Uno dei fattori che più ha influenzato il prezzo dell’energia elettrica, sia in Italia che nel resto d’Europa, negli ultimi due anni è stata la CO2. Ma come si lega il prezzo della CO2 a quello dell’energia elettrica?
Per incentivare le attività che maggiormente emettono CO2 (ed il settore energetico è in prima linea) ad investire in tecnologie green e a minor impatto di carbonio, l’Unione Europea ha creato, ormai 15 anni fa, il cosiddetto Emission Trading Scheme (ETS), ovvero un sistema che obbliga i soggetti che emettono troppa CO2 a pagare per le proprie emissioni.
L’obbligo di acquistare ogni anno i permessi di emissione (EUA = Emission Unit Allowances) corrispondenti alla CO2 prodotta fa sì che la CO2 rappresenti una voce di costo reale per il soggetto che la produce.
Poiché il prezzo della CO2 fino ad un paio di anni fa è stato troppo basso per poter esser considerato un vero deterrente alle emissioni (in questo stesso periodo, nell’aprile del 2018 la CO2 era quotata 12/13 €/tonnellata), l’Unione Europea ha dato il via al cosiddetto MSR (Market Stability Reserve).
Questo è un meccanismo che, attraverso la sottrazione di quote di emissione dal mercato, mira a diminuire l’offerta di titoli, facendo aumentare il prezzo della CO2 per incentivare i soggetti emittenti a compiere investimenti corposi nell’abbattimento delle emissioni.
L’MSR, partito a gennaio 2019, ha in breve tempo portato i prezzi della CO2 vicino alla soglia dei 30 €/tonnellata (qualcuno ricorderà il picco dei prezzi dell’estate scorsa), ma dallo scorso inverno i prezzi si sono assestati fra i 23,5 e i 26,5 €/tonnellata.
La recente epidemia di coronavirus, che ha bloccato quasi totalmente le attività produttive sia in Italia che in Europa, ha avuto come immediato risultato un calo sensibile delle emissioni e, di conseguenza, la domanda di titoli è crollata.
Con la domanda sono crollate, chiaramente, anche le quotazioni della CO2 (più del 35%), arrivando a toccare minimi di 16/17 €/tonnellata (mai così basse dal 2018), per poi stabilizzarsi intorno ai 20. Insieme alla quotazione della CO2 è sceso anche il prezzo dell’energia elettrica, già spinto al ribasso dal gas naturale.
Il prezzo dell’energia elettrica, come dicevamo, viene fortemente influenzato dal prezzo della CO2, che entra in gioco come voce di costo per la produzione di energia elettrica da combustibili fossili, come il gas naturale.
Un impianto termoelettrico che utilizza gas naturale per produrre energia elettrica, per ogni MWh di energia prodotto consuma circa 2 MWh di gas naturale, ovvero circa 189 Sm3 (considerando una efficienza media convenzionale del 50%), ed emette circa 0,35 tonnellate di CO2.
Dunque, un incremento (o diminuzione) del prezzo della CO2 pari a 1 €/tonnellata dovrebbe provocare un incremento (o diminuzione) di 0,35 €/MWh del prezzo dell’energia elettrica.
È vero però che in Italia non tutta l’energia elettrica viene prodotta da gas naturale, che è forte anche l’influenza dei mercati esteri che hanno dinamiche differenti e che la presenza sul mercato di operatori speculativi può amplificare le reazioni del prezzo del power rispetto ai movimenti della CO2.
Per questo motivo non è facile riscontrare nella pratica il rapporto 1 : 0,35 appena descritto, ma ciò non toglie che la CO2 sia uno fra i principali driver del prezzo dell’energia elettrica.
In questo periodo infatti, le quotazioni del power hanno avuto un ribasso importante grazie all’effetto combinato della discesa dei prezzi del gas e della forte diminuzione delle quotazioni della CO2, arrivando a minimi (e parliamo ad esempio del calendar) mai toccati dopo la metà del 2017.