata e molte sono state le richieste di supporto rivolte dalle associazioni di operatori del settore alle autorità competenti, sia in Italia che all’estero. La difficoltà di accesso alla finanza e alla liquidità in un momento grave e particolare come l’attuale è uno dei nodi dei diversi appelli degli ultimi mesi.
Anche da parte della European Federation of Energy Traders, primaria associazione europea di operatori del settore, è stata sottolineata la necessità di un supporto di emergenza di liquidità e finanza che consenta agli operatori di sopravvivere e ai mercati energetici di continuare a funzionare. Già, perché una ulteriore conseguenza dei prezzi così alti è il crollo della liquidità sui mercati, a causa del fatto che sempre meno operatori hanno la finanza necessaria per negoziare i prodotti della curva forward sui mercati organizzati.
La mancanza di un mercato liquido potrebbe impedire agli operatori di effettuare le operazioni di copertura non solo dei proprio portafogli di vendita ai clienti finali, ma anche del gas importato dall’estero o iniettato in stoccaggio, così come dell’energia elettrica prodotta dalle centrali. Insomma, il crollo della liquidità potrebbe impedire il regolare funzionamento dei mercati energetici e minare alla base l’esistenza di un mercato libero.
Ad essere onesti, è difficile anche per l’EU riuscire ad intervenire con manovre centralizzate che non penalizzino gli sviluppi futuri del settore e il raggiungimento degli obiettivi di lungo periodo in termini di mix energetico e emissioni. La tutela del consumatore finale è una contingenza assolutamente necessaria, ma è necessario anche salvaguardare la salute del settore nel medio/lungo termine.
Ad esempio, modificare la remunerazione degli impianti rinnovabili non incentivati mettendo un tetto massimo al prezzo per l’energia prodotta potrebbe provocare non solo gravi danni economici per le società interessate (che magari non hanno approfittato dell’aumento dei prezzi perché avevano effettuato coperture di lungo periodo a prezzi inferiori), ma anche portare al calo dell’appetito degli investitori del settore e questo, a sua volta, comprometterebbe il percorso di decarbonizzazione stabilito per i prossimi decenni.
Ugualmente, l’introduzione di un massimale al prezzo di gas o energia elettrica o una modifica del meccanismo di formazione dei prezzi spot a livello locale introdurrebbe distorsioni che avrebbero un impatto anche sulla curva forward e che, nel lungo periodo, potrebbero influenzare negativamente l’integrazione fra i mercati europei, così come lo sviluppo di investimenti in produzione rinnovabile o risparmio energetico.
Insomma, sembra sempre più difficile riuscire a salvare, come si suol dire, “capra e cavoli”. Solo una rapida risoluzione della situazione in Ucraina potrebbe, forse, riuscire a riportare i mercati verso una condizione di stabilità ed è piuttosto probabile che un ritorno alla “normalità” non avvenga, in ogni caso, in tempi brevi, né per quanto riguarda il livello dei prezzi, né per lo stato di salute del settore.
Rimani aggiornato con le informazioni sulla gestione dei contratti di fornitura energetica B2B.
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