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Greenwashing: come capire se un fornitore è realmente green?

Scritto da Antonio Elio Caroli | 10-dic-2020 10.04.45



Che cosa è il greenwashing?

Per greenwashing si intende ecologismo di facciata, ovvero: "costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale."

Il termine deriva da un neologismo inglese e sta ad indicare un fenomeno che riguarda imprese, organizzazioni ed anche enti pubblici. Chiunque si dica ecosostenibile per ottenere maggior profitto, nascondendo la realtà dei fatti: ovvero che la propria attività possa compromettere l'ambiente. 

L’attuale obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra fissato dall’UE per il 2030 è del 60% rispetto ai livelli registrati nel 1990.

Da quando la salvaguardia dell’ambiente è diventata una priorità sulle agende globali, sia consumatori che imprese hanno iniziato a domandarsi: quanto inquinanti siano i prodotti messi in commercio? 

Questo è accaduto anche per quanto riguarda il mondo dell’energia. Oggi è una rarità navigare sul Web, imbattersi in pubblicità o siti web di fornitori di energia, senza trovare nessun riferimento all’energia ecosostenibile, la "green power". Ma dietro la strategia di mostrare “il pollice verde più grande che ci sia”, cosa si nasconde?


 

Garanzia di origine usata per ripulire volumi di energia proveniente da fonti non rinnovabili

Ad oggi il vero problema sta nella difficoltà di comprendere quanto grande sia la portata del fenomeno. Nel caso dei fornitori di energia, esiste la possibilità di acquisire delle certificazioni che attestino la provenienza del prodotto erogato, come la Garanzia d’origine (o Go) rilasciata dal GSE, il Gestore Servizi energetici. Quest’ultima nasce con lo scopo di incentivare la produzione di energia proveniente da fonti rinnovabili.

Ma nella realtà dei fatti, la direttiva 2009/28/CE consente ai fornitori di proporre anche offerte di energia non provenienti da fonti rinnovabili, oppure offerte di energia che sono green solo in minima percentuale. Infatti sono tanti i casi in cui i fornitori sfruttano questi certificati per “ripulire” volumi di energia erogata da fonti fossili.

Il gap tra il costo dell'energia verde e quella proveniente da fonti non rinnovabili sta diminuendo, come riportato nello studio di Greenpeace. Basta pensare che tra il 2009 e il 2015 i costi di produzione dell’eolico sono scesi dell’80%, mentre per il solare la diminuzione si è attestata al 40% su base mondiale.

Eppure l'energia "nera", quella che rilascia emissioni di Co2, viene ancora molto venduta. Il motivo è semplice: per produrla occorrono minori investimenti in tecnologia e processi, di conseguenza ha un costo di mercato inferiore. Però un costo di cui bisogna considerare anche le esternalità negative: l'energia nera è nociva per il pianeta terra.

Quindi la sola garanzia di origine spesso è come un lascia passare per la vendita di energia “nera” confusa per “proveniente da fonti rinnovabili”. Questo a discapito degli sforzi compiuti in Italia negli ultimi anni. Secondo il più recente rapporto fornito dal GSE  sulle fonti rinnovabili in Italia e in Europa del 2018, il 17% di energia consumata nel nostro Paese, proviene da fonti di energia rinnovabili dette FER. Un risultato poco distante dalla media UE: intorno al 18%.

Ma ciò non è ancora sufficiente, per realizzare davvero “Il Green new deal”, ovvero la tabella di marcia che dovrebbe portare l'Europa a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. 

Per perseguire questo risultato saranno necessari maggiore trasparenza da parte dei fornitori riguardo le offerte Green e maggiore attenzione da parte degli industriali nel seguire politiche aziendali ecosostenibili.

È possibile scoprire se un fornitore è davvero green?

Un modo esiste, come previsto dal GSE: i fornitori di energia sono tenuti a rendere pubblici i dati relativi ai “Fuel mix”. Cioè sui volumi di energia venduti, quanti di questi  in percentuale sono provenienti da fonti rinnovabili e quanti no.

Queste informazioni sono presenti nella fatturazione e sui portali Web dei fornitori, anche se bene camuffate.

Accertarsi di questo dato, consente agli industriali di sapere se il fornitore a cui ci si rivolge è realmente green e in quanta percentuale l’energia acquistata proviene da fonti rinnovabili.

Una soluzione viene dal digitale: oggi per chi si occupa di energy management è possibile affidarsi a strumenti che permettono di visionare e confrontare i Fuel mix (e anche l'evoluzione di essi) di ogni fornitore, così diventa più semplice non cadere nel tranello di chi è green, ma solo a parole.