Da tempo ormai sentiamo parlare dei titoli di emissione di CO2 (EUA) in riferimento ai mercati europei di energia elettrica e gas naturale. Da inizio febbraio, in particolare, la CO2 ha fatto parlare di sé a causa di una esplosione delle quotazioni, che hanno superato più volte i 40 €/tonnellata.
I prezzi della CO2 sono improvvisamente arrivati oltre la quota dei 40 €/tonnellata. Cosa sta succedendo e perchè?
Come avevamo anticipato nell’articolo "2021 CO2, i prezzi saliranno? ", già dall’inizio del 2021 ci si aspettava un certo fervore sul tema della CO2.
L’Unione Europea ha deciso di aumentare il target di riduzione delle emissioni di gas serra al 2030, passando da un obiettivo iniziale di -40% rispetto alle emissioni del 1990 ad un nuovo target del -55%, ufficializzato a fine anno scorso.
Questa ulteriore spinta verso la riduzione delle emissioni, nell’aria dall’estate scorsa, ha dato un nuovo impulso alle quotazioni delle EUA (Permessi di emissione di CO2), strumento principale della lotta alle emissioni in Europa.
Il sistema ETS, inoltre, da quest’anno è entrato nella cosiddetta fase 4, ovvero un periodo nel quale viene ridotto sia il tetto massimo di emissioni annuali sia la quantità di titoli di emissione gratuiti a disposizione dei Paesi europei.
Grazie al meccanismo di Market Stability Reserve (MSR), attivo dal 2019, viene ridotta progressivamente l’offerta di titoli sul mercato per consentire un miglior equilibrio di domanda e offerta. Insomma, dal punto di vista regolatorio e politico, un rialzo dei prezzi della CO2 era uno degli obiettivi dichiarati da tempo.
Maggiore è il costo dei permessi di emissione, maggiore è la spinta, da un lato, verso la dismissione delle centrali elettriche inquinanti (soprattutto il carbone) a favore di energie rinnovabili e centrali a gas naturale, dall’altro verso un generale efficientamento e rinnovamento dei processi produttivi del tessuto industriale europeo.
Negli ultimi 4 anni, con l’aumentare dei prezzi della CO2 (nel 2017 i titoli di emissione difficilmente avevano un prezzo al di sopra dei 10 €/tonnellata) l’interesse di banche, istituti finanziari e fondi di investimento per il mercato della CO2 è andato aumentando, poiché se da un lato in un’ottica di lungo periodo il tema della riduzione delle emissioni offre delle ottime prospettive di investimento, dall’altro i tassi negativi sui capitali hanno incentivato la ricerca di opportunità di rendimento alternative.
Il risultato è stato un massiccio aumento dei capitali sul mercato dei prodotti futures sulla CO2 (quasi 10 volte maggiori nel 2020 rispetto al 2017), mercato che è passato dall’essere utilizzato dagli operatori del settore energetico per le coperture degli acquisti di titoli fisici, all’essere un mercato finanziario speculativo, in cui banche, ETF e fondi impiegano capitali importanti e negoziano volumi consistenti.
Un aumento dei prezzi era prevedibile? Sì, i fondamentali del mercato della CO2 mostravano chiaramente che il target dei 40 €/tonnellata era ormai in focus nel corso dell’anno 2021.
Era prevedibile che si arrivasse ai 40 €/tonnellata già a inizio febbraio? Probabilmente no. Fra i fattori bullish di quest’ultima parte dell’inverno, sicuramente le basse temperature (il cosiddetto picco termico) hanno contribuito ad aumentare la domanda di gas ed energia elettrica, con conseguente aumento della domanda di titoli di emissione.
Il prezzo della CO2 si muoveva da inizio gennaio in una banda di oscillazione fra i 31 e i 35 €/MWh e gli operatori probabilmente si aspettavano che nel breve termine il freddo e la maggior domanda portassero i prezzi verso l’area 35-36 €/tonnellata.
Il raggiungimento dei 40 €/tonnellata, invece, è stato un movimento repentino e improvviso, causato da elementi speculativi che poco hanno a che vedere con i fondamentali di breve termine del mercato.
A inizio febbraio (il 2), ha fatto scalpore un articolo di Bloomberg (Andurand Sees Carbon Tripling as Funds Turn Bullish on Pollution) in cui si dichiarava che alcuni Hedge Fund avessero un target di prezzo per la CO2 a 100 €/tonnellata entro la fine dell’anno (il giorno stesso il prezzo del future della CO2 è passato dai quasi 33 ai 35 €/tonnellata). Il giorno dopo, il prezzo della CO2 in asta primaria (titoli fisici dunque) è arrivato a 38 €/tonnellata e solo una settimana dopo la CO2 ha sforato il tetto dei 40 €/tonnellata.
Questo movimento violento sembra dunque non esser stato originato da una situazione fondamentale quanto da una forte presa di posizione di tipo speculativo.
La velocità e la natura del rialzo potrebbero, nel breve termine, non consentire ai prezzi di mantenersi al di sopra dei 40 €/tonnellata, ma il mood generale nel medio termine vede un’azione congiunta di elementi fondamentali e di speculazione che difficilmente consentirà ai prezzi di tornare ai valori visti l’anno scorso.
Effettivamente, gli ambiziosi obiettivi europei per il taglio delle emissioni potranno esser raggiunti solo con dei costi di emissione molto alti, che incentivino gli investimenti in rinnovabili e in tecnologie più green.
Nonostante le ottime intenzioni però, di fatto, il costo della CO2 si riverbera nel costo dell’energia elettrica, tutt’ora in buona parte prodotta da combustibili fossili in molti paesi dell’Unione Europea, e nelle filiere produttive di tutta Europa.
L'Unione Europea, per questo motivo, dovrà essere particolarmente attenta nel calibrare correttamente il bilanciamento fra l’incisività delle misure di riduzione dei gas serra ed il rischio di rilocazione delle industrie, energivore e non, che vedono la propria competitività internazionale messa a dura prova dai costi di annullamento della CO2.